Lo stop dal 2024: l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha bocciato per contrasto con la normativa Ue la proroga al 2033 delle licenze demaniali. Adesso il Governo potrà lavorare alla riforma del settore
L’alba della Bolkestein per gli stabilimenti balneari italiani comincerà nel 2024. Parecchio in ritardo rispetto al calendario europeo che prevedeva questo passaggio nel 2009 – 15 anni in politica sono un’era geologica -, ma comunque (e finalmente) in tempo utile per mettere fine a un’anomalia tutta italiana nel panorama continentale: quella della mancata messa a gara delle concessioni pubbliche demaniali, come le spiagge. Alla volontà politica, però, s’è stavolta sostituita la certezza giuridica di una pronuncia dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che ha messo un punto fermo nella vicenda della protratta proroga (illegittima) delle licenze, dando torto al Governo gialloverde, che nel 2018 aveva esteso al 2033 le concessioni esistenti.
E dire che ci aveva provato pure Mario Draghi, il premier dalle convinte credenziali europeista, a inserire l’apertura delle procedure pubbliche nel ddl Concorrenza approvato la settimana scorsa dal Consiglio dei Ministri, ma senza successo vista la forte opposizione della Lega, che sul tema dà storicamente battaglia (con sponde importanti anche in altre forze politiche): il compromesso trovato dal Governo di larghe intese passa per una ricognizione dello stato dell’arte così da avere un quadro chiaro su tempi, canoni e redditività delle concessioni, alla luce del quale intervenire in tempi stretti.
Del resto, stiamo parlando di uno dei testi normativi più simbolici del diritto Ue, che nel nostro Paese, a dire il vero, è stato sempre usato come bussolotto della propaganda anti-Bruxelles: la direttiva 2006/123/CE relativa alla liberalizzazione dei servizi nel mercato interno, predisposta dall’allora commissario Ue Frits Bolkestein quando l’esecutivo comunitario era guidato da Romano Prodi. Gli Stati membri hanno avuto tempo fino al dicembre 2009 per trasporre le disposizioni della direttiva nel diritto nazionale: l’Italia lo ha fatto (in ritardo) con un decreto legislativo dell’anno successivo, rimasto però lettera morta. I vari Governi che si sono susseguiti nel tempo hanno proceduto secondo un sistema di rinnovo automatico e generalizzato delle licenze esistenti, senza mai davvero metter mano a una modifica organica delle regole del settore, invocata a gran voce da Bruxelles a difesa del principio delle gare aperte a tutti i potenziali concorrenti europei.
Questo nonostante la Corte di Giustizia Ue avesse già una volta bocciato – dichiarandola illegale nel 2016 – la normativa italiana sui balneari, al termine di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione. Non è bastato. Poco meno di un anno fa, nel dicembre 2020, l’esecutivo Ue aveva fatto partire una seconda lettera di richiamo formale indirizzata a Roma, contestando non solo la mancata applicazione della precedente sentenza ma anche “la proroga fino al 2033 delle autorizzazioni vigenti, vietando agli enti locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione”.
Adesso è arrivato l’assist del Consiglio di Stato, attesissimo da Palazzo Chigi per sbloccare il lavoro timidamente congelato nel recente provvedimento sulla concorrenza e per avviare un’organica riforma del settore. I giudici amministrativi si sono pronunciati annullando in appello due sentenze del Tar di Lecce – il sindaco del capoluogo salentino, Carlo Salvemini, ha fatto dello stop al regime delle proroghe una battaglia politica – e di quello di Catania, e con forza hanno anche dichiarato l’inutilità di un ricorso in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Ue per avere maggiori indicazioni sull’interpretazione del diritto europeo.
Tutto chiaro, per i magistrati di Palazzo Spada, che esprimendosi in adunanza plenaria hanno risolto i contrasti di giurisprudenza finora esistenti nella giustizia amministrativa: la disciplina italiana è illegittima, e pure in assenza di un nuovo intervento normativo; dal 2024 le concessioni non saranno più valide e ogni tentativo di introdurre nuove proroghe sarà da considerarsi privo di effetto “perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’Unione europea”. Oltretutto, fanno notare i giudici, mettendo mano ai numeri, “il giro d’affari stimato del settore si aggira intorno ai 15 miliardi di euro all’anno, a fronte dei quali l’ammontare dei canoni di concessione supera di poco i 100 milioni”. Una gestione più efficiente e ispirata ai principi della concorrenza e del libero mercato, insomma, comporterebbe un maggiore introito per le casse pubbliche in una congiuntura di grandi investimenti per sostenere l’opera del Pnrr. Gli attuali concessionari potranno ovviamente prendere parte alle gare pubbliche che saranno indette per l’assegnazione delle licenze demaniali.
A Bruxelles, i riflettori dei tecnici della Commissione non si erano mai davvero spenti sulla vicenda. L’invito rivolto alle autorità italiane è di “attuare al più presto” quanto deciso dal Consiglio di Stato: un intervento “urgente per favorire una crescita e uno sviluppo sostenibile dell’intero settore turistico”.