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Coronavirus, America Latina: come reagiscono i Governi?


Coronavirus: in America Latina le misure di contenimento del contagio variano da Paese a Paese. Ce ne parla il nostro corrispondente da Santiago Federico Nastasi

 

In quasi tutti i Paesi hanno chiuso scuole e università. A parte questa misura, reazioni e strategie dei Governi per combattere il coronavirus sono state le più diverse.

I più rigidi sono stati gli argentini. Il Governo peronista di Fernandez ha chiuso le frontiere, chiamato a quarantena nazionale obbligatoria fino a Pasqua, garantendo servizi economici essenziali e controllando i prezzi dei beni di prima necessità. Finora i numeri sembrano dargli ragione: con circa 45 milioni di abitanti, i contagi sono un migliaio e le morti 27. Agli impresari che si lamentavano delle perdite economiche e annunciavano licenziamenti, Fernandez ha risposto citando un altro argentino, Papa Francesco: “dalla crisi non ci si salva da soli. È il momento della solidarietà”.

Dall’altra parte delle Ande, in Cile si è seguita una strategia simile al Regno Unito.  Il Governo di destra di Piñera inizialmente ha considerato innecessario il lockdown. Il Ministro della Salute si è detto fiducioso che il virus una volta arrivato in Cile si trasformi in una “brava persona”. La linea del Governo si è scontrata con le opposizioni, l’ordine medico e i sindaci. Quando la curva dei contagi ha iniziato a impennarsi, ci sono il triplo dei casi rispetto all’Argentina su una popolazione che è appena la metà, allora è stata inevitabile la quarantena per circa la metà di Santiago e alcune città lungo il Paese.

Bolsonaro cambia idea

In Brasile, il Presidente Bolsonaro non solo non reagisce, ma nega, ostacola e rallenta le misure contro il contagio, giudicandole pericolose per l’economia. È in corso un braccio di ferro tra gli interessi economici e quelli della salute: di fronte al primum vivere espresso da più parti, innanzitutto dai governatori degli Stati che compongono il Brasile e hanno la delega alla salute, Bolsonaro ha risposto con un video ufficiale, il “Brasile non si ferma”.

La settimana scorsa aveva annunciato un decreto per permettere alle imprese di poter non pagare gli stipendi. Ha resistito sei ore, poi su Twitter ha annunciato trionfale la marcia indietro. La rivista di Boston, The Atlantic, lo ha nominato leader del fronte negazionista mondiale. Facebook, Instagram e Twitter gli hanno cancellato dei post poiché diffondeva informazioni false riguardo al virus.

C’è poi la storia del El Salvador. Il piccolo Paese centroamericano, con il suo giovane Presidente Bukele, tra i primi ha assunto misure rigide per contenere i contagi e sostenere l’economia. Già adesso si vede un effetto collaterale positivo della quarantena: marzo 2020 è stato il mese con meno omicidi nella storia del Paese: 65 quest’anno, in passato si era arrivato fino a mille in un mese.

Tra apparenza e realtà

Un’inchiesta d’opinione, mostra che la maggioranza dei cittadini latinoamericani pensa che i contagi siano più di quelli dichiarati dalle cifre ufficiali. I dati più credibili per i cittadini sono proprio quelli dei Paesi che stanno cercando di farsi trovare pronti, come El Salvador e l’Argentina. In Cile e soprattutto in Ecuador i cittadini disapprovano l’operato dei Governi e credono che i numeri ufficiali mentano. L’Ecuador è il caso peggiore, il numero dei test effettuati è decrescente e i morti ufficiali sono 79. Ma non corrispondono con la percezione diffusa: nella città di Guayaquil, la più grande del Paese e centro dell’epidemia, gli ospedali sono pieni di cadaveri. Molti muoiono in casa e le morti non vengono conteggiate come conseguenza del virus.

Nell’inchiesta sulla fiducia nei dati e nei Governi, purtroppo manca il Brasile, non sappiamo se e quanto i brasiliani credano che il coronavirus sia poco più di un’influenza di stagione, come sostiene Bolsonaro.

@f_nastasi

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