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Coronavirus, Corea del Sud e Giappone: gestioni contrapposte


Coronavirus, Corea del Sud e Giappone hanno gestito in modi opposti l'emergenza. Se da una parte Seul ha sorpreso, dall'altra Tokyo ha confermato il proprio immobilismo burocratico

A metà di febbraio, la Corea del Sud (popolazione: 51 milioni) sembrava prossima a una catastrofe sanitaria senza precedenti. I casi di coronavirus aumentavano quotidianamente, con focolai imbizzarriti che facevano temere un collasso del sistema sanitario sudcoreano: quando ancora il virus non aveva messo in ginocchio il mondo intero, la Corea del Sud aveva il maggior numero di casi al di fuori della Cina.

Agli inizi di maggio, invece, la Corea del Sud registrava 1086 casi totali di malati, di cui 9333 guariti e 255 deceduti. La vita quotidiana ricominciava a funzionare con maggior normalità, dopo settimane di distanziamento sociale, telelavoro, locali pubblici chiusi. La tempestiva decisione di istituire su tutto il territorio nazionale un sistema di test diffusi, tracciatura dei contatti e cura in ospedale dei malati fin dai primi sintomi ha funzionato.

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