Coronavirus: vertice del Consiglio europeo sugli eurobond
Coronavirus: il vertice del Consiglio europeo sui cosiddetti eurobond, o "coronabond" non ha portato ancora a un accordo. Si lavora febbrilmente per un'intesa. Il commento di Piercamillo Falasca, vice segretario di +Europa
Coronavirus: il vertice del Consiglio europeo sui cosiddetti eurobond, o “coronabond” non ha portato ancora a un accordo. Si lavora febbrilmente per un’intesa. Il commento di Piercamillo Falasca, vice segretario di +Europa
Il vertice del Consiglio europeo (cioè la riunione dei capi di Governo degli Stati nazionali dell’Unione europea) era chiamato a decidere l’introduzione di misure straordinarie per la crisi drammatica che stiamo vivendo. Da parte di alcuni Paesi, tra i più duramente colpiti dall’epidemia del coronavirus come Italia, Francia e Spagna, la richiesta principale era l’introduzione di uno strumento inedito, l’emissione da parte dell’Ue di titoli di debito chiamati in gergo “eurobond” o “coronabond”, con i quali finanziarie investimenti e spese di valenza continentale e non più nazionale. La loro introduzione rappresenterebbe un salto di scala nelle potenzialità dell’Unione europea, attualmente priva di una capacità propria di indebitamento e dotata di un bilancio molto contenuto, pari appena all’1% del Pil europeo.
In altre parole, Italia, Francia e Spagna (e tanti altri Stati più piccoli) stanno chiedendo ai Governi del nord di mettere in comune risorse, di aprire linee di debito comuni, di chiedere ai contribuenti di tutta Europa di partecipare insieme alle prossime spese.
La riunione dei capi di Governo si è arenata ed è stata rinviata di 15 giorni per una ragione semplice, che possiamo semplificare così: succede in Europa, tra Paesi del nord e del sud, quello che accade in Italia tra le regioni settentrionali e meridionali. Tedeschi, olandesi e austriaci sono scettici, hanno paura che così si “passi il Rubicone”, si affidi all’Ue un’arma che riduca la sovranità fiscale dei singoli Stati e soprattutto si “premi” la mancanza di disciplina dei Paesi storicamente meno rigorosi.
A ben guardare, si scontrano due miopie.
Da un lato, quella del nord Europa, che forse non stima a sufficienza il rischio di una dissoluzione dell’Unione europea e di quello spazio civico, economico e democratico comune che essa rappresenta. Eppure, con la pandemia e i suoi devastanti effetti economici e sociali, le indebite pressioni esercitate dalle potenze mondiali extracontinentali e la spinta di opinioni pubbliche sempre più sensibili ai richiami sovranisti e alla sindrome dell’abbandono, mai come oggi l’esistenza stessa dell’Unione europea è in discussione.
L’altra miopia è quella delle classi dirigenti e dell’opinione pubblica dei Paesi mediterranei, che non vedono (o non vogliono vedere) le ragioni di merito di chi al nord si chiede perché mai oggi ci si dovrebbe fidare di chi fino a oggi ha sperperato risorse in spese inutili e sprechi infiniti (un esempio recente: quota 100).
Siamo sempre alla favola della cicala e della formica: Germania e Olanda, con Austria e Finlandia, chiedono agli altri Paesi di sostenere l’economia con propri stimoli fiscali, come hanno iniziato a fare loro. Solo che gli alti debiti di Spagna e Francia, e l’altissimo debito italiano, rendono complicato farlo. Per fortuna, proprio per questo, la Bce ha già messo sul tavolo il suo bazooka da 750 miliardi per il 2020 e il patto di stabilità è stato sospeso dalla Commissione (le istituzioni comunitarie sono più solidali degli Stati nazionali oggi). Questo ha finora tenuto a bada gli spread tra titoli di stato e, ad esempio, ha dato margini per il decreto Cura Italia e il prossimo in via di redazione. Ma quanto potremo durare così? Quanto margine finanziario ha l’Italia, considerato il perdurare del lockdown e le lente prospettive di ritorno alla normalità?
È chiaro che dietro le rigidità mostrata durante il vertice dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel e dal premier olandese Mark Rutte via sia il fiato sul collo dei loro sovranisti interni, i quali hanno una forte presa sull’elettorato tedesco e olandese quando raccontano di Governi disposti a finanziare gli spreconi italiani o spagnoli. Ma è altrettanto evidente che, mai come questa volta, la crisi innescata dal coronavirus ha natura esterna ed esogena (è come lo sbarco degli alieni).
Ora si cercherà una nuova soluzione, entro 15 giorni, ma una cosa è certa: o si decide di passare questo Rubicone (e noi europei del sud dobbiamo rassicurare gli altri che da questa crisi usciremo più seri e responsabili nella conduzione delle finanze pubbliche) o noi italiani finiremo nel baratro, a dover forse pietire soldi alla Cina, con i Salvini di turno convinti che la soluzione ai nostri problemi sarà stampare sovrani soldi del Monopoli.
Insomma, occorre ora voler realizzare l’Europa che non c’è, superando quella che c’è. Gli Stati Uniti diventarono davvero una federazione dopo la Guerra di Secessione, emettendo per la prima volta un ingente debito federale. La pandemia del coronavirus è una crisi di portata storica, sulla quale o l’integrazione europea fa un ulteriore salto di qualità (ad esempio, anche ampliando il bilancio comunitario Ue oltre l’uno per cento del Pil europeo) o rischia seriamente di arenarsi. C’è margine perché i leader europei – Angela Merkel in primis – decidano se passare alla storia come fondatori di una nuova Europa o affossatori di quella che c’è.
In tutto questo, per concludere, c’è la vicenda surreale del Mes, l’erede del famoso fondo Salva Stati: sotto i colpi della propaganda distorsiva della Lega e di FdI, Giuseppe Conte ha fatto la faccia feroce, tra lo scetticismo anche di francesi e spagnoli, contro l’ipotesi di utilizzo del Mes per concedere prestiti agli Stati membri. Il Mes prevede condizioni nell’accesso (quando prendete un mutuo, ve lo danno anche se non offrire garanzie?). Vista la gravità della situazione, con un buon negoziato l’Italia arriverebbe a condizioni più morbide del passato, non sarebbe probabilmente costretta a nessuna particolare austerità, ma alla “semplice” serietà nell’uso delle risorse (lo ha scritto anche Mario Draghi: il tema non sarà se fare debito o meno, ma per farne cosa). Invece, di Mes non si può parlare, perché Matteo Salvini ha deciso che è una brutta parola: c’è chi ha paura dell’agenda sovranista e, dunque, finisce per inseguirla.
Il vertice del Consiglio europeo (cioè la riunione dei capi di Governo degli Stati nazionali dell’Unione europea) era chiamato a decidere l’introduzione di misure straordinarie per la crisi drammatica che stiamo vivendo. Da parte di alcuni Paesi, tra i più duramente colpiti dall’epidemia del coronavirus come Italia, Francia e Spagna, la richiesta principale era l’introduzione di uno strumento inedito, l’emissione da parte dell’Ue di titoli di debito chiamati in gergo “eurobond” o “coronabond”, con i quali finanziarie investimenti e spese di valenza continentale e non più nazionale. La loro introduzione rappresenterebbe un salto di scala nelle potenzialità dell’Unione europea, attualmente priva di una capacità propria di indebitamento e dotata di un bilancio molto contenuto, pari appena all’1% del Pil europeo.
In altre parole, Italia, Francia e Spagna (e tanti altri Stati più piccoli) stanno chiedendo ai Governi del nord di mettere in comune risorse, di aprire linee di debito comuni, di chiedere ai contribuenti di tutta Europa di partecipare insieme alle prossime spese.
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