Covid-19, parla Josep Ramoneda: il mondo ha chiuso perché il virus ha toccato Europa e Stati Uniti. Ma per l'Aids o la malaria, che fanno ancora oggi molte vittime, non si è chiuso nulla
Covid-19, parla Josep Ramoneda: il mondo ha chiuso perché il virus ha toccato Europa e Stati Uniti. Ma per l’Aids o la malaria, che fanno ancora oggi molte vittime, non si è chiuso nulla
Josep Ramoneda
Josep Ramoneda (Lleida, 1949) è un filosofo e giornalista catalano di fama europea. Già direttore del Centre de Cultura Contemporània de Barcelona, professore di Filosofia contemporanea presso la Universitat Autònoma de Barcelona, ha collaborato o collabora attualmente con vari quotidiani spagnoli e catalani come La Vanguardia, El País, Ara. Ha pubblicato numerosi libri tra cui “Después de la pasión política” (Taurus, Madrid 1999) e “La izquierda necesaria” (RBA Libros, Barcelona 2012). Parliamo con lui del mondo in epoca di post-pandemia.
Che società viene fuori dalla pandemia?
La storia dice che la memoria delle pandemie è corta se finiscono presto. Perciò dipende da cosa succederà, ancora non lo sappiamo. Ora c’è una certa paura, con un accento generazionale: i giovani escono di più e le persone anziane si trattengono ancora in casa con maggior prudenza. Se durerà per un anno sarà una cosa, se s’installa per due tre anni un’altra, il fattore tempo avrà una certa importanza. In questa pandemia ha giocato una combinazione molto forte di fattori, quello della paura e della colpa, non solo la paura di rimanere infettati ma anche quella d’infettare gli altri.
Com’è stato possibile confinare popolazioni intere in casa?
Si è accettato il confinamento in casa senza discussione, perché il potere del connubio paura e colpa è potente: non solo non voglio contagiarmi, ma non voglio sentirmi colpevole di aver contagiato uno dei miei genitori, per esempio. Questo ha una grande forza e inquieta, perché i governanti si sono resi conto che, in nome della salute, è permesso tutto. E quello che non viene accettato per altre necessità, come il cambio climatico – che si vede come una questione di lungo periodo e l’essere umano è molto contingente, perciò fatica ad occuparsi di cose che possano accadere da qui a 20-30 anni – viene invece accettato nel caso di un virus che è qui e può contagiarci domani. E gli Stati che erano screditati, perché si diceva che non avessero forza per fare nulla, incapaci di mettere limiti ai mercati internazionali, hanno visto che per un problema di salute grave, si può chiudere un paese, togliere le libertà fondamentali senza alcuna protesta. Non sto dicendo che sono contro il confinamento, manifesto solo la sorpresa che la gente lo abbia accettato senza battere ciglio: la salute, perciò, in mano del potere può essere uno strumento di autoritarismo considerevole. Il secondo elemento importante è che gli Stati hanno dimostrato di avere un potere che non ha nessun altro: chiudere un paese e chiudere la gente a casa propria perché dispongono del controllo del territorio. Si è detto che si è chiuso tutto il mondo, questo non è vero: i grandi gestori mondiali come Google, Amazon sono quelli che hanno guadagnato da questa crisi, hanno lavorato come mai, non si sono fermati neppure un momento. E la curiosità è che a non essersi fermati oltre a loro, sono stati quelli diventati visibili d’improvviso, i lavoratori dei servizi essenziali che spesso hanno salari di miseria. Questo rappresenta una contraddizione, perché gli uni e gli altri c’erano anche prima della pandemia, gli uni rappresentano il potere e gli altri la povertà.
È una pandemia perché ha colpito in primo luogo Europa e Stati Uniti?
Pandemia è il nome tecnico che attribuisce l’Oms all’epidemia che ha riguardato una gran parte del mondo. La questione è che se questa epidemia fosse passata per l’Africa e l’America Latina, sarebbe stata ugualmente una pandemia ma non si sarebbe mai chiuso il mondo: il mondo si chiude perché passa per l’Europa e gli Stati Uniti. Per l’Aids o la malaria, che fanno ancora molte vittime, nessuno ha chiuso il mondo. Si è chiuso il mondo perché la pandemia ha attaccato il primo mondo.
Abbiamo scoperto che il pianeta Terra fa a meno dell’umano: che lezione trarne?
Questa è una delle grandi confusioni che c’è: è evidente che la crisi ecologica non ucciderà il pianeta Terra ma può uccidere la specie umana. La Terra continuerà la sua esistenza, ha vissuto già per molto tempo senza specie animali e vegetali.
Abbiamo visto che siamo tutti interdipendenti: come ne escono i nazionalismi?
È difficile da dire ancora. Si è constatato un fatto oggettivo: che lo Stato-nazione ha più forza di quella che pensavamo, ha chiuso la gente a casa, ha chiuso le frontiere. In qualche modo, questo sembrerebbe sostenere il discorso della destra radicalizzata, del neo-autoritarismo di tipo neo-liberista. Le estreme destre, in questa fase, hanno presentato un profilo basso in Europa, hanno capito che non era il caso di creare problemi perché per la gente l’unica cosa importante era che si affrontasse la pandemia. Con eccezioni chiare con Trump e Bolsonaro. Trump è la consacrazione della nuova destra autoritaria e in questo momento rischia una sconfitta clamorosa. Pertanto questo potrebbe essere un avvertimento molto serio per la destra autoritaria. Al principio sembrava che il modello cinese fosse vincente, il modello autoritario cinese poteva avere un effetto contagioso, ora questo è meno evidente. Molto dipende da come sarà la crisi economica e da come i governi sapranno gestirla.
La destra è sotto tono anche perché i Governi hanno fatto politiche keynesiane e c’è stata una riscoperta del pubblico.
Perciò c’è prudenza, la dimensione della crisi si vedrà quando dall’effetto pandemico si passerà alla questione economica e allora si capirà se i governi attuali saranno capaci di controllarla o se sarà una opportunità per l’estrema destra. E poi, una cosa che emerge da questa crisi è aver preso coscienza che ci sono settori che non possono essere lasciati in mano ai privati e che è molto importante che il pubblico li controlli, come la sanità; il caso estremo è quello delle residenze per anziani dove l’entrata massiccia di fondi speculativi ha provocato un disastro. In questo senso c’è un certo ritorno al prestigio del pubblico.
Quanto durerà la crisi economica?
Dipende dalla pandemia, se finisse entro quest’anno sarebbe logico aspettarsi per l’anno prossimo una ripresa importante. Non è una crisi dovuta a cause strutturali del sistema economico, ma perché si è dovuta fermare l’economia, perciò si dovrebbe recuperare la fiducia. E poi bisognerebbe considerare anche i settori economici colpiti, alla Spagna è successo lo stesso che nel 2008: allora pagò le conseguenze di essere un paese basato sul settore delle costruzioni che era il 18% del Pil, adesso abbiamo lo stesso problema con il turismo che rappresenta il 12% del Pil, non si può dipendere tanto da un settore. L’altro elemento da considerare è che cosa accade quando si rinucia al settore industriale e adesso siamo al trionfo dell’ideologia digitale, stiamo cavalcando il mito del telelavoro. Mi piacerebbe che ci facessimo una domanda da qui a un certo tempo: ha valore emancipatorio il telelavoro? Sarà meglio per una donna con dei figli piccoli lavorare in casa? Ho molti dubbi per le diseguaglianze di genere esistenti; ma in realtà vale per tutti, perché si lavora più ore. E poi, lavorare a distanza è uguale che lavorare presenzialmente? Nel settore del giornalismo che è anche il mio, il lavoro a distanza perde senza dubbio di qualità, la radio non è la stessa cosa fatta in studio che in connessione e poi c’è la relazione con la redazione che è fondamentale. Per non parlare della sua regolamentazione: il Governo spagnolo ha provato a regolamentarlo e il padronato ha risposto che avrebbe contrattato gente da altre parti del mondo. E legato al futuro c’è anche il tema dell’istruzione. Per me la crisi più importante dopo quella economica sarà quella dell’istruzione: se s’impone l’dea che l’insegnamento deve perdere la dimensione presenziale è una catastrofe, le persone crescono e diventano adulte nella scuola, nel contatto diretto con un professore e nella socializzazione tra gli studenti.
La pandemia aumenta le diseguaglianze?
La pandemia ha allargato le diseguaglianze sociali. È vero che aggredisce soprattutto le persone anziane, ma è certo che una persona anziana di un quartiere bene di Barcellona l’ha vissuta meglio di un anziano di un quartiere periferico. Con una pandemia i più vulnerabili sono quelli che si trovano in condizioni di maggiore precarietà economica, anche perché devono andare comunque a lavorare per poter sopravvivere. E il risultato è che cresce la frattura sociale.
Come hanno gestito i Governi la pandemia?
Mi riesce difficile essere troppo critico con l’operato dei Governi, il bilancio si dovrà fare un po’ più avanti. Hanno fatto più o meno quello che hanno potuto: chiudere un Paese non è facile, riguarda un diritto fondamentale. Si dice che hanno chiuso troppo tardi, ma se si fosse chiusa la Spagna quando c’erano appena 50 morti, qualcuno avrebbe fatto caso a quell’ordine? La gente deve poter capire perché si deve chiudere un paese. È evidente che governare è tenere presente molti fattori, una delle cose che più lamento dette dai politici è che la loro azione era esclusivamente orientata da criteri scientifici: la responsabilità di prendere decisioni politiche è dei politici, gli scienziati hanno la responsabilità di prendere decisioni negli ospedali e dare informazioni e consigli. Le azioni di Governo, tolte alcune situazioni estreme, sono state simili. Il Governo spagnolo ha sbagliato dal punto di vista comunicativo, ma per il resto ha fatto più o meno quello che hanno fatto gli altri governi europei.
Come sono le fakes in epoca di pandemia?
La disinformazione nelle pandemie ha molti versanti. C’è disinformazione per mancanza di conoscenza, ma non si resiste alla tentazione di dire qualcosa che poi magari risulta essere falsa: questa c’è stata in questa epidemia e da tutte le parti, per esempio sulle terapie da applicare. In una situazione di emergenza si devono dare delle spiegazioni e a volte vengono lanciati messaggi erronei non per malafede ma per ignoranza. Poi ci sono stati i medici vedette che hanno voluto fare il loro spettacolo per poi sparire dalla scena, perché avevano perso prestigio. Ci sono i Governi, quando questi cominciano a condizionare la narrazione dei fatti non a informazioni oggettive ma a quello che conviene loro, allora cominciano le grandi fakes, come nel caso di ciò che è arrivato a dire Trump. C’è la battaglia politica in cui si fanno accuse senza fondamento, che si è abbastanza temperata in generale, in Spagna meno che altrove. C’è l’informazione difficile da controllare nella lotta commerciale attorno ai vaccini e alle cure, con annunci che sono spesso campagne pubblicitarie. Infine, ci sono i mezzi d’informazione che, davanti a un tema così, pensano che bisogni parlarne tutto il giorno e, volenti o meno, finiscono col lanciare messaggi che ingenerano una certa confusione.
Emerge qualche opportunità da questa crisi?
L’opportunità che deriva dal proporsi di temi cruciali finora non considerati, in grado di cambiare le cose. È abbastanza di buon senso pensare che questa dovrebbe essere un’epoca da New Deal, ma fatico a vedere che le élites globali siano disponibili a fare sacrifici economici importanti come le élites nazionali furono disposte a fare nel secondo dopoguerra. Allora c’era l’Unione Sovietica e adesso siamo in un’altra fase del capitalismo. E il capitalismo finanziario e la democrazia sono abbastanza incompatibili, tra le altre cose perché la cornice naturale della democrazia è data dagli Stati-nazione che risultano indeboliti dalla globalizzazione.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
Josep Ramoneda (Lleida, 1949) è un filosofo e giornalista catalano di fama europea. Già direttore del Centre de Cultura Contemporània de Barcelona, professore di Filosofia contemporanea presso la Universitat Autònoma de Barcelona, ha collaborato o collabora attualmente con vari quotidiani spagnoli e catalani come La Vanguardia, El País, Ara. Ha pubblicato numerosi libri tra cui “Después de la pasión política” (Taurus, Madrid 1999) e “La izquierda necesaria” (RBA Libros, Barcelona 2012). Parliamo con lui del mondo in epoca di post-pandemia.
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