Diario di un annus horribilis in cui l’Ue ha ritrovato il suo spirito comunitario, proprio alla vigilia degli 80 anni del Manifesto di Ventotene
Nei confronti del “cigno nero” Covid, l’Unione europea era partita col piede sbagliato. C’erano state le dichiarazioni indifferenti della neo governatrice Christine Lagarde (“la pandemia non è di pertinenza della Banca Centrale”) e lo smarrimento del Governo della Commissione di Ursula von der Leyen appena eletto, anche per via delle poche competenze di Bruxelles in materia sanitaria. Mentre il “cigno bianco” del Regno Unito stava per volare via definitivamente dal lago europeo.
Ma pochi giorni dopo la “svolta” si è sentita, eccome. “Massima flessibilità nell’applicazione del Patto di Stabilità e per gli aiuti di Stato destinati a far fronte alle conseguenze del coronavirus. Siamo pronti ad aiutare l’Italia con tutto quello di cui ha bisogno, in questo momento è colpita severamente dal virus, sosteniamo tutto quello di cui ha bisogno e tutto quello che chiederà. Il prossimo potrebbe essere un altro Stato membro”. Una dichiarazione, quella di Ursula, non molto diversa dal famoso “whatever it takes” di Mario Draghi nel 2008, nei giorni durissimi della recessione economica. Oltretutto dopo aver tolto la “camicia di forza” dei vincoli di Maastricht e del Patto di Stabilità.
Della macchina europea anti Covid si è già detto: il rimpatrio dei cittadini fuori dai confini, i fondi alla ricerca e allo sviluppo capaci di far arrivare un vaccinoin un anno anziché dieci, la contrattazione con le principali case farmaceutiche, la produzione di 2 miliardi di dosi, la distribuzione, il supporto logistico alla circolazione dei dispositivi di protezione, l’acquisto di apparecchiature sanitarie, la solidarietà tra gli Stati nell’alleggerire le terapie intensive. In materia sanitaria vanno ricordate la creazione di linee-guida da parte della task force formata dai migliori scienziati europei; l’altra azione fondamentale è l’aver stimolato la condivisione di dati e ricerche sul vaccino attraverso la creazione della Piattaforma Europea di raccolta dati e studi sui sieri.
E infine, ma non da ultimo, il gigantesco new deal del Next Generation Plan con il Recovery Fund da 750 miliardi di euro, il vero perno della svolta europea e il secondo “bazooka” di mille miliardi di euro al sistema creditizio della rediviva Christine Lagarde, che ha proseguito la politica espansiva del predecessore. A nulla hanno potuto i cosiddetti Paesi “frugali” di fronte alla consapevolezza dei grandi d’Europa, dalla Germania alla Francia. La sintesi non rende la quantità di problemi complessi superati dal nuovo spirito europeo. Ma è certo che nel suo annus horribilis, compresa l’uscita del Regno Unito dal consorzio comunitario, l’Europa ha ritrovato se stessa, proprio alla vigilia degli 80 anni del Manifesto di Ventotene di Rossi e Spinelli.
Nei confronti del “cigno nero” Covid, l’Unione europea era partita col piede sbagliato. C’erano state le dichiarazioni indifferenti della neo governatrice Christine Lagarde (“la pandemia non è di pertinenza della Banca Centrale”) e lo smarrimento del Governo della Commissione di Ursula von der Leyen appena eletto, anche per via delle poche competenze di Bruxelles in materia sanitaria. Mentre il “cigno bianco” del Regno Unito stava per volare via definitivamente dal lago europeo.
Ma pochi giorni dopo la “svolta” si è sentita, eccome. “Massima flessibilità nell’applicazione del Patto di Stabilità e per gli aiuti di Stato destinati a far fronte alle conseguenze del coronavirus. Siamo pronti ad aiutare l’Italia con tutto quello di cui ha bisogno, in questo momento è colpita severamente dal virus, sosteniamo tutto quello di cui ha bisogno e tutto quello che chiederà. Il prossimo potrebbe essere un altro Stato membro”. Una dichiarazione, quella di Ursula, non molto diversa dal famoso “whatever it takes” di Mario Draghi nel 2008, nei giorni durissimi della recessione economica. Oltretutto dopo aver tolto la “camicia di forza” dei vincoli di Maastricht e del Patto di Stabilità.
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