Il fallimento di una banca svizzera
Sorpresa e preoccupazione per il crollo di Credit Suisse, uno dei giganti del credito svizzero. Origini e conseguenze di questa tragedia non annunciata. Che cosa è successo? Come è potuto accadere?
Tutti noi – anche i non addetti ai lavori – siamo rimasti sorpresi, decisamente preoccupati, del fallimento di Credit Suisse, uno dei due giganti del credito d’oltralpe, che rappresentava nel nostro immaginario la sicurezza con la S maiuscola.
Che cosa è successo? Com’è potuto accadere? Proviamo a sintetizzare origini e conseguenze di questa tragedia non annunciata.
Intanto, le banche fallite nelle ultime settimane sono due: l’americana Silicon Valley e Credit Suisse, appunto. Non per caso. Le regolamentazioni americana e svizzera, infatti, a differenza di quella europea, sono quelle che si sono adeguate meno ai nuovi requisiti di capitale e prudenziali suggeriti dagli organismi internazionali, G20 e Comitato di Basilea in testa, protagonisti durante la lunga crisi finanziaria 2008-18. Negli Usa poi, bisogna considerare che la tradizionale cultura “liberal” impedisce strutturalmente al Supervisore un atteggiamento troppo intrusivo, che lo porta ad intervenire sempre troppo tardi in presenza di crisi di istituzioni finanziarie (nel caso della Silicon Valley Bank, la protezione tardiva dei depositi superiori ai 250mila dollari).
In Svizzera il caso è diverso: qui le autorità di supervisione hanno dimostrato una sudditanza totale al sistema, ancora più preoccupante se si considera che i principali azionisti di Credit Suisse erano stranieri: Sauditi, Qatarini e Americani. Le autorità elvetiche hanno addirittura cambiato le regole a crisi in corso, proprio per salvaguardare i potenti azionisti stranieri, che avrebbero dovuto invece essere i primi a subire le conseguenze del fallimento e non certo i detentori di obbligazioni subordinate, che invece sono stati gettati allo sbaraglio. Difficilmente la reputazione di Berna e la fiducia nella proverbiale affidabilità svizzera tornerà quella a cui eravamo abituati.
Una prima ed evidente conseguenza di questa grave crisi è stata che i paesi del Golfo stanno svolgendo una intensa attività per trasferire attività finanziarie dal mercato svizzero a casa loro, confermando un’ansia di protagonismo internazionale (che ha in Mohammed Bin Salman il suo interprete più sfacciato) rispetto al quale noi democrazie occidentali dovremmo riflettere e reagire, anteponendo i nostri valori e la nostra organizzazione: lo sviluppo economico non può essere disgiunto dal rispetto dei diritti e dei fondamentali democratici. È venuto il tempo di fare una scelta netta.
Il gigante originato dalla fusione tra Credit Suisse e UBS raggiunge un terzo del mercato svizzero e gestisce risorse pari al doppio del Pil svizzero. Qualcuno ha sentito un pronunciamento da parte di un’Autorità Antitrust? Noi no, e direi correttamente, dal momento che in gioco c’era addirittura la sopravvivenza della stessa Svizzera. Questo dovrebbe insegnare a tutte le Autorità per la tutela della concorrenza del mondo che la loro indipendenza va sempre interpretata nel contesto in cui operano e non in modo tecnico e burocratico, come spesso avviene, senza tenere conto degli interessi in gioco, che spesso coinvolgono fenomeni sociali come l’occupazione e la crescita e distribuzione del reddito.
Un’ultima considerazione sul contagio al sistema europeo, che non si è verificato, malgrado qualche scricchiolio si sia manifestato nel gigante tedesco Deutsche Bank. Due commenti su questo aspetto: a) il sistema di sorveglianza messo in piedi dalla BCE è efficace anche in fase di prevenzione delle crisi, con buona pace dei nostalgici dei sistemi nazionali, che non avrebbero avuto la stessa efficacia; b) il sistema finanziario tedesco resta il punto debole del sistema europeo, ancor più paradossale se si considera che la Germania vanta il sistema produttivo più competitivo in Europa. Ristrutturare e riorganizzare il sistema del credito in Germania non è più un affare solo tedesco, ma europeo, direi globale, viste le interconnessioni che abbiamo sperimentato in questi anni. È venuto il tempo che Bruxelles metta pressione a Berlino affinché promuova una profonda riforma del loro sistema bancario, per superare le debolezze strutturali dovute a una rete di banche pubbliche mal gestite e quindi perennemente a rischio.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di aprile/giugno di eastwest