Le problematiche delle migrazioni causano tensione anche tra gli stati africani: recentemente Costa d’Avorio e Burkina Faso si sono scontrate per la gestione dei rifugiati e dei loro rimpatri.
Sabato 13 luglio un gruppo di 173 persone burkinabé, prevalentemente donne e bambini, è arrivato in Costa d’Avorio dal vicino Burkina Faso, cercando rifugio nel Paese. Senza successo, però: soltanto tre giorni dopo, 164 di loro sono stati deportati nel loro stato d’origine, senza che l’operazione venisse motivata in maniera ufficiale dalle autorità ivoriane.
L’episodio ha immediatamente attirato l’attenzione della giunta militare al governo in Burkina Faso, che ha criticato duramente quanto successo. “La loro espulsione è stata eseguita in disprezzo alle regole elementari in materia umanitaria” ha dichiarato il portavoce del governo Jean-Emmanuel Ouédrago, sottolineando che il governo di Ouagadougou fornirà il sostegno necessario alle persone rimpatriate.
Il governo ivoriano ha invece cercato di sminuire la gravità di quanto accaduto, parlando di un fatto isolato e ricordando l’impegno decennale della Costa d’Avorio nell’accoglienza di rifugiati, per una parte rilevante provenienti anche dal Burkina Faso.
Il rimpatrio dei rifugiati burkinabé riaccende la luce sulle tensioni presenti tra i due Paesi confinanti. Dai due colpi di stato del 2022 in avanti, il Burkina Faso ha rafforzato i propri legami con Mali e Niger – guidati a loro volta da regimi militari, saliti al potere dopo un colpo di stato – isolandosi invece dagli altri stati della regione. La Costa d’Avorio, in particolare, è stata accusata più volte di imperialismo e di intromissione nei propri affari interni dal regime di Ibrahim Traoré, che non ha apprezzato il tentativo degli stati dell’ECOWAS di riportare l’ordine costituito nel Paese.
Inoltre, l’episodio di questi giorni ricorda quanto in Burkina Faso esista una grave situazione di crisi, che ha portato ad un numero elevatissimo di sfollati. I rifugiati che hanno cercato di spostarsi in Costa d’Avorio fanno parte dei circa due milioni di cittadini burkinabé che hanno dovuto abbandonare la propria casa, a causa delle loro difficili condizioni economiche e delle violenze portate avanti da numerosi gruppi armati. Da anni, infatti, tutto il territorio del Burkina Faso è conteso da milizie, che cercano di sfruttare i conflitti tra le comunità locali per espandere la propria influenza.
Quella in atto in Burkina Faso è stata definita dal Norwegian Refugee Council come una delle peggiori crisi di sfollati a livello mondiale e soprattutto come quella che è gestita peggio. La situazione del Paese saheliano è infatti completamente ignorata dai media internazionali e dalla politica globale, che sta intervenendo in maniera insufficiente attraverso i canali diplomatici, per trovare delle soluzioni a quanto sta accadendo. Anche l’intervento umanitario è troppo debole: le risorse e gli aiuti inviati nel Paese sono troppo limitati per fare fronte alle necessità della popolazione. Di conseguenza, la crisi non fa che peggiorare e soltanto nel 2023 ha portato a 700mila nuovi sfollati. Molti di loro sono rimasti all’interno del Burkina Faso, a volte bloccati, altri si sono rifugiati nei Paesi confinanti.
Tra questi c’è la Costa d’Avorio, che ospita al momento circa 60mila rifugiati burkinabé e negli ultimi anni ha effettivamente permesso il loro arrivo, come hanno sottolineato le autorità dopo l’evento di questi giorni. Al tempo stesso, però, le politiche di accoglienza ivoriane hanno iniziato a vacillare negli ultimi mesi. Ad aprile il ministro della sicurezza Vagondo Diomande aveva annunciato un piano di rimpatrio verso il Burkina Faso di gran parte dei rifugiati presenti in Costa d’Avorio.
Le problematiche delle migrazioni causano tensione anche tra gli stati africani: recentemente Costa d’Avorio e Burkina Faso si sono scontrate per la gestione dei rifugiati e dei loro rimpatri.
Sabato 13 luglio un gruppo di 173 persone burkinabé, prevalentemente donne e bambini, è arrivato in Costa d’Avorio dal vicino Burkina Faso, cercando rifugio nel Paese. Senza successo, però: soltanto tre giorni dopo, 164 di loro sono stati deportati nel loro stato d’origine, senza che l’operazione venisse motivata in maniera ufficiale dalle autorità ivoriane.