I 20 anni di Eastwest: dalla pandemia alla guerra in Ucraina, il terzo mandato di Xi Jinping e la conferma a Biden nel midterm. La protesta delle donne in Iran, l’euroscandalo del Qatargate e occhio alla Turchia: le elezioni presidenziali della primavera potrebbero decretare la fine del Sultano Erdogan e il ritorno della Turchia tra i protagonisti della crescita europea.
Quello che si è appena concluso è stato l’ultimo dei tre anni di pandemia e l’anno dell’esplosione della guerra in Ucraina, una tragedia per noi europei, meno per altre regioni del mondo, più regolarmente funestate da eventi bellici drammatici.
Il terzo mandato di Xi Jinping e la conferma del sostegno a Biden nella verifica di midterm danno forza e responsabilità ai due leader mondiali di impegnarsi per favorire una soluzione negoziale al conflitto russo-ucraino, che consenta anche di porre un freno al rilancio dell’idea ottocentesca del nazionalismo autoritario, rappresentato plasticamente dalle ossessioni putiniane.
La guerra alle porte dell’Unione europea ha messo in evidenza che i passi avanti verso una dimensione federale, registrati per fronteggiare la pandemia, non bastano per gestire emergenze che mettano a rischio pace e sicurezza, per le quali è necessario accelerare le integrazioni della politica estera e di difesa.
La ritirata degli Stati Uniti dal ruolo di superpotenza globale richiede un’Europa più protagonista, per evitare arretramenti dei nostri modelli di sviluppo nei confronti di alternative non convincenti quali quella cinese e indiana, illiberale la prima, ingovernabile la seconda.
In Italia, il Governo supertecnico di Mario Draghi, di grande reputazione in Europa ma forse troppo acriticamente appiattito su posizioni atlantiste in politica internazionale, ha ceduto lo scettro alla prima donna premier in Italia, Giorgia Meloni. Una donna intelligente, che sta cercando di accreditarsi rinunciando agli ideologismi più impresentabili della sua storia e provando a costruire un programma di Governo moderno ed efficiente, che intercetti bisogni e sentimenti di un’opinione pubblica forse stanca di cultura catto-comunista, superata dalla storia e dall’inadeguatezza di una classe dirigente rimasta quella dello scorso millennio.
Riuscirà nell’impresa? Lo sapremo fra un anno. Il coraggio non le manca. Difficile giudicare dalla prima finanziaria, dotata di risorse scarse. Una valutazione più approfondita potrà essere fatta sulle priorità che saranno indicate per intercettare un’eventuale ripresa europea e quindi nel rapporto con Bruxelles, che dovrà convertirsi in una interlocuzione costruttiva e di prospettiva politica.
Altri tre eventi meritano una menzione: la protesta delle donne in Iran, l’euroscandalo del Qatargate e la scomparsa della Regina Elisabetta.
In Iran, misureremo nel 2023 la capacità della comunità internazionale di non lasciare soli i giovani che stanno rischiando la vita per liberarsi di un regime medioevale ed efferato.
A Bruxelles, ci stiamo giustamente scandalizzando per il giro di soldi finiti nelle tasche di alcuni parlamentari, sembra. Mi concentrerei però su quello che mi sembra uno scandalo ancora più grave, per i suoi connotati politici: e cioè sul fatto che noi democrazie occidentali stiamo appaltando con leggerezza i grandi eventi (sportivi, Expo, ecc) ai paesi del Golfo (oggi Qatar ed Emirati, domani l’Arabia Saudita), dove diritti e democrazia sono calpestati quotidianamente. Dov’è finito l’orgoglio del nostro modello, Presidente Macron? I soldi comprano proprio tutto?
La morte di Elisabetta segna forse anche la fine della monarchia inglese, troppo a lungo impaludata in ritualità che nascondevano sotto la sabbia la nostalgia per un Impero che non c’è più e che non tornerà ad esistere grazie a Brexit, che anzi sta evidenziando i limiti gravi di una visione politica che nasce sconfitta. Londra senza Europa è destinata a una deriva da città stato sul modello Singapore. Triste epilogo per il paese di Shakespeare e di Churchill.
Per il prossimo anno, non facciamo previsioni (si sbagliano tutte), ma occhio alla Turchia: le elezioni presidenziali della primavera potrebbero decretare la fine del Sultano Erdogan e il ritorno della Turchia tra i protagonisti della crescita europea.
Quello che si è appena concluso è stato l’ultimo dei tre anni di pandemia e l’anno dell’esplosione della guerra in Ucraina, una tragedia per noi europei, meno per altre regioni del mondo, più regolarmente funestate da eventi bellici drammatici.
Il terzo mandato di Xi Jinping e la conferma del sostegno a Biden nella verifica di midterm danno forza e responsabilità ai due leader mondiali di impegnarsi per favorire una soluzione negoziale al conflitto russo-ucraino, che consenta anche di porre un freno al rilancio dell’idea ottocentesca del nazionalismo autoritario, rappresentato plasticamente dalle ossessioni putiniane.