L’incidente nel canale di Suez è stato preso a simbolo della debolezza delle catene di approvigionamento mondiali. Ma spieghiamo perché le filiere non sono poi così fragili
L’incidente nel canale di Suez è stato preso a simbolo della debolezza delle catene di approvigionamento mondiali. Ma spieghiamo perché le filiere non sono poi così fragili
Ieri mattina la portacontainer Ever Given, che era bloccata nel canale di Suez dal martedì precedente, ostruendo il traffico marittimo, è stata parzialmente disincagliata. Adesso la speranza è che il passaggio delle navi possa riprendere al più presto, visto che già una settimana di stop potrebbe causare al commercio globale un danno economico stimato tra i 6 e i 10 miliardi di dollari (così sostiene la società tedesca di servizi finanziari Allianz).
Il canale di Suez è largo 205 metri e rappresenta uno dei “colli di bottiglia” – o chokepoint, ovvero punti di passaggio particolarmente stretti – più importanti al mondo per i flussi commerciali: attraverso il canale transita il 13% degli scambi marittimi e quasi il 10% delle forniture di petrolio e gas naturale spostate via nave. Connettendo il mar Rosso al mar Mediterraneo, Suez permette alle imbarcazioni di muoversi tra l’Asia e l’Europa senza dover circumnavigare l’Africa passando per il capo di Buona Speranza. E quindi di risparmiare in tempo e in spese di spedizione.
Le filiere non sono così fragili
L’incidente della Ever Given è stato un po’ preso a simbolo della presunta fragilità delle filiere globali, messe effettivamente a dura prova dalla pandemia di coronavirus: l’anno scorso ci sono stati blocchi agli approvvigionamenti di prodotti medicali, per esempio; adesso si parla molto della carenza di chip per l’industria automobilistica ed elettronica. A questi fatti si somma un rafforzamento della retorica politica sul re- o near-shoring, il ritorno della produzione manifatturiera in patria o nelle immediate vicinanze per ragioni economiche e disicurezza nazionale.
Riorganizzare le supply chain – e quindi, di fatto, la globalizzazione stessa – è tuttavia un processo molto complicato. E se è vero che l’ingorgo nel canale di Suez ha reso ben visibili le vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, è altrettanto vero che ne ha indirettamente dimostrato anche la loro robustezza complessiva.
L’analista geopolitico Parag Khanna ha spiegato al Financial Times che le filiere hanno ripetutamente dato prova di resilienza e di capacità di risposta alle perturbazioni. Quando nel 1990 l’Iraq di Saddam Hussein invase il Kuwait, il petrolio reagì raddoppiando di prezzo in due mesi. Oggi una cosa simile non succederebbe, sostiene Khanna, perché le filiere “si sono espanse” fino a diventare globali; perché i mercati sono più connessi e c’è maggiore flessibilità.
Le forniture di petrolio e gas in Europa
Rimanendo sul petrolio, l’Unione europea ne è la maggiore importatrice al mondo. Eppure la crisi a Suez avrà delle ripercussioni tutto sommato contenute – per il 12%, si stima – sulle sue forniture di greggio. Nel mese di febbraio le raffinerie in Europa hanno utilizzato circa 33 milioni di tonnellate di petrolio; di queste, meno di quattro milioni sono arrivate nel continente passando per il canale egiziano. Ad accusare maggiormente il colpo sarà piuttosto il commercio petrolifero ovest-est, dall’Europa all’Asia.
Tra le circa 370 navi in attesa a Suez ci sono anche alcune metaniere che trasportano il gas naturale liquefatto (Gnl). Un ingorgo prolungato ha fatto temere per un’interruzione delle forniture in Europa, ma anche in questo caso lo scenario è più articolato e meno drammatico di così. Al di là dei fattori stagionali – è primavera, e la richiesta di gas per il riscaldamento è meno forte – e dell’impatto negativo del coronavirus sulla domanda, l’Europa può ricevere gas dalla Russia e dall’Algeria e Gnl dagli Stati Uniti, attraverso l’oceano Atlantico.
La Cina e i treni verso l’Europa
La Cina, che nel 2020 è diventata la prima partner dell’Unione europea per commercio di beni, sta invece aggirando il problema della congestione e dei costi del trasporto marittimo – che va ben oltre l’episodio della nave Ever Given – intensificando gli spostamenti di merci su rotaia.
Nei primi due mesi dell’anno oltre duemila treni sono partiti dalla Cina per arrivare in Europa, un tasso doppio rispetto all’anno scorso, quando il coronavirus iniziava a diffondersi. Pur rappresentando una quota minoritaria sul totale dei trasporti, nel corso del 2020 il numero di questi viaggi in treno è cresciuto del 50 per cento, e dal 2016 è aumentato di sette volte.
L’incidente nel canale di Suez è stato preso a simbolo della debolezza delle catene di approvigionamento mondiali. Ma spieghiamo perché le filiere non sono poi così fragili
Ieri mattina la portacontainer Ever Given, che era bloccata nel canale di Suez dal martedì precedente, ostruendo il traffico marittimo, è stata parzialmente disincagliata. Adesso la speranza è che il passaggio delle navi possa riprendere al più presto, visto che già una settimana di stop potrebbe causare al commercio globale un danno economico stimato tra i 6 e i 10 miliardi di dollari (così sostiene la società tedesca di servizi finanziari Allianz).
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