Le condanne in primo grado degli ex azionisti del grande gruppo siderurgico indicano che non può più esserci conflitto tra la salute, l'ambiente e i posti di lavoro
Le condanne in primo grado degli ex azionisti del grande gruppo siderurgico indicano che non può più esserci conflitto tra la salute, l’ambiente e i posti di lavoro
Siamo ancora al primo grado, quindi qualsiasi giudizio definitivo è inopportuno e fuori luogo. Però qualcosa si può dire sulla sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Taranto (tutta al femminile) che ha condannato gli ex proprietari dell’ex Ilva a ventidue anni di carcere per Fabio Riva e 20 per il fratello Nicola, gli ex proprietari del gruppo siderurgico, al termine di un processo che ha visto imputate a vario titolo 47 persone.
A meno di rovesci clamorosi in appello (e potrebbe anche succedere), il verdetto dice chiaramente che il lavoro, la produzione, persino l’innovazione tecnologica non possono essere alternativi alla sicurezza ambientale. E soprattutto accerta che tutte quelle morti “anomale” avvenute a Taranto, tutti quei tumori e quelle leucemie, soprattutto nel quartiere Tamburi, dove la polvere rossa copriva come un manto le mura e i davanzali delle finestre dei palazzi, non sono casuali, non appartengono all’imponderabile, ma hanno una ben precisa causa. Lavoro e salute. Non possono essere un “trade off”. Le due cose devono camminare di pari passo in ambito industriale (ma in generale in qualunque ambito, anche nel primario e nel terziario).
La decisione dei giudici è arrivata dopo 329 udienze durate cinque anni (la prima il 16 maggio 2016). Una sentenza che travolge anche la politica pugliese, con la condanna a tre anni e mezzo di carcere per l’ex governatore Niki Vendola (che ha usato parole durissime contro la sentenza).
È dunque probabile, anzi è nelle cose, che la sentenza rappresenti la fine di un’epoca, quella del conflitto tra salute e lavoro. Ed è come se segnasse al modo di un sigillo giudiziario una forte accelerazione verso quella transizione ecologica che ci apprestiamo a intraprendere una volta usciti dalla pandemia, mettendo a punto le riforme industriali finanziate dal Recovery Plan. Insomma, è venuto il momento di non svendere più l’ambiente, come è accaduto molte volte finora, e di dedicarci a uno sviluppo sostenibile, che significa consegnare il nostro territorio sano e integro alle generazioni che verranno dopo di noi.
Le condanne in primo grado degli ex azionisti del grande gruppo siderurgico indicano che non può più esserci conflitto tra la salute, l’ambiente e i posti di lavoro
Siamo ancora al primo grado, quindi qualsiasi giudizio definitivo è inopportuno e fuori luogo. Però qualcosa si può dire sulla sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Taranto (tutta al femminile) che ha condannato gli ex proprietari dell’ex Ilva a ventidue anni di carcere per Fabio Riva e 20 per il fratello Nicola, gli ex proprietari del gruppo siderurgico, al termine di un processo che ha visto imputate a vario titolo 47 persone.
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