Gli euroscettici non esistono!
L'Est Europa vota poco, ma vota per l'Unione.
L’Est Europa vota poco, ma vota per l’Unione.
I media trovano più succulento raccontare storie di sangue che noiosa normalità. Nel caso delle elezioni europee, il sangue lo avrebbero fatto scorrere gli euroscettici, sbaragliando i nemici dell’Alleanza paleoeuropea. Provo a raccontarvi un’Europa che non conoscete e a spiegare perché non è andata così.
Il 25 maggio, oltre 400 milioni di elettori europei sono stati chiamati alle urne per eleggere i 751 deputati del prossimo Europarlamento. Dopo le elezioni indiane, quelle europee rappresentano il secondo esercizio di democrazia più importante al mondo, visto che a Bruxelles e Strasburgo si riunisce non solo il secondo Parlamento più grande al mondo ma anche il primo e unico Parlamento transnazionale, i cui membri, provenienti da ben 28 Stati, rappresentano oltre 500 milioni di cittadini.
Al di là dei numeri, le elezioni europee del 2014 saranno ricordate come le prime elezioni da quando il Trattato di Lisbona ha attribuito al Parlamento europeo la possibilità di “eleggere” il presidente della Commissione europea e anche le prime nella storia delle elezioni europee, istituite nel 1979, a far registrare una crescita (pur modesta) della partecipazione al voto, dal 43% del 2009 al 43,09%.
Sorprendentemente, mentre l’affluenza media nei paesi “occidentali” dell’Unione (552 seggi) è stata del 53%, la partecipazione al voto degli 11 paesi centro-orientali dell’Ue (199 seggi) è stata solo del 28%. Pur avendo beneficiato dell’adesione, sembrerebbe che al forte euroentusiasmo che da sempre contraddistingue questi 11 paesi (al 46% secondo l’ultimo eurobarometro di marzo 2014, contro il 34% dei paesi “occidentali”) faccia da contraltare un curioso disinteresse alla consultazione democratica.
In Croazia, entrata nell’Ue poco meno di un anno fa, l’affluenza è stata del 25% (meno della metà della media dell’Europa occidentale!) mentre la partecipazione in Polonia e Slovenia si è fermata rispettivamente al 22% ed al 20%. A Repubblica Ceca e Slovacchia va il primato della più bassa affluenza alle urne: 19,5% e un incredibile 13% per la seconda!
I giornali ci hanno informato con dovizia sugli esiti in Germania, Spagna e Italia, dove i partiti di governo si sono rafforzati; e su Francia e Regno Unito, dove invece i Governi sono sottoposti a scossoni politici.
Mi consento solo una parola sull’Italia. Il Premier Renzi ha capito una cosa che i suoi predecessori non avevano chiara: il nostro Paese la partita se la gioca non sulla politica economica (pochissime le risorse disponibili) ma sulle riforme. Infatti, solo se l’Italia darà la sensazione di riuscire finalmente a semplificare drasticamente il processo decisionale, riusciremo ad attrarre quei trilioni di euro che vagano per il globo e non si fermano in Italia ormai da decenni, e quelli sì che cambierebbero la nostra vita! Gli Italiani hanno voluto dare fiducia, con il loro voto europeo, a questo tentativo.
Sappiamo poco invece dell’altra metà dell’Europa, che pure condizionerà sempre più il nostro futuro.
Se l’affluenza alle urne dei paesi centro- orientali è stata bassa, le implicazioni in termini di dinamiche nazionali non saranno di certo ininfluenti, considerato che le elezioni hanno fatto registrare quasi dappertutto un arretramento dei partiti al governo. Solo la Slovacchia – con il partito di sinistra Smer-Sd del Premier Fico – la Romania – con la coalizione di centro sinistra guidata dal Primo ministro Ponta – e l’Ungheria del conservatore Orbán – hanno visto i partiti al governo vincere.
In Ungheria le elezioni hanno decretato anche lo sfaldamento dell’opposizione socialista che – presentatasi divisa – è stata incapace di ricostruire un’identità credibile, a tutto vantaggio del partito di estrema destra Jobbik, che ha conquistato il secondo posto. In Polonia, il partito di centro-destra al governo del Primo ministro Tusk e l’opposizione euroscettica e nazionalista di uno dei gemelli Kaczyński sono arrivati quasi testa a testa con uno scarto minimo, un’anticipazione di quello che potrebbe succedere alle elezioni politiche del prossimo anno.
Diverso lo scenario in Repubblica Ceca, dove, sebbene il partito socialdemocratico del Premier Sobotka non ottenga la maggioranza dei voti, a vincere è comunque il suo alleato di coalizione – il movimento centrista ANO – la cui vittoria determina il successo dei partiti europeisti, che in Repubblica Ceca conquistano la maggioranza dei seggi.
Sul versante opposto invece Slovenia, Croazia e Bulgaria, dove a vincere sono i partiti dell’opposizione di centro-destra. In Bulgaria, il GERB – il partito dell’ex Premier Borisov – ha trionfato con il 30%. Arrivano invece al secondo e al terzo posto i socialisti della coalizione di centro-sinistra attualmente al governo guidato dal Premier Orešarski. Nonostante i voti (cumulati) di questi ultimi risultino superiori a quelli del partito di centro-destra, il risultato delinea la fragilità della coalizione al governo, lasciando prefigurare elezioni anticipate.
Nei paesi centro-orientali i seggi conquistati dai partiti euroscettici sono stati 45 (il 22% sui 199 disponibili) mentre nei paesi “occidentali” sono stati 186 (il 33% sui 552 disponibili). I media calcano la mano sull’avanzata dei cosiddetti “euroscettici” ed è innegabile che questi abbiano registrato un incremento di quasi dieci punti percentuali, passando dal 20% dei voti (156 seggi) del 2009 al 30% (231 seggi) di quest’anno.
Mi pare però più significativo che queste elezioni – le prime da quando la crisi economica dell’Eurozona è iniziata – hanno registrato la tenuta dei quattro gruppi di partiti saldamente europeisti (democristiani, socialisti, liberali e verdi). A loro – non ricordo di aver letto enfasi su questo punto – va ben il 70% dei voti dei cittadini europei (520 seggi), segno che gli elettori hanno scelto “più e non meno Europa”.
Acceleriamone la costruzione!
L’Est Europa vota poco, ma vota per l’Unione.
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