L'Ue si trova di fronte a nuove sfide e opportunità. La politica monetaria, l'impatto della crisi finanziaria, le implicazioni del Covid-19, la strategia del Green Deal
L’Ue si trova di fronte a nuove sfide e opportunità. La politica monetaria, l’impatto della crisi finanziaria, le implicazioni del Covid-19, la strategia del Green Deal
L’Europa cambia la sua architettura istituzionale in un anno di crisi globale, la crisi del Covid-19, a poco più di dieci anni dallo scoppio della crisi finanziaria avviatasi negli Usa nel mercato dei subprime e poi deflagrata con il crollo della Lehman Brothers, quindi alimentata dalla grande recessione del 2009 e arrivata in Europa.
La crisi finanziaria
L’intreccio tra crisi bancarie e dei debiti sovrani è stato il peculiare meccanismo al centro della crisi dell’area euro negli anni che vanno dal 2010 al 2013. Un intreccio rimasto a lungo non gestito in quanto i Governi dei Paesi europei non hanno avuto né gli strumenti comuni (Unione bancaria) né la volontà politica di farlo. A differenza degli Stati Uniti dove la crisi finanziaria fu affrontata fin da subito e con successo.
In Europa si preferì adottare un diverso approccio nella convinzione che all’origine della crisi vi fosse la finanza pubblica in disordine dei paesi periferici. Per correggere i conti pubblici massicce dosi di austerità fiscale vennero somministrate non solo ai Paesi in difficoltà ma pressoché a tutti i Paesi dell’area euro.
Proprio la deludente esperienza della gestione della crisi spinse all’inizio del secondo decennio verso importanti cambiamenti della governanceeuropea. Si decise di rivedere e rafforzare il sistema di istituzioni e procedure in materia di coordinamento economico e fiscale: una prima volta nel 2011 (con l’adozione del “six-pack”), quindi nel 2012 (con le proposte concernenti l’istituzione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), ancora nel 2013 con l’adozione del “two-pack” e col trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance (Tscg), anche detto ‘Fiscal Compact’ (entrato in vigore nel gennaio 2013 nei venticinque paesi firmatari).
La risposta alla crisi finanziaria
La fiducia nel sistema venne riacquistata grazie a tre mosse. La prima è stata la dichiarazione da parte del Presidente della Bce che la Banca centrale era pronta a fare “tutto quanto è necessario” per preservare la moneta unica. La seconda è stato il lancio dei programmi di aggiustamento in una serie di Paesi indebitati.
La terza mossa fu rappresentata dal lancio nel giugno del 2012 dell’Unione bancaria (Ube). Venne istituito il Meccanismo di vigilanza unico (Mvu) sulle banche più grandi e più importanti della zona euro e il Meccanismo di risoluzione unico (Mru) che mira alla risoluzione ordinata delle banche in dissesto. Ancora da completare è il terzo pilastro dell’Ube che riguarda la definizione di un sistema europeo di assicurazione dei depositi (Edis). Per quanto incompleta l’Ube ha posto le basi per la continuazione del processo di unificazione monetaria mettendola al riparo – almeno per ora – dalle conseguenze di future crisi finanziarie.
La politica monetaria
Nel periodo 2014-2018 la crescita dell’Europa riprende vigore e si rafforza, sostenuta dalla politica monetaria espansiva non convenzionale della Banca centrale europea (il Quantitative Easing). Su questo quadro si abbatte la crisi Covid, una crisi senza precedenti ma anche una occasione per una radicale trasformazione della architettura istituzionale dell’Unione europea.
La politica monetaria, che nei dieci anni dallo scoppio della crisi finanziaria ha conosciuto un processo di trasformazione e di innovazione senza precedenti, non è più in grado, da sola – sia di raggiungere quell’obiettivo di inflazione (2%) ritenuto fisiologico per il buon funzionamento del sistema, sia di contribuire al sostegno della crescita. In una situazione di stagnazione, che i tassi di interesse non possano scendere oltre certi limiti indebolisce ulteriormente l’efficacia della politica monetaria.
Per colmare le insufficienze della politica monetaria è risultato evidente che i Paesi dell’eurozona debbano mettere in atto politiche strutturali per sostenere la crescita di lungo periodo: sul mercato del lavoro, dei prodotti e su quei fattori che incidono sulla propensione all’investimento, dalla giustizia civile, alla pubblica amministrazione, al sistema educativo e della ricerca.
Il Green Deal
Ma occorre anche un sostegno aggiuntivo da parte della politica fiscale, che richiede un’azione a due livelli: nazionale e comunitario. A livello di stati membri, bisogna riconsiderare l’insieme delle regole fiscali del Patto di stabilità e crescita, che vanno rese più semplici e vanno messe in grado di meglio sostenere la crescita delle singole economie. A livello europeo serve una strategia condivisa per un nuovo modello di crescita sostenibile.
Il “Green Deal” rappresenta la strategia di crescita che la Commissione guidata da Ursula von der Leyen intende seguire nei prossimi anni, a maggior ragione dopo Covid-19. È un progetto che per essere tradotto in pratica avrà bisogno di diverse componenti: investimenti pubblici, incentivi fiscali, un sistema regolatorio adeguato e, soprattutto, investimenti privati. Per quanto riguarda gli investimenti pubblici, essi incontrano in molti paesi limiti severi dalla duplice natura: la modesta disponibilità di risorse e gli ostacoli di implementazione. Per quanto riguarda le risorse, con l’avvio del Next Generation EUè stato compiuto un salto di qualità senza precedenti facendo del bilancio dell’Unione una piattaforma destinata a sostenere crescita e convergenza in dimensioni mai toccate prima e con strumenti innovativi.
Le risorse pubbliche europee, anche se significativamente accresciute, potranno coprire solo una parte dei nuovi progetti ambientali e un ruolo fondamentale toccherà ai privati. Da questo punto di vista la strategia del Green Deal si presenta cruciale perché definisce un quadro di riferimento relativo allo sviluppo tecnologico e ai modelli di consumo che permetterebbe di affermare che esiste un nuovo “modello europeo” di crescita e benessere sostenibile dal punto di vista sia ambientale che sociale. E che potrebbe “contaminare” in senso positivo altre regioni del mondo.
La gestione della crisi Covid
Al di là del Green Deal, le risposte alla crisi si sono articolate su diversi piani. Un primo piano ha riguardato la sospensione dei vincoli alla politica di bilancio (sospensione del Patto di stabilità e crescita) e parzialmente dei vincoli imposti dalla disciplina degli aiuti di stato. Un secondo piano ha riguardato l’intervento della Bce che ha introdotto nuove facilities per affrontare la pandemia, assicurando un intervento praticamente senza limiti sul mercato dei titoli di stato dei Paesi della zona euro.
Ma, di fronte alla violenza del coronavirus, è emerso che il livello nazionale di intervento, pur sostenuto dall’azione della Bce, non poteva essere sufficiente a gestire la crisi, né a rafforzare le istituzioni europee per contrastare le crisi future. In particolare, è emerso che l’Europa si dovrà dotare di una capacità fiscale autonoma, da utilizzare accanto alla politica monetaria comune. Ma questo obiettivo rimane per il momento rinviato. In mancanza di un vero salto verso l’unione fiscale sono stati introdotti nuovi strumenti. La Bei dovrà attivare garanzie per investimenti a piccole e medie imprese fino a un massimo di 200 miliardi. È logico attendersi che nella allocazione delle risorse prevarranno criteri legati alla crescita sostenibile, in coerenza con il Green Deal.
Il Mes
Il Mes dovrebbe concedere prestiti di durata decennale a un costo molto inferiore al valore di mercato fino a un massimo del 2% del Pil del Paese richiedente (36 miliardi per l’Italia). I fondi sarebbero concessi con una unica condizione, che siano utilizzati per migliorare con interventi diretti e indiretti la funzionalità del settore sanitario. Gli stanziamenti sarebbero generosi e una parte delle risorse potrebbe essere destinata agli investimenti per la sicurezza delle condizioni di lavoro all’interno delle imprese.
Il Sure
Il Sure, il meccanismo di sostegno al mercato del lavoro potrebbe mobilizzare, anche attraverso l’emissione di titoli da parte della Commissione europea con garanzia dei Paesi membri, fino a 100 miliardi, tra i 18 e i 37 miliardi per l’Italia, a un costo molto più basso di quello di mercato. Sarebbero risorse aggiuntive rispetto agli ammortizzatori sociali nei bilanci nazionali. Pur essendo strumenti di emergenza sarebbero assai utili per evitare che l’impatto della crisi sul mercato del lavoro lasci ferite permanenti e tali da richiedere interventi di natura strutturale.
Il Recovery Fund
Infine il Recovery Fund, l’iniziativa della Commissione, Next Generation EU; cambia l’Europa, o meglio la cambierà se riuscirà a orientare le linee di intervento dei livelli nazionali ed europeo necessari per guardare a un’Europa per le nuove generazioni, con programmi strutturali coerenti con il Green Deal a e la rivoluzione digitale.
Le risorse dovrebbero derivare dalla emissione di titoli garantiti dal bilancio europeo che andrebbe rafforzato in dimensione anche grazie alla introduzione di “risorse proprie” come una web tax, una tassa sulla emissioni, una tassa verde “di confine”. Le emissioni sarebbero di titoli “europei” destinati a finanziare beni pubblici europei, quali appunto la sostenibilità ambientale, la diffusione delle nuove tecnologie, il mercato interno. Non sarebbero invece destinati a mutualizzare il debito pregresso. Nel complesso si tratterebbe comunque di importanti passi avanti verso l’unione fiscale.
Il Recovery Fund dovrebbe soprattutto fornire risorse per accelerare la convergenza delle economie dell’Unione, evitare il rischio che la crisi coronavirus accentui le divergenze e accresca il rischio di frammentazione. È qui che entra in gioco il ruolo degli Stati membri. Tocca infatti agli stati decidere se e come utilizzare al meglio questa opportunità.
Verso la stabilizzazione macroeconomica
Guardando avanti, dopo gli strumenti per le risorse proprie e l’emissione di titoli europei, nel cammino verso il completamento di una unione fiscale manca la funzione della stabilizzazione macroeconomica a livello europeo, funzione solo in minima parte assolta dal meccanismo Sure, che comunque opera su base temporanea. Uno sviluppo concreto potrebbe prendere la forma di un meccanismo di assicurazione comune contro la disoccupazione ciclica, secondo una proposta già avanzata dal Governo italiano nel 2016.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
L’Europa cambia la sua architettura istituzionale in un anno di crisi globale, la crisi del Covid-19, a poco più di dieci anni dallo scoppio della crisi finanziaria avviatasi negli Usa nel mercato dei subprime e poi deflagrata con il crollo della Lehman Brothers, quindi alimentata dalla grande recessione del 2009 e arrivata in Europa.
La crisi finanziaria
L’intreccio tra crisi bancarie e dei debiti sovrani è stato il peculiare meccanismo al centro della crisi dell’area euro negli anni che vanno dal 2010 al 2013. Un intreccio rimasto a lungo non gestito in quanto i Governi dei Paesi europei non hanno avuto né gli strumenti comuni (Unione bancaria) né la volontà politica di farlo. A differenza degli Stati Uniti dove la crisi finanziaria fu affrontata fin da subito e con successo.
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