Guerra di Gaza: Israele e Stati Uniti sempre più distanti
Il dialogo è difficile e il fulcro della crisi sembra essere proprio Netanyahu. Secondo gli americani il premier israeliano starebbe usando la guerra a Gaza per i suoi scopi. D’altra parte, la politica di disingaggio totale dal Medio Oriente dell’amministrazione Biden è stata disastrosa.
Israele e Stati Uniti, amici storici di sempre, forse non sono mai stati così distanti. Fonti diplomatiche sia americane che israeliane confermano che la situazione è quanto mai complicata e tesa. Ormai sono settimane che il presidente americano Biden non parla direttamente con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e anche i suoi collaboratori, a quanto si apprende, preferiscono parlare direttamente con Benny Gantz, esponente di spicco del gabinetto di guerra, ma che prima della guerra era all'opposizione.
Venerdì 19 gennaio i due si sono parlati, dopo 27 giorni di silenzio. L'ultima loro conversazione, risale allo scorso 23 dicembre quando Biden avrebbe interrotto bruscamente una loro telefonata con le parole: "Questa conversazione è finita". Il fulcro della crisi sembra quindi essere proprio Netanyahu.
La telefonata di venerdì 19, nella quale Biden ha ribadito la necessità di ridurre le vittime civili, di riportare indietro gli ostaggi e di portare avanti la soluzione a due stati, sarebbe durata una quarantina di minuti e si sarebbe svolta in un clima cordiale, nonostante i giorni precedenti avevano visto le due amministrazioni mettersi su posizioni opposte.
Fonti diplomatiche americane, che hanno scelto di rimanere anonime, hanno riferito che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden sta "esaurendo" la pazienza con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Secondo gli americani il premier israeliano starebbe usando la guerra a Gaza per i suoi scopi, ovvero per sopravvivere ancora politicamente e almeno essere ricordato per quello che ha annientato Hamas e vinto la guerra a Gaza, ridando sicurezza al popolo israeliano.
Gli americani, nonostante tutto, cercano di mantenere almeno formalmente un'immagine positiva, non facendo mancare il proprio sostegno a Israele, ma è ormai evidente che gli Usa non condividono molte delle posizioni israeliane. Sembra che Biden e altri alti funzionari americani siano parecchio contrariati per il fatto che Netanyahu non abbia, almeno finora, risposto positivamente alle recenti richieste dell'amministrazione Biden sulla guerra nella Striscia di Gaza.
In particolare, gli Stati Uniti vorrebbero che Israele si impegnasse a rispettare un calendario preciso e a passare dall'operazione militare ad "alta intensità" a Gaza a una a "bassa intensità". Cosa che è stata annunciata, ma sul campo, a parte il ritiro di alcuni soldati, non si è vista. La necessità dell'amministrazione Biden è dare una risposta alle critiche interne democratiche, soprattutto in campagna elettorale che è entrata nel vivo per le presidenziali. Nel fronte democratico, infatti, sono in molti coloro che non accettano la posizione israeliana.
Altro nodo è quello delle entrate fiscali palestinesi che Israele sta trattenendo e che invece Biden vorrebbe che venissero restituite. Netanyahu ha respinto con forza questa richiesta, cedendo alla linea intransigente del suo ministro delle Finanze, di estrema destra, Bezalel Smotrich. Questo perché le tasse che Israele raccoglie e gira all'Anp, vengono poi devolute come contributo ai familiari dei detenuti, anche di coloro che si sono macchiati di crimini contro Israele, inclusi quelli che hanno partecipato al massacro del 7 ottobre.
Oltre alla questione delle entrate fiscali, la Casa Bianca ritiene poi che Israele non stia facendo abbastanza per consentire l'arrivo di maggiori aiuti umanitari a Gaza. Altro motivo di attrito è il tema del post-guerra a Gaza. Giovedì scorso il primo ministro Netanyahu ha fatto delle affermazioni abbastanza nette che sembrano respingere l'idea di creare uno Stato palestinese. "In qualsiasi accordo futuro – ha detto Netanyahu durante una conferenza stampa a Tel Aviv - Israele ha bisogno del controllo di sicurezza di tutto il territorio a ovest del fiume Giordano, cioè Israele, Cisgiordania e Gaza. "Questa è una condizione vitale", ha detto. "Ciò si scontra con l'idea di sovranità palestinese". Il premier israeliano ha detto che chi parla del "giorno dopo Netanyahu'", facendo riferimento ad un rapporto rivelato dalla NBC preparato dal governo americano "sta essenzialmente parlando della creazione di uno Stato palestinese", al quale lui si oppone.
E' chiaro a molti che la strategia di Netanyahu sia quella di cercare di tirare avanti sperando che Biden perda le elezioni e che, con il ritorno di Trump, per lui le cose possano mettersi meglio. Alcuni analisti tuttavia smorzano i toni e sostengono che le frizioni momentanee non potranno scalfire i rapporti, solidi, tra Stati Uniti e Israele.
Dopotutto, gran parte del problema risiede anche nella scelta americana, soprattutto dell'amministrazione Biden, di disinteressarsi dell'area, di non incidere come era stato in passato, né verso una parte né verso l'altra. Il solo aiuto militare a Israele o le promesse mai mantenute ai palestinesi non possono bastare. E' necessario un cambiamento di rotta. Politica sicuramente, più che di leadership.