Non so per cosa sarà ricordato il 2014, c’è l’imbarazzo della scelta. Per me lo sarà per la prima riscrittura violenta della carta d’Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ma l’annessione russa della Crimea è solo uno dei capitoli della crisi (e poi guerra) in Ucraina. Per capire meglio cosa succederà nel nuovo anno, ecco un breviario minimo (e politicamente scorretto) degli eventi che ci hanno portato fin qui.
Euromaidan. È da lì che è incominciato tutto. La vulgata delle due parti in guerra racconta la rivolta in maniera diametralmente opposta: rivoluzione democratica, golpe neonazista. Nella maggior parte dei casi senza esserci stati. La mia è invece la versione di un giornalista che era a Kiev nei tre giorni di fine febbraio, quando circa cento persone sono morte, quasi tutte sparate a distanza da cecchini che miravano per uccidere. La rivoluzione è stata violenta, sì. Ho visto con i miei occhi manifestanti armati di fucili e pistole. Ho visto e fotografato la catena di montaggio per la fabbricazione delle molotov nelle retrovie della Maidan. E le ho viste lanciare contro la polizia. Ho visto, ma non ho potuto fotografare, le grosse molotov per le catapulte: bottiglie di plastica da 5 litri, riempite di benzina e pezzi di polistirolo che bruciano più a lungo e si attaccano ai vestiti e alla pelle. Ho visto e fotografato quelli del Pravy Sektor pronti alla battaglia. Ma ho anche visto le forze più genuine di un Paese in cerca di riscatto resistere all’inverno di Kiev. Ho visto i medici curare i feriti e i vecchi cantare l’inno, le ragazze portare tè caldo sulla prima linea e manifestanti disarmati e non violenti cadere sotto i colpi dei fucili di precisione sparati da centinaia di metri di distanza.
La Maidan funzionava come un accampamento militare, ma il nemico era solo uno. E non era il popolo. Frasi come “L’Ucraina è un Paese senza legge, in preda al terrore e al caos e nelle mani dei fascisti” (Yanukovic, 28 febbraio) o “Neonazisti, russofobi e antisemiti stanno attuando pogrom e terrore a Kiev” (Putin, 18 marzo) sono semplicemente false.
Yanukovich. Presidente regolarmente eletto con votazioni riconosciute regolari dall’Ocse. Non un dittatore, ma il capo di una cleptocrazia che ha impoverito l’Ucraina. Nemico numero uno di Euromaidan, capro espiatorio dei mali di un’intera classe politica ed economica. Non è stato cacciato, è scappato. Rinunciando al suo ruolo e legittimando la sua destituzione. Prima di scappare ha fatto trasportare in Russia su numerosi tir il suo vergognoso patrimonio.
Odessa. È la pagina più nera di tutta la storia. Il 2 maggio si scontrano in città manifestanti filoucraini e filorussi. Qualcuno spara, c’è almeno un morto tra gli ucraini. Viene dato l’assalto all’accampamento dei manifestanti filorussi che sono lì da mesi. In molti si rifugiano nella vicina Casa dei sindacati. Da fuori comincia un lungo e fitto lancio di molotov. Il palazzo va in fiamme, la polizia non fa niente. In 43 moriranno bruciati vivi, soffocati o schiantati al suolo nel tentativo di scampare alle fiamme.
È un fatto gravissimo, che getta una macchia indelebile sul movimento di Euromaidan. Le ricostruzioni sono state faziose da entrambe le parti. È ridicolo pensare che i filorussi si siano dati fuoco da soli: ci sono numerosi e incontrovertibili video (oltre che di testimonianze) del lancio di molotov. È altrettanto ridicolo pensare a un pogrom pianificato in anticipo: nessuno poteva prevedere il rifugio nella Casa dei sindacati. Ma il fatto che il rogo sia il risultato di scontri degenerati non diminuisce di una virgola la sua gravità. È vergognoso il comportamento delle autorità locali durante e immediatamente dopo la tragedia. I morti di Odessa non riposano ancora in pace. Non hanno avuto una giustizia, mentre il loro ricordo – spesso strumentalizzato – è usato per alimentare altro odio. È il potere dei martiri.
Giunta golpista. È la tesi più gettonata tra i filorussi, anche di casa nostra. Il governo ad interim nato nei giorni dopo Euromaidan sarebbe il risultato di un colpo di stato, la destituzione di Yanukovich illegittima. Il parlamento ha rimosso l’ex presidente senza fare ricorso alla procedura di impeachment prevista dalla costituzione e ha votato un ritorno al testo del 2004 in maniera irrituale. È vero, la procedura adottata dal parlamento non è stata pienamente regolare, ma va ricordato che si trattava dello stesso parlamento regolarmente eletto sotto Yanukovich e che le sue decisioni sono state prese anche col voto dei deputati del suo partito. È sufficiente questo a parlare di colpo di stato? Secondo Giulietto Chiesa e Nicolai Lilin, tanto per tirare due alti papaveri dal mazzo, certamente sì. Peccato che questi intellettuali di casa nostra (anche d’adozione) si sono tanto abituati a parlare di giunta golpista da continuare a farlo anche ora che ci sono in carica un parlamento e un presidente regolarmente eletti dagli ucraini.
Andrea Rocchelli. Il fotografo italiano è stato il primo giornalista straniero a morire durante la guerra in Donbass, insieme al fixer Andrej Mironov. Andrea è stato ucciso da un colpo di mortaio dell’esercito ucraino a Slaviansk. Hanno visto l’auto su cui viaggiava, hanno preso la mira e hanno sparato. Il primo colpo non è andato a segno. Il secondo, sì. Il capitano che ha ordinato il fuoco ha detto al Corriere il giorno dopo “Normalmente noi non spariamo in direzione della città e sui civili, ma appena vediamo un movimento carichiamo l’artiglieria pesante. Così è successo con l’auto dei due giornalisti e dell’interprete. Noi da qui spariamo nell’arco di un chilometro e mezzo. Qui non si scherza”. Nessuno gli ha detto che neanche Rocchelli scherzava. Era lì per fare il suo lavoro, proprio come lui.
(continua)
@daniloeliatweet
Non so per cosa sarà ricordato il 2014, c’è l’imbarazzo della scelta. Per me lo sarà per la prima riscrittura violenta della carta d’Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ma l’annessione russa della Crimea è solo uno dei capitoli della crisi (e poi guerra) in Ucraina. Per capire meglio cosa succederà nel nuovo anno, ecco un breviario minimo (e politicamente scorretto) degli eventi che ci hanno portato fin qui.