Con la decisione di indire un referendum per modificare la Costituzione, Alpha Condé ha creato le condizioni per il colpo di Stato del colonnello Doumbouya
Le ultime notizie in arrivo dalla Guinea riferiscono la nomina di un nuovo Primo Ministro da parte della giunta militare guidata dal colonnello Mamady Doumbouya, l’ex ufficiale della Legione Straniera, poi a capo delle Forze Speciali guineane, che lo scorso 5 settembre ha deposto con un colpo di Stato il Presidente eletto Alpha Condé. Dounbouya, autoproclamatosi Presidente della Repubblica e messosi a capo del Comitato per la Riconciliazione e lo Sviluppo (CNDR), lo scorso 6 ottobre ha infatti nominato premier Mohamed Beavogui, un funzionario internazionale di lungo corso, di casa a Roma avendo egli ricoperto vari incarichi nella Fao.
Altre novità di rilievo sono le scelte compiute dalla giunta militare nelle settimane iniziali di vita. Per prima cosa Doumbouya ha tentato di rassicurare le varie etnie guineane con delle concessioni: ha liberato una buona parte dei prigionieri politici, ha aperto le sedi di quei partiti che erano stati chiusi, ha perfino varato un taglio, minimo, al costo della benzina. Poi ha promesso elezioni. Quando? Con calma. Forse tra 24 mesi, più probabilmente tra 30. C’è chi dice tra cinque anni. Insomma, il colonello ha dato contentini ma non ha fatto alcuna concessione sul fronte elettorale.
E il Presidente deposto che fine ha fatto? Dove è finito l’ottantatreenne Alpha Condè dal giorno dell’assalto al palazzo presidenziale? Nostre fonti riferiscono che Dounbouya, dopo averlo tirato fuori a colpi di mitraglia dalla sua residenza, stia ora tentando almeno di preservare la vita del vecchio professore di economia, un mandinga come lui. Nelle prime 48 ore dopo il golpe, Condé è rimasto alla Sekoutoureya guardato a vista dai fedelissimi del colonnello, gli stessi che avevano fatto irruzione. Il terzo giorno il Presidente deposto è stato trasferito segretamente pare a Makombo, un luogo controllato dai putshisti.
Chi ha potuto parlare con Condé riferisce di un uomo combattivo, lucido che per due giorni ha rifiutato cibo nel timore di essere avvelenato. Un comportamento che ha costretto i suoi carcerieri a portare nel piccolo appartamento trasformato in prigione, il suo cuoco e la sua cameriera, e anche a concedergli l’uso parziale del suo telefono cellulare. Ma niente di più. Risulta anche che Doumbouya gli abbia offerto un facile asilo all’estero ma che Condé abbia fermamente rifiutato.
Nel dopo golpe, una notizia importante arriva dal Vaticano. Si tratta della lettera che il cardinale guineano Robert Sarah, ex Prefetto della congregazione per il culto, membro della Congregazione per le chiese orientali e figura eminente della curia romana, molto legato al Papa emerito Benedetto XVI e alquanto lontano da Papa Francesco, ha scritto a Doumbouya. È una lettera formale, l’unico riconoscimento internazionale ricevuto dai militari e che, come tale, oltre a suscitare scalpore, è stata considerata un’ingerenza esterna nella vita del paese centrafricano. Nella missiva, Sarah di fatto dà un via libera alla nuova giunta militare. “Le pagine sono tornate bianche”, ha scritto il prelato, invitando poi la giunta a liberarsi “di tutti i predatori inveterati del nostro Paese, corrotti e incompetenti che hanno accompagnato i Governi di Sékou Touré, Lansana Conté, Moussa Dadis Camara e Alpha Condé”.
Dietro questa lettera partita dalla Santa Sede vi è tuttavia una spiegazione “politica”. Il Cardinale avrebbe deciso di legittimare la giunta soltanto per riprendere potere nel paese di cui è stato a lungo Vescovo. Una scelta volta a recuperare terreno in un continente dove Papa Francesco ha nominato 18 cardinali, spostando di fatto gli equilibri disegnati dal suo predecessore e riferimento di Sarah, cioè Benedetto XVI. Fin qui la cronaca dei retroscena e dei fatti più rilevanti avvenuti dopo il golpe.
Tuttavia è utile fare un passo indietro per analizzare la situazione politica e ricostruire quello che è successo in Guinea prima del colpo di Stato. Ho conosciuto e intervistato più volte Alpha Condé. L’ho incontrato in Italia, ma anche a Londra, a Parigi e a Conakry. Sono stato suo ospite nel controllatissimo Palazzo della Sekoutoureya. Questo mi ha consentito di conoscere la sua vicenda umana e politica. Condé ha una storia personale caratterizzata da una evidente forza di volontà, sommata a talento e determinazione. Discendente da famiglie nobili e guerriere, ha combattuto le sue battaglie sempre con il piglio del leader. Che fosse tra i contestatori giovanili di Conakry o tra i leader studenteschi africani che a Parigi si battevano per i diritti dei loro compatrioti, Condé è stato sempre in prima linea. Questo gli è costato sofferenze, galera, esilio ma anche riconoscimenti come la prestigiosa cattedra alla Sorbona.
Poi, dopo mille sconfitte, alle prime elezioni libere tenute dopo decenni di dittature diventa il primo Presidente eletto. Sono tempi drammatici: il Paese è alla fame, senza infrastrutture, senza progetti, dilaniato da inefficienze e corruzione. Poco dopo la sua ascesa al potere, arriva per di più Ebola, una piaga sanitaria e umanitaria terribile. Condé tiene il Paese unito, sconfigge il male e viene rieletto per la seconda volta. Poco dopo viene eletto anche Presidente dell’Unione Africana, una carica che gli dà visibilità e prestigio, ma soprattutto che gli consente di attrarre sul suo paese ingenti finanziamenti internazionali.
Ed è proprio in quegli anni che la strada di Condé si biforca: la Costituzione guineana, mai approvata da referendum popolari, gli impedisce di andare oltre il secondo mandato. Quindi al professore della Sorbona non rimangono che due opzioni: lasciare la politica al termine del secondo mandato, oppure indire un referendum per modificare i dettati costituzionali. Una scelta complicata, con grandi rischi da un lato e dall’altro. “Il paese non è pronto ad andare da solo – mi dice in una delle nostre interviste – è ancora troppo fragile per gestire i progetti e i soldi che abbiamo portato”. Indice così il referendum e, tra tensioni, violenze e dure contestazioni, lo vince.
Ma probabilmente è proprio lì che commette l’errore fatale. Anziché assicurarsi un terzo ed ultimo mandato, le riforme approvate gliene garantiscono altri tre. Troppi anche per un paese che lo ha sempre visto come il padre della patria. Doumbouya è un giovane militare fatto crescere proprio da Alpha Condé, che gli affida la formazione delle Forze speciali. Il suo tradimento, il colpo di Stato che ordisce e porta a segno, hanno luogo senza grandi spargimenti di sangue perché altri pezzi importanti del paese, e anche personalità vicine allo stesso Condé, lasciano fare. Chi conosce il Palazzo presidenziale di Conakry sa che non si entra lì dentro se non con un consenso militare ampio. I golpisti sono entrati di fatto senza incontrare resistenza.
Alpha Condé è uno statista con molti meriti e qualche responsabilità. La più grande è quella di avere creato le condizioni per fare tornare al potere i militari, gente che si sa quando entra ma non si sa quando esce. E questo introduce un tema decisivo per la società contemporanea che è quello della governabilità. La storia dimostra che la democrazia è un sistema di gestione della vita pubblica fragile. Anche nei paesi sviluppati. Dimostra anche che la democrazia non si può esportare e che certi paesi quando sono gestiti da regimi forti spesso hanno vite migliori. Ma questo è un altro tema. Ai guineani rimane ora una sola domanda: era meglio ancora qualche anno con l’ex professore della Sorbona o è meglio affidare il proprio destino ad un colonnello formatosi nella legione straniera? “La storia – diceva Konrad Adenauer – è la somma totale delle cose che avrebbero potute essere evitate”.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
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Altre novità di rilievo sono le scelte compiute dalla giunta militare nelle settimane iniziali di vita. Per prima cosa Doumbouya ha tentato di rassicurare le varie etnie guineane con delle concessioni: ha liberato una buona parte dei prigionieri politici, ha aperto le sedi di quei partiti che erano stati chiusi, ha perfino varato un taglio, minimo, al costo della benzina. Poi ha promesso elezioni. Quando? Con calma. Forse tra 24 mesi, più probabilmente tra 30. C’è chi dice tra cinque anni. Insomma, il colonello ha dato contentini ma non ha fatto alcuna concessione sul fronte elettorale.