Una contesa storica, culturale e identitaria oltreché militare e geopolitica: il conflitto russo-ucraino si muove intorno alla memoria di un passato che si vuole far tornare
Il secondo conflitto russo-ucraino iniziato il 24 febbraio scorso con l’invasione militare su larga scala dell’Ucraina voluta da Vladimir Putin, oltre che aver confermato l’Ucraina come epicentro primario sullo scacchiere globale, ha aggiunto per forza di cose un altro capitolo all’evoluzione dell’identità e del nazionalismo ucraino. Una storia, quella dell’identità nazionale ucraina, che ha subito molte differenti fasi nel passato, e che è riuscita − anche a sorpresa di molti, sia osservatori, che avversari o nemici geopolitici − a continuare ad esistere durante e ben oltre l’Urss, nel complessissimo quanto incerto spazio post-sovietico. Una statualità per certi versi fragile, specie in determinate regioni storicamente contese, facile preda di turbolenze e tensioni con i paesi limitrofi, Russia in primis. Una statualità e una sovranità parse a tratti a rischio, ma accompagnate da un’idea di nazione che ha comunque mostrato una indubbia resilienza e un senso di unità per molti aspetti di certo inaspettata, e che ha retto urti e rischi di depotenziamento. Proprio riguardo il corso dello spirito nazionale e l’identità, il 24 agosto scorso, giorno dell’indipendenza per Kiev, il Presidente ucraino Zelensky ha financo affermato che con l’invasione russa iniziata il 24 febbraio l’Ucraina è rinata. Dietro le dimensioni geopolitiche attuali, lo sappiamo (o dovremmo saperlo!) si celano gli antichi grovigli della storia, le mille lotte del passato per il potere, gli scontri, gli armistizi, le fasi di cooperazione regionale e gli abissi delle guerre, che gettano la loro lunga ombra sull’attualità.
Le origini della Rus’ di Kiev e della Russia
Una storia estremamente complessa, quella delle identità in questa regione, forgiate lungo i secoli, della Rus’ di Kiev, impero alto medievale dal quale si generarono nei secoli le identità russe, ucraine e bielorusse, sino ai giorni nostri. Prima di venire all’attualità del conflitto e alle trasformazioni inerenti allo spirito nazionale ucraino, vale dunque la pena rivedere subito, in pillole, da dove nasce questo groviglio di identità slave orientali: similari, nate in uno stesso humus geo-etnico, certo, ma allo stesso tempo diversificatesi sul lungo periodo e lacerate da battaglie, lotte, appartenenze, e visioni del mondo mutate nei tempi lunghi della storia. Rus’ di Kiev, dicevamo, la culla di tutti i nazionalismi degli slavi orientali. Regno nato sul finire del IX secolo da avventurieri variaghi, quindi d’origini scandinave, ben presto fusisi con le autoctone popolazioni locali slave (al tempo pagane), regno che vide una grande espansione che lo portò ad essere − fino al XIII − uno dei più importanti imperi dell’area. Si estendeva dal Mar Nero al Caspio, dalle steppe eurasiatiche al Baltico; un regno con fitti rapporti con le più svariate culture confinanti: ebrei, musulmani cristiani. Specificando: gli ebrei di Khazaria, i musulmani tatari e peceneghi e, soprattutto i cristiani del regno di Bisanzio.
La contrapposizione tra Russia e Ucraina
Ed è proprio la dimensione religiosa una linea di faglia di questa antica contrapposizione tra russi e ucraini. Capitale di questo antico regno era infatti Kiev, al tempo convertita al cristianesimo bizantino dal celebre Vladimir I detto il Santo, stesso nome dei due nemici odierni, Putin e Zelensky. Da questo regno medievale, che al tempo non era espressione di una nazionalità specifica ma uno spazio condiviso di slavi orientali, si svilupperanno nei secoli le tre nazionalità dell’area: russi, ucraini e bielorussi.
È noto come fu la Russia lo Stato che nel corso della storia ebbe un impatto maggiore sul sistema internazionale, con la sua forma imperiale che così a fondo ha plasmato il sistema delle relazioni internazionali e il sistema europeo. La nazionalità ucraina invece (come quella bielorussa) giacque per secoli in modo a tratti latente sotto l’ombra di vari imperi. Tra questi ricordiamo la plurisecolare presenza dell’impero polacco-lituano − una presenza che ebbe importanti effetti sull’evoluzione dell’identità ucraina con la creazione della chiesa greco-cattolica ucraina e la nascita del Cosaccato, le due anime della nazione ucraina. Un rapporto, quello con la Polonia, di importanza capitale per capire gli sviluppi della nazionalità ucraina. Iter di costruzione di una identità nazionale, per concludere questo sinottico excursus storico, che si è concretizzato nel secolo XIX con i primi pensatori politici che formularono dottrine e idee per la nazione in fieri, una letteratura nazionale e la nascita di una propria storiografia.
Il cammino verso l’indipendenza
Le vicende storiche nel secolo breve cosiddetto, segnarono drammaticamente il cammino verso l’indipendenza di questa peculiare nazione e del suo spazio geopolitico, con dinamiche fondamentali − da un lato terribili e, per qualche aspetto, come vedremo, anche vantaggiose − occorse sotto l’era staliniana. Due in particolare gli eventi da ricordare: l’holodomor (morte per fame) che colpì in modo virulento alcune nazionalità dell’impero sovietico ma particolarmente la popolazione ucraina con milioni di morti per via del sequestro del grano per volere del dittatore sovietico; le dinamiche invece più vantaggiose per la formazione dello stato ucraino di cui accennato sopra riguardano la ricomposizione di un territorio nazionale ucraino architettata sempre da Stalin nel dopoguerra: in quel caso Stalin decise di assegnare alla Repubblica socialista sovietica d’Ucraina un vasto territorio, sottratto ai vari stati limitrofi, che abbracciava tutti i territori dove nei secoli si registrò una presenza rutena.
Nella seconda metà del XX secolo invece l’evento più noto e al contempo più drammatico fu l’incidente nucleare di Černobyl: ciò ebbe le sue chiare conseguenze politiche in quanto incrinò ulteriormente la fiducia degli ucraini − così come degli altri popoli dell’Unione sovietica − verso il potere centrale moscovita. Un evento che tra l’altro allunga la sua inquietante ombra sui nostri giorni, con gli scontri attorno al reattore nucleare di Zaporizhzhia, con la preoccupazione globale per il rischio di una replica dello scenario occorso in epoca sovietica. Fu tuttavia con il dissolvimento dell’Urss che l’Ucraina divenne infine uno stato sovrano indipendente con la storica dichiarazione d’indipendenza del 24 agosto 1991.
L’Ucraina nell’era post-sovietica
Nell’era post-sovietica, fino all’esplosione della crisi del 2014, l’Ucraina ha proseguito tutto sommato un suo normale iter di consolidamento: tra alti e bassi nella gestione della res publica, tra difficili equilibri in termini di alleanze regionali, tra cambi di fazioni politiche al potere e crisi di governo, tra difficoltà con i processi di riforme e la graduale costruzione di una società civile e di una forma di democrazia rappresentativa. Se, come sappiamo, questi decenni post-sovietici sino alla crisi violenta del 2014 hanno avuto come cardine la neutralità dello stato ucraino e la volontà di un rapporto normale con Mosca, è altrettanto vero che la spinta verso le strutture euroatlantiche è gradualmente cresciuta.
Questa via, che simboleggiava parallelamente altresì una volontà ucraina di marcare chiaramente una diversità anche identitaria dalla Russia, ha poi preso sempre più piede alla luce delle azioni russe seguite alla rivolta di piazza del 2014 di Euromajdan, ossia l’annessione russa della Crimea e l’instabilità armata nel Donbass. Difatti, i vari sondaggi nel tempo, dal 2014 al 2022, hanno mostrato un aumentato senso patriottico e anche, man mano che la minaccia di una nuova turbolenza con Mosca emergeva, una maggiore volontà di integrazione con la Nato. Questo trend si è poi concretizzato nei primi mesi di guerra, dove la resistenza è avvenuta proprio nelle aree generalmente considerate, con un po’ di superficialità e approssimazione, zone russofone quindi filorusse. Una conferma del fatto che la divisione che si riteneva netta tra un est filorusso e un centro-ovest più nazionalista ucraino e ucrainofono non corrispondesse totalmente al vero: è chiaro che quelle linee di divisione identitaria esistono nel paese, ma sempre meno nitide e più sfuocate di un tempo.
Quale il futuro dell’Ucraina?
In questa contesa militare e geopolitica, che è tuttavia anche una contesa storica, culturale e identitaria, le domande cruciali da porsi per il futuro sono le seguenti: cosa ne sarà dei territori oggi sotto occupazione russa? Come reagiranno sul lungo periodo le popolazioni ucraine − quelle non emigrate − in luoghi come ad esempio Kherson, Mariupol, Berdiansk e Mykolayiv? Quali tipi di reazioni vedremo: di resistenza civile, politica, oppure di resistenza armata in uno scenario di guerriglia post-war stile iracheno? O una percentuale della popolazione russofona accetterà di convivere col potere russo? Quali saranno gli effetti sullo spirito nazionale ucraino in queste regioni? Vi sarà una fusione tra i due popoli come auspicano, e suggeriscono, i cartelloni propagandistici russi nelle città sopramenzionate riportanti la frase noi siamo un solo popolo? Slogan che, d’altronde, si ricollegano al senso principale di un articolo a firma di Vladimir Putin scritto mesi prima di muovere guerra all’Ucraina, dal controverso titolo Sull’unità storica di russi e ucraini, nel quale rimarcava come, nella sua visione, si trattasse semplicemente di un solo popolo. Nello stesso articolo, Putin si riprometteva di rispettare lingua e tradizioni ucraine: promesse che oggigiorno, dopo sei mesi di sanguinoso conflitto, appaiono agli ucraini, per usare un eufemismo, sempre meno credibili. Ritorniamo così, evidentemente, lungo un filo rosso che si unisce alla prima parte, dove abbiamo visto le fondamenta della culla degli slavi orientali, la Rus’ di Kiev, così presente nella narrativa russa.
Tuttavia, al netto dei ragionamenti storici o, altrimenti, basandosi su di essi, non è stato possibile per il Cremlino fare i conti senza l’oste. Gli ucraini infatti, o quantomeno una larga parte di essi, con ben due rivoluzioni nei primi due decenni del XX secolo − la Rivoluzione Arancione del 2004 e la più nota Euromaidan del 2014 − hanno da tempo inviato segnali al mondo riguardo la collocazione in politica internazionale del loro paese, e quale stile di vita vogliono abbracciare, quale sistema istituzionale, giuridico, parlamentare, et cetera. Dopo sei mesi di guerra, questo orientamento è stato riconfermato, manu militari, in modo assertivo. È plausibile invece che Mosca si aspettasse di portare a termine le operazioni militari con tempi ben più rapidi e con una accettazione più o meno entusiasta da parte delle popolazioni ucraine da liberare. Un (mis)calcolo rivelatosi, nel migliore dei casi, impreciso. Cosa spinse Putin a scegliere la strada della guerra attendendosi scenari del tutto diversi da quelli verificatisi rimane ad oggi un mistero. Desideri neo-imperiali e sentimenti revanscisti che offuscarono l’analisi? Previsioni erronee dei servizi segreti? Entusiasmi irrealistici del cerchio magico delle oligarchie vicine al Cremlino? La convinzione errata riguardo un debole sentimento nazionalista ucraino nelle aree sud-orientali del paese? Una di queste cause o, più plausibilmente, un insieme di esse. Una scelta sulle cui reali ragioni toccherà alla storiografia indagare negli anni a venire.
Il passato che ritorna…
Sullo sfondo, rimane l’auspicio di una futura ricomposizione del conflitto e di una qualche forma di modus vivendi tra i due popoli confinanti, sebbene rebus sic stantibus, tale soluzione appaia come una possibilità remota. In conclusione, come abbiamo seppur sinteticamente tracciato, rammentiamo tuttavia come tutto in questo conflitto si muova attorno al discorso storico, alla memoria di un passato che ritorna, o che si vuole far tornare; tutto nasce, si sviluppa e muore nell’alveo della memoria storica. E sempre la Storia, o meglio lo studio di essa − in particolare su questo marginalizzato quadrante geopolitico − costituisce ad un tempo lo specchio nel quale è anche possibile scorgere le future dinamiche di un’antica contesa che sta ridisegnando gli equilibri politici internazionali odierni.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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Una storia estremamente complessa, quella delle identità in questa regione, forgiate lungo i secoli, della Rus’ di Kiev, impero alto medievale dal quale si generarono nei secoli le identità russe, ucraine e bielorusse, sino ai giorni nostri. Prima di venire all’attualità del conflitto e alle trasformazioni inerenti allo spirito nazionale ucraino, vale dunque la pena rivedere subito, in pillole, da dove nasce questo groviglio di identità slave orientali: similari, nate in uno stesso humus geo-etnico, certo, ma allo stesso tempo diversificatesi sul lungo periodo e lacerate da battaglie, lotte, appartenenze, e visioni del mondo mutate nei tempi lunghi della storia. Rus’ di Kiev, dicevamo, la culla di tutti i nazionalismi degli slavi orientali. Regno nato sul finire del IX secolo da avventurieri variaghi, quindi d’origini scandinave, ben presto fusisi con le autoctone popolazioni locali slave (al tempo pagane), regno che vide una grande espansione che lo portò ad essere − fino al XIII − uno dei più importanti imperi dell’area. Si estendeva dal Mar Nero al Caspio, dalle steppe eurasiatiche al Baltico; un regno con fitti rapporti con le più svariate culture confinanti: ebrei, musulmani cristiani. Specificando: gli ebrei di Khazaria, i musulmani tatari e peceneghi e, soprattutto i cristiani del regno di Bisanzio.