Comunque vada a finire, c’è qualcosa che non torna nello scontro diplomatico sull’Ucraina. Pensiamoci un attimo. Da un lato c’è la Russia, con il suo presidente Vladimir Putin che cerca di trascinare Europa e Stati Uniti d’America nelle sabbie mobili di un conflitto aperto. Dall’altro ci sono gli USA, che sono pronti ad armare l’Ucraina. E sullo sfondo, lontano lontano, c’è l’Europa. O meglio, ciò che ne rimane.
Senza mordente, incapace di gestire in modo univoco gli interessi dell’Unione, incurante delle ripercussioni future delle sue azioni. È questa l’Europa di oggi, che sta mostrando tutte le sue debolezze nella dialettica fra Mosca e Kyiv.
Le domande da porsi non sono poche. La prima è la più spaventosa nel lungo periodo. Come può sopravvivere un’Europa che non è capace di essere unita nella realtà e non solo sulla carta? Pensiamo all’Italia, ancora divisa fra Nord e Sud. O pensiamo alla Grecia, e al suo rapporto con la Germania e l’Ue, considerate due minacce, non due alleati. Il dibattito intorno al debito greco non è altro che il fallimento di un processo di integrazione che doveva essere diverso, più volto a guardare a come crescere insieme invece che a salvaguardare gli interessi particolari. Parlando con un diplomatico francese di lungo corso nei giorni scorsi, in una discussione tanto foriera di spunti quanto carica di incertezza sul destino dell’Europa, mi sono domandato come essa si possa descrivere oggi a un bambino. Che forma ha l’Europa? Cos’è l’Europa? Da chi è rappresentata? Se guardiamo alla crisi ucraina, è inutile ribadire che ogni risposta ha una connotazione negativa. A oggi l’Europa ha una forma solo geografica, mentre è carica di divisioni, di muri invisibili che le impediscono (e le impediranno) di crescere e maturare.
Inutile girarci intorno. L’Europa manca di rappresentanza e legittimità. L’Italia, uno dei sei membri fondatori, ha gestito il suo semestre di presidenza del’Ue in modo dozzinale. Ha chiesto una poltrona, quella dell’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, data a Federica Mogherini. Non me ne voglia l’ex ministro degli Affari esteri, ma se c’era la possibilità di fare peggio del suo predecessore, la baronessa Catherine Ashton, la Mogherini ci è riuscita. A negoziare fra Mosca, Kyiv e Washington non è andate lei, ma il presidente francese François Hollande e il cancelliere tedesco Angela Merkel. È questo quindi il senso di unità, di rappresentanza, che l’Europa vuole dare all’esterno. Non stupiamoci se le nuove generazioni, specie nei Paesi più flagellati da quella che non è solo una crisi economica bensì un totale ribilanciamento dei fattori produttivi delle economie avanzate, non riconoscono l’autorità dell’Europa e la vedono come una minaccia, come un diavolo da esorcizzare o come un nemico da combattere.
La seconda domanda non è meno terrificante della prima. Quando arriverà il collasso? È dalla fine della Seconda guerra mondiale che l’Europa cerca un proprio equilibrio, senza trovarlo. E bene o male fino al 2008, quando è collassata Lehman Brothers, aveva anche una sorta di bussola, spinta da motivi economici. Ha creato l’eurozona, ha creato la Banca centrale europea (Bce), ha creato il mercato unico e, non senza difficoltà, ha saputo costruire un solido impianto di gestione delle crisi finanziarie, almeno in teoria e solo dopo il 2009. Tuttavia, all’evoluzione in campo economico e finanziario non c’è stato un seguito della classe politica, che rimane chiusa nelle sue torri d’avorio e nelle divisioni che hanno sempre contraddistinto, a livello territoriale e culturale, l’Europa. Più si va avanti e più peggiora la situazione economica, più si creano divisioni e asimmetrie, più la decadenza sarà accelerata.
Infine, la terza e ultima domanda. Cosa può fare l’Europa per cambiare il proprio corso? Anzi, come è possibile fermare la decadenza attuale? Senza speranza non si può pensare di modificare alcunché. E dato che, come ci ricorda periodicamente Eurobarometer, ve n’è sempre meno nelle nuove generazioni (e nelle vecchie sta calando sempre più) gli scenari che si aprono sono poco rosei. Un ulteriore colpo potrebbe arrivare dal referendum in Regno Unito: se Londra votasse per uscire dall’Ue, la credibilità ne risentirebbe in modo imprevedibile. Stesso discorso nel caso a lasciare fosse la Grecia, una situazione nella quale l’Europa non ha imparato alcunché e che già oggi è una delle peggiori pagine della sua storia.
Senza identità e senza una posizione comune, l’Europa ha bisogno di rivivere nel sogno di Konrad Adenauer, Joseph Bech, Alcide De Gasperi, Jean Monnet, Robert Schuman, Paul-Henri Spaak e Altiero Spinelli. Deve ritrovare la sua dimensione e il sentore è che adesso sia troppo tardi. Il declino della politica internazionale europea si era già osservato con la gestione del conflitto dei Balcani, così come durante la prima guerra del Golfo. Ciò che viviamo oggi, quel maledetto clima di tentennamento e indecisione che caratterizza la politica estera europea, non è altro che il frutto delle scelte sbagliate nei decenni scorsi. Per sognare, però, serve prima avere speranza nel futuro e capacità di imparare dai propri errori, anche a costo di prendere scelte impopolari. Due fattori che all’Europa di oggi mancano. Europa, se ci sei batti un colpo.
Comunque vada a finire, c’è qualcosa che non torna nello scontro diplomatico sull’Ucraina. Pensiamoci un attimo. Da un lato c’è la Russia, con il suo presidente Vladimir Putin che cerca di trascinare Europa e Stati Uniti d’America nelle sabbie mobili di un conflitto aperto. Dall’altro ci sono gli USA, che sono pronti ad armare l’Ucraina. E sullo sfondo, lontano lontano, c’è l’Europa. O meglio, ciò che ne rimane.