La regione in cui le automobili elettriche si svilupperanno più rapidamente è la Cina, dove quasi un’auto su tre, entro il 2030, sarà elettrica. In Europa i veicoli elettrici hanno un costo molto elevato, c’è carenza di infrastrutture, materie prime e mano d’opera specializzata.
Il 2024 è iniziato con l’annuncio che Hertz, una delle più grandi società di noleggio auto senza conducente al mondo, sostituirà un terzo delle sue auto elettriche con veicoli convenzionali. Sono ben 20.000 i veicoli da rivendere, a causa della bassa domanda dei clienti e dei maggiori costi di riparazione, e rimettendoci circa 245 milioni di dollari, a causa del deprezzamento dei veicoli a batteria. Solo un paio di anni fa, con l’acquisto di un gran numero di auto a batteria per il suo mercato negli Stati Uniti Hertz aveva avviato un processo che prevedeva di convertire all’elettrico il 25% della sua flotta entro la fine del 2024. Ma il piano non ha funzionato: non solo perché la domanda dei clienti si è rivelata molto più bassa del previsto, ma anche perchè si sono riscontrati due problemi imprevisti: il maggior numero di incidenti, i costi di riparazione più elevati e i tempi molto lunghi. Da cui una minor redditività delle auto ferme senza funzionare che si è rivelata insostenibile.
A maggio, uno studio della London School of Hygiene & Tropical Medicine ha confermato che le auto elettriche sono più coinvolte in incidenti stradali con pedoni rispetto alle auto tradizionali: 2,4 ogni 100 milioni di miglia percorse in un anno per le auto tradizionali; 5,16 per le auto a funzionamento elettrico. Ipotesi avanzate: di un motore silenzioso ci si accorge di meno; le auto elettriche sono in proporzione più usate da guidatori più giovani e più inesperti. Dalla Francia viene invece lo studio di Que Choisir, che analizzando nel dettaglio 25 modelli di auto elettriche ha evidenziato discrepanze del 30% tra le prestazioni promesse dalle Case e quelle effettive delle vetture alla spina.
Anche altre notizie di maggio sembrano confermare il momento no delle auto elettriche. La stessa Tesla, ad esempio, nell’ultimo suo report ha ammesso che non riuscirà a consegnare 20 milioni di auto elettriche all’anno dal 2030, come preannunciato. In realtà, con diffuso scetticismo degli analisti, dubbiosi su un piano di espansione per cui Tesla sarebbe arrivata a produrre più del doppio della Toyota, primo costruttore automobilistico al mondo. La dichiarazione è stata comunque letta come un ulteriore segnale del fatto che la Casa si stia allontanando sempre di più dalla produzione di automobili per concentrarsi su attività maggiormente redditizie come l’intelligenza artificiale, la guida autonoma e, proprio in relazione a queste due, il Robotaxi. Anche Lucid Group, casa automobilistica statunitense fondata nel 2007 e specializzata in vetture a batterie, ha deciso a maggio di ridurre la propria forza lavoro del 6%, vale a dire circa 400 dipendenti, per una crescita più lenta del previsto. Ma già nel 2023, Volkswagen aveva tagliato 269 posti di lavoro presso la sua fabbrica di Zwickau, in Germania, a causa della “situazione del mercato”. A febbraio Polestar ha annunciato il taglio di 450 posti di lavoro, pari al 15% del totale. A marzo 2024 Stellantis ha ufficializzato un mese di stop allo stabilimento di Mirafiori, dove si produce anche la 500 elettrica. A sua volta, la Ford ha ridotto la produzione del suo F-150 Lightning, il pick-up elettrico lanciato due anni fa.
Resta il dubbio se effettivamente Tesla abbia previsto un vero e proprio stop, o non piuttosto una saturazione del mercato per eccesso di concorrenza, da compensare con lo spostarsi su settori dove invece di competizione ce ne sia di meno. In realtà, la scelta strategica dell’Unione Europea di arrivare alla sostituzione piena dell’elettrico a benzina e diesel entro il 2035 per il momento resta. Anche un governo composto da forze politiche in teoria critiche verso questa scelta come quello di Giorgia Meloni, dal 3 giugno ha fatto partire nuovi incentivi sulle auto elettriche, con un Eurobonus che prevede sconti fino a 13.750 euro. È stato dunque stanziato un miliardo: sia con l’obiettivo generale di rilanciare il settore dell’industria automobilistica; sia per colmare il distacco nella transizione verso l’elettrico che al momento separa l’Italia dalle altre grandi economie europee. Anche Stellantis ha comunicato ufficialmente un proprio sistema di incentivi che vanno aggiungersi a quelli statali.
L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha comunque stimato che entro la fine del 2024 il numero di auto elettriche presenti nel mondo raggiungerà i 17 milioni. “Più di un’auto su cinque venduta in tutto il mondo quest’anno sarà elettrica”. Ma la regione in cui le automobili elettriche si svilupperanno più rapidamente è la Cina, dove quasi un’auto su tre, entro il 2030, sarà elettrica. In Cina, secondo la Iea, sarà venduto il 45% di tutte le vetture a zero emissioni che saranno presenti sulle strade entro la fine dell’anno. 10 milioni di auto elettriche. In Europa e negli Stati Uniti il rapporto sarà invece di una vettura elettrica ogni cinque veicoli venduti: a meno che effettivamente gli impegni presi dai governi per il 2035 vengano rispettati, nel qual caso si dovrebbe salire a due vetture elettriche ogni tre auto vendute. Ma a fine 2024 per le strade dell’Europa ci saranno solamente il 25% delle automobili elettriche di tutto il mondo, e negli Stati Uniti solo l’11%. Nei primi tre mesi del 2024, le vendite di veicoli elettrici nei Paesi Ue sono cresciute solo del 3,8%, contro un 25% mondiale.
Risale ad aprile, in effetti, un’analisi in cui la Commissione europea, attraverso i funzionari della direzione generale Mercato interno e industria guidata dal commissario francese Thierry Breton, ha ammesso i ritardi dell’industria e delle infrastrutture nell’Ue. “Il Green Deal non sarà raggiunto con la bacchetta magica o con un ordine esecutivo di Bruxelles”, ha detto Breton al quotidiano Politico. “Tutte le condizioni abilitanti devono essere soddisfatte”, ha aggiunto. Nel 2023, secondo questo documento, nella Ue sono stati venduti circa 1,5 milioni di veicoli a batteria. Sono 400.000 in più rispetto al 2022, ma a questo ritmo difficilmente l’Europa raggiungerà l’obiettivo dei 10 milioni per il 2035. Si ricorda poi come nel 2023 il 20% delle auto a zero emissioni vendute nel blocco siano state costruite in Cina. Una quota che potrebbe aumentare esponenzialmente: le vetture cinesi sono meno care, e dei sei modelli di elettrica con un prezzo medio inferiore ai 30.000 euro, la metà proveniva da Pechino. Finora nessun modello venduto in Europa costa meno di 20.000, da cui un problema di accessibilità dei nuovi veicoli per chi non ha un reddito alto. C’è poi carenza di infrastrutture: nell’Ue ci sono attualmente circa 600.0000 punti di ricarica, ma al 61% sono concentrati in Germania, Francia e Olanda. Entro il 2035 ne serviranno almeno 3 milioni.
Inoltre, mancano dati sulla capacità della rete elettrica di sostenere il carico della transizione ai veicoli a zero emissioni. E c’è il nodo occupazione, con i lavoratori dell’automotive Ue che sono diminuiti negli ultimi anni, soprattutto nell’indotto. Il passaggio all’elettrico e l’abbandono del motore a combustione richiederanno invece nuove tipologie di operai specializzati, e molti potrebbero trovarsi con competenze ormai fuori mercato. Per questo, è necessario puntare sulla formazione degli attuali occupati, con iniziative come quella Automotive skills alliance, network di costruttori, università e autorità locali, che ha lanciato un piano per la riqualificazione professionale di 700.000 dipendenti entro il 2027. Infine, si prevede che se da qui al 2026, la domanda di batterie continuerà a superare l’offerta delle gigafactory europee, entro il 2035 gli investimenti dovrebbero consentire di coprire adeguatamente il mercato interno. Ma a quel punto ci sarà il problema di reperire le materie prime necessarie.
Il documento è importante perchè in realtà la legge che introduce il divieto di auto a benzina e diesel dal 2035 contiene una sorta di freno di emergenza in base al quale la Commissione può rinviare lo stop. Entro il 2026, Bruxelles dovrà realizzare un rapporto di valutazione sui progressi nella transizione. Se tali progressi saranno considerati insufficienti, la vita del motore a combustione per i veicoli leggeri potrebbe essere allungata.
Proprio queste difficoltà hanno portato all’idea di affrontare la concorrenza con dazi, e la Commissione Europea sta portando avanti un’indagine anti-dumping sulle auto elettriche prodotte in Cina. Lo stesso Musk, però, dopo averli invocati a gennaio si è poi detto a maggio contrario ai dazi imposti da Biden. “Né Tesla né io abbiamo chiesto queste tariffe, anzi sono rimasto sorpreso quando sono state annunciate. Le cose che inibiscono la libertà di scambio o distorcono il mercato non sono buone”, ha detto alla conferenza Viva Technology di Parigi in collegamento video. “Tesla compete abbastanza bene nel mercato cinese senza tariffe e senza supporto. Sono favorevole all’assenza di dazi”. Stessa linea di Volkswagen, per cui i dazi possono rappresentare solamente una soluzione a breve termine, e sarebbe meglio sfruttare i prossimi due-tre anni per diventare più competitivi sul fronte dei costi.
Proprio questo quadro sembra indurre a un ripensamento generale, che non rinuncerebbe tanto alla transizione ecologica, ma sfumerebbe il ruolo dell’auto elettrica, per invece diversificare le risposte. Una, ad esempio, potrebbe essere l’auto ibrida. Un’altra, il rilancio del nucleare. Una terza, l’idrogeno verde. Una quarta, le tecnologie di “cattura del carbone” e geo-ingegneria. Una quinta, una rivalutazione dei biocarburanti. Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica nel governo Meloni, al G7 dedicato a Clima, Energia e Ambiente che si è tenuto a Torino il 29 e 30 aprile, e che ha raggiunto un accordo sull’addio al carbone, ha spinto in particolare su quest’ultimo fronte. “L’auto elettrica? Farà la parte del leone. Il gas naturale? Per i prossimi trent’anni sarà fondamentale. I biocarburanti? La loro presenza nel testo finale di questo G7 sono un nostro successo”, è il titolo con cui è stato sintetizzato il senso di una sua intervista di commento.
Lanciati ai tempi di George W. Bush come alternativa a una dipendenza dal petrolio sempre più geopoliticamente rischiosa, i biocarburanti finirono nell’occhio del ciclone con l’accusa di mettere a rischio la sicurezza alimentare. Ma nuove generazioni di biocarburanti sono arrivate, che si basano sui prodotti di scarto, la proiezione è che dai 119,68 miliardi di litri nel 2023 il mercato globale dei biocarburanti potrebbe raggiungere i 279,88 miliardi di litri entro il 2028, e i produttori italiani fanno ora sapere addirittura che solo col recupero degli oli da cucina usati l’Italia potrebbe essere autosufficiente dal punto di vista energetico. In Italia ci sono già due bio-raffinerie, più una terza in realizzazione, e le 800 stazioni che già distribuiscono biocarburante al 100% da fonti rinnovabili, dovrebbero diventare 1000 entro fine anno. Deriva da residui, rifiuti e biomasse non alimentari coltivate su terreni degradati non in competizione con l’agricoltura alimentare. Sui biocarburanti in generale, l’Italia vanta una produzione interna che si attesta sul 30%, con una quota del 9,5% derivante direttamente da materie prime nazionali.
L’Italia dovrebbe però promuovere una legislazione adeguata a livello europeo, dal momento che i biocarburanti devono possedere determinate caratteristiche per essere riconosciuti tali. Un impegno politico rivolto all’innovazione e alle tecnologie sostenibili made in Italy, dovrebbe riconoscere il potenziale strategico di questi carburanti per la space economy, l’aviazione e il mondo navale, coinvolgendo di più i piccoli produttori del biodiesel e valorizzando il ruolo del mondo agricolo. Con le guerre in corso che ostacolano sia l’importazione di gas che di petrolio, e con i problemi dell’elettrico, anche valorizzare i biocarburanti può diventare strategico.
Il 2024 è iniziato con l’annuncio che Hertz, una delle più grandi società di noleggio auto senza conducente al mondo, sostituirà un terzo delle sue auto elettriche con veicoli convenzionali. Sono ben 20.000 i veicoli da rivendere, a causa della bassa domanda dei clienti e dei maggiori costi di riparazione, e rimettendoci circa 245 milioni di dollari, a causa del deprezzamento dei veicoli a batteria. Solo un paio di anni fa, con l’acquisto di un gran numero di auto a batteria per il suo mercato negli Stati Uniti Hertz aveva avviato un processo che prevedeva di convertire all’elettrico il 25% della sua flotta entro la fine del 2024. Ma il piano non ha funzionato: non solo perché la domanda dei clienti si è rivelata molto più bassa del previsto, ma anche perchè si sono riscontrati due problemi imprevisti: il maggior numero di incidenti, i costi di riparazione più elevati e i tempi molto lunghi. Da cui una minor redditività delle auto ferme senza funzionare che si è rivelata insostenibile.