Israele: quando omertà e passività non aiutano a capire
Le reazioni delle istituzioni Ue all'ennesimo scontro tra Israele e Palestina offrono lo spunto per una riflessione più ampia sull'attuale situazione. Ma portano anche ad amare conclusioni...
Le reazioni delle istituzioni Ue all’ennesimo scontro tra Israele e Palestina offrono lo spunto per una riflessione più ampia sull’attuale situazione. Ma portano anche ad amare conclusioni…
Alcune reazioni dei massimi vertici dell’Ue all’ennesima recrudescenza di violenza tra israeliani e palestinesi offrono lo spunto per una riflessione più ampia su questo rinnovato conflitto e portano, purtroppo, ad alcune conclusioni amare sulla loro capacità di ispirare e di leadership.
Il 12 maggio, l’Alto Rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, ha emesso una dichiarazione di quelle standard che l’Ue emette in questi casi, attenta e calibrata nell’uso delle parole e nell’esprimere preoccupazione per la violenza, intenta a non urtare le forti suscettibilità dei contendenti e a far sentire un forte appello per la cessazione delle ostilità. Nella dichiarazione non manca, comprensibilmente, la condanna nei confronti di Hamas e del suo uso indiscriminato di missili lanciati verso Israele. Dall’Ue, tuttavia, era lecito aspettarsi qualcosa di più. E questo è puntualmente avvenuto con un ulteriore comunicato, assai più articolato, che Borrell ha diramato il 15 Maggio.
Tuttavia, questo non è riuscito a dissipare il disappunto generato il giorno precedente dalla Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che aveva pensato bene di affidare a Twitter la seguente dichiarazione: “Très inquiète de la situation en Israël et à Gaza. Je condamne les attaques indiscriminées du Hamas contre Israël. Il faut protéger les civils de part et d’autre. La violence doit cesser”. Essa esprime inquietudine per la situazione in Israele e a Gaza, condanna gli attacchi indiscriminati di Hamas contro Israele e afferma la necessità di proteggere i civili da ambo le parti e che la violenza cessi. Il dramma è che non osa dire altro.
La dichiarazione della von der Leyen manca di ogni riferimento al contesto che accompagna questi drammatici eventi e di un minimo accenno alla loro sequenza. Presenta grossolane e inaccettabili omissioni che, purtroppo, suonano anche come lesive per la credibilità dell’Ue sulla vicenda. Né vale come consolazione che le reazioni, o le pavide omissioni, di Washington e di alcune cancellerie europee siano state decisamente peggiori.
La von der Leyen si dichiara preoccupata per la situazione in Israele e a Gaza; la menzione degli altri Territori Occupati dove si è innescata la scintilla di questa nuova violenza, in particolare Gerusalemme est e il sobborgo di Sheik Jarrah, è incomprensibilmente assente. Spiegare a una distratta e ignara opinione pubblica europea questo nuovo sanguinoso conflitto come il risultato di una controversia sui titoli di proprietà di alcuni immobili a Gerusalemme est sarebbe un’impresa titanica per chiunque. Ma lo sarebbe assai meno se tale spiegazione venisse offerta in un contesto di pluriennali sfatti, confische e vessazioni compiute dalle Autorità israeliane ai danni della popolazione palestinese a Gerusalemme est e nella Cisgiordania per soddisfare i disegni di coloni e formazione ebraiche di estrema destra che puntano a sradicare la presenza palestinese dalla parte orientale della città santa e ad annettere buona parte, se non tutta, la Cisgiordania.
L’escalation delle violenze
Sheik Jarrah è la classica goccia che fa traboccare un vaso colmo di ingiustizie e sulla quale si è innescata un’escalation sicuramente alimentata da ambo le parti che si estesa alla spianata delle Moschee durante il sacro mese del Ramadan. In queste circostanze, il compito primario delle forze di sicurezza israeliana avrebbe dovuto essere quello di evitare azioni che potessero ulteriormente attizzare un clima già incandescente. Al contrario, manifestazioni di formazioni di estrema destra e di coloni che gridavano “morte agli arabi” sono state consentite e incursioni all’interno delle due sacre Moschee durante l’ora dalla preghiera sono state condotte offrendo ad Hamas un irresistibile assist per ergersi come “difensore” di uno dei più importanti luoghi santi dell’Islam.
Le autorità israeliane non potevano non sapere che l’incursione nelle Moschee avrebbe innescato una tensione al calore bianco. È facile immaginare chi possa aver avuto un interesse spregiudicato a speculare su una crescente e violenta contrapposizione tra arabi e israeliani, specialmente se spera di andare al voto per la quinta volta e, sull’onda dell’emozione, ottenere quella vittoria chiara che ha mancato negli ultimi due anni per salvarsi da un processo e una condanna per corruzione.
Dal canto suo, il Presidente di IsraeleRivlin avrebbe dovuto chiedersi come mai i cittadini arabi del suo Paese – rimasti tranquilli per 74 anni – negli ultimi giorni hanno iniziato a protestare in modo violento e deprecabile? Non è forse questa la spia di un malessere profondo ignorato finora? Ed era proprio necessario, da parte della massima autorità istituzionale del Paese, commentare queste proteste con la parola “pogrom” evocando un tragico passato e attizzando ulteriormente le animosità quando il senso di responsabilità avrebbe dovuto indurlo a un atteggiamento diametralmente opposto? Da Hamas non ci si può attendere alcun senso di responsabilità, mentre dalla massima autorità istituzionale dell’unica democrazia del Medio Oriente, invece, la si deve pretendere.
La narrativa israeliana secondo cui l’ennesima insurrezione palestinese non ha nulla a che fare con gli sfratti a Sheik Jarrah – ma è solo una lotta di potere tra Hamas e l’Autorità nazionale palestinese determinata dall’ennesimo rinvio delle elezioni palestinesi da parte di quest’ultima – è in parte corretta. Se fossero state indette le elezioni, Hamas le avrebbe probabilmente vinte come accaduto nel 2006. Tuttavia, questa narrativa omette un particolare cruciale, ovvero che è stato lo stesso Governo Netanyahu a offrire al Presidente palestinese Abbas un assist provvidenziale con il quale giustificare il rinvio della consultazione. Le Autorità israeliane hanno infatti vietato che gli oltre 300.000 palestinesi residenti a Gerusalemme est potessero partecipare al voto, se indetto. Una simile misura si spiega solo con l’intento di non creare alcun precedente che possa pregiudicare il disegno israeliano di consolidare l’annessione di Gerusalemme est e di azzerare qualsiasi possibilità che la parte orientale della città santa possa divenire un giorno la capitale di quello che appare un sempre più improbabile Stato palestinese.
I civili come scudi umani
Un altro aspetto della narrativa israeliana a proposito dell’elevato numero di vittime civili risultante dai raid aerei su Gaza è quello che poggia sulla tendenza criminale di Hamas a utilizzare i civili come scudi umani. Anche questa è parzialmente vera, ma sconta anch’essa una gigantesca omissione. Non viene fatto presente che Gaza è uno dei posti a maggior densità abitativa di tutto il pianeta. Di conseguenza, non è solo la bieca prassi degli scudi umani di Hamas che genera tragedie umane come quelle cui stiamo assistendo da giorni, ma il semplice fatto che i civili palestinesi non sanno dove trovare un rifugio sicuro, e con centinaia di edifici distrutti finiscono per vivere accatastati gli uni sugli altri in quelli che restano. Per quanto i raid israeliani ufficialmente ambiscano a essere ammirevolmente chirurgici non sempre riescono ad evitare quelli che con una certa ipocrisia, ormai pienamente sdoganata, vengono definiti come danni collaterali.
I massimi vertici a Bruxelles, e con essi quelli a Washington e nelle altre cancellerie europee, avrebbero il dovere di spiegare, per quanto possibile, alle loro opinioni pubbliche il contesto storico e la sequenza di certi eventi e avere il coraggio di prendere delle posizioni chiare al riguardo, senza fare sconti a nessuno, evitando di trincerarsi dietro dichiarazioni di circostanza che brillano solo per la loro banale e distorsiva omertà.
Agli inizi di maggio, i soggetti sopra evocati, riunitisi nel formato del G7, hanno riaffermato la loro ambizione di rilanciare e tutelare il cosiddetto rule-based world order. Ebbene, in un mostruoso comunicato di ben 12.400 parole non sono riusciti a dedicare una riga (una!) alla questione israelo-palestinese che stava già montando; quando quest’ultima è poi esplosa si sono distinti per pavidità e passività se non, addirittura, in alcuni casi, per complicità per omissione. Non ci si può esimere dal domandarsi con quale credibilità essi possano rivendicare tale ruolo.
Le reazioni delle istituzioni Ue all’ennesimo scontro tra Israele e Palestina offrono lo spunto per una riflessione più ampia sull’attuale situazione. Ma portano anche ad amare conclusioni…
Alcune reazioni dei massimi vertici dell’Ue all’ennesima recrudescenza di violenza tra israeliani e palestinesi offrono lo spunto per una riflessione più ampia su questo rinnovato conflitto e portano, purtroppo, ad alcune conclusioni amare sulla loro capacità di ispirare e di leadership.
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