Israele: il desalinizzatore Soreq B non sarà costruito da Pechino. Efficaci le pressioni dell’amministrazione Trump contro gli investimenti cinesi
Ufficialmente la cinese Hutchison Water perde la concessione per la costruzione dell’impianto di desalinizzazione Soreq B, in Israele, a causa di una proposta economica troppo elevata. Ma dietro la scelta di marginalizzare l’azienda, facente parte di una holding con sede a Hong Kong, c’è un motivo prettamente politico, con gli Stati Uniti protagonisti di pressioni senza precedenti per impedire a una società della dichiaratamente nemica — nella guerra fredda 2.0 — Cina di mettere le mani sulla progettazione di una struttura vicina alla base aerea dell’aviazione israeliana di Palmachin e al centro di ricerca nucleare di Soreq.
La visita lampo del Segretario di Stato Mike Pompeo aveva un solo obiettivo: rallentare gli investimenti di Pechino in Israele. Le preoccupazioni dell’amministrazione Trump, che in prospettiva vede un cambio di alleanze che sconquasserebbe lo status quo dei rapporti internazionali, nascono dalla presenza sempre più forte della Repubblica Popolare in uno Stato da sempre amico di Washington. La concessione per la gestione del porto di Haifa a una società cinese ha segnato gli Usa, che lì fanno transitare le navi della Sesta Flotta della marina a stelle e strisce: un esempio da non ripetere secondo Donald Trump, che fin dalla prima campagna elettorale per la Casa Bianca ha individuato Pechino come la causa del decadimento dell’economia statunitense.
È così che il conglomerato di Hong Kong fondato dal miliardario Li Ka-shing ha perso contro l’israeliana Ide Technologies. L’azienda locale ha vinto l’appalto con una proposta di 1.45 shekel per metro cubo d’acqua che, secondo il Ministero delle Finanze di Tel Aviv, permetterà un risparmio di 3.3 miliardi di shekel, pari a 940 milioni di dollari. Il Ministero aggiunge che questo è il prezzo più basso al mondo per l’acqua desalinizzata, per quella che sarà una struttura capace di produrre 200 milioni di metri cubi d’acqua, la portata più grande a livello planetario, aumentando del 35% il potenziale di oro blu desalinizzato in Israele. Il progetto verrà finanziato da un consorzio guidato dalla Bank Leumi Le-Israel, con la Banca Europea per gli Investimenti che presterà 150 milioni di euro.
Ma già da tempo alcuni esponenti del Governo Netanyahu cercarono di frenare l’avanzata cinese per l’impianto di Soreq B: a metà 2019 l’allora capo dell’Autorità di Sicurezza del Ministero della Difesa, Nir Ben-Moshe, scrisse una lettera indirizzata al Ministero delle Finanze e a quello dell’Energia sottolineando la sua disapprovazione nel fare affari con la Cina, citando problematiche per la sicurezza nazionale. La vicinanza alla base aerea e al centro di ricerca nucleare era considerata troppo rischiosa per consegnare la costruzione dell’impianto di desalinizzazione alla Hutchison Water. L’azienda di Hong Kong, ora guidata da Victor, figlio di Li, ha comunque già messo radici sul territorio israeliano, lavorando in partnership proprio con Ide Technologies in un altro importante impianto di desalinizzazione, non lontano dal nuovo Soreq B, che produce il 20% della richiesta di acqua potabile.
L’Ambasciata della Cina a Tel Aviv ha dovuto precisare che le preoccupazioni sulla cooperazione economica con Israele non hanno alcun fondamento. La sede diplomatica ha diramato un comunicato nel quale si precisano alcuni dati che spiegano la limitata presenza di Pechino nel Paese: infatti, alla fine del 2018 gli investimenti cinesi in Israele ammontano solamente allo 0.4%, rappresentando il 3% degli investimenti esteri del gigante asiatico. Ciononostante, il viaggio di Pompeo è definitivamente servito a sventare una simile possibilità e vede la Cina negata, ancora una volta dell’ingresso in un mercato straniero, così come già avvenuto in molteplici circostanze nel caso della Huawei e del 5G.
Ufficialmente la cinese Hutchison Water perde la concessione per la costruzione dell’impianto di desalinizzazione Soreq B, in Israele, a causa di una proposta economica troppo elevata. Ma dietro la scelta di marginalizzare l’azienda, facente parte di una holding con sede a Hong Kong, c’è un motivo prettamente politico, con gli Stati Uniti protagonisti di pressioni senza precedenti per impedire a una società della dichiaratamente nemica — nella guerra fredda 2.0 — Cina di mettere le mani sulla progettazione di una struttura vicina alla base aerea dell’aviazione israeliana di Palmachin e al centro di ricerca nucleare di Soreq.
La visita lampo del Segretario di Stato Mike Pompeo aveva un solo obiettivo: rallentare gli investimenti di Pechino in Israele. Le preoccupazioni dell’amministrazione Trump, che in prospettiva vede un cambio di alleanze che sconquasserebbe lo status quo dei rapporti internazionali, nascono dalla presenza sempre più forte della Repubblica Popolare in uno Stato da sempre amico di Washington. La concessione per la gestione del porto di Haifa a una società cinese ha segnato gli Usa, che lì fanno transitare le navi della Sesta Flotta della marina a stelle e strisce: un esempio da non ripetere secondo Donald Trump, che fin dalla prima campagna elettorale per la Casa Bianca ha individuato Pechino come la causa del decadimento dell’economia statunitense.
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