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Israele: scontro politico-istituzionale tra i poteri dello Stato ebraico


Il premier Netanyahu ha rimosso il Ministro dell'Interno e della Salute Aryeh Deri a causa delle sue precedenti condanne. Una prima vittoria della Corte Suprema che si oppone alla proposta di riforma della Giustizia

Non si appresta a placarsi in Israele lo scontro politico-istituzionale tra i poteri dello Stato ebraico, in particolare tra il governo e l’Alta Corte. Dopo le polemiche scaturite dalla proposta di legge del governo che limita i poteri della Corte, e la “squalifica” da ministro del responsabile del dicastero degli Interni poi licenziato da Netanyahu, è lo stesso primo ministro ad essere entrato nel mirino dell’agone, non solo per le decine di migliaia di manifestanti che ogni fine settimana scendono in piazza a protestare contro le decisioni del suo esecutivo.

La notizia secondo la quale il procuratore generale di Israele, Gali Baharav-Miara, prenderà in considerazione la possibilità di dichiarare il primo ministro Benjamin Netanyahu non idoneo alla sua carica, a causa del conflitto di interessi dovuto al processo penale in corso a suo carico, sta tenendo banco nella vita quotidiana civile e politica israeliana, riempiendo le pagine dei principali giornali locali. Il procuratore generale avrebbe intenzione di incontrare alti giuristi e funzionari del Ministero della Giustizia già questa settimana o la prossima per discutere e decidere circa l’eventuale conflitto di interessi dell’attuale premier. La mossa del procuratore generale arriva proprio quando, mentre è sotto processo per frode e corruzione presso il tribunale distrettuale di Gerusalemme, Netanyahu, appoggiato dal suo governo, sta spingendo proprio per una radicale riforma del sistema giudiziario, in una direzione che, secondo molti, servirebbe proprio a favorire la sua posizione attuale. Netanyahu ha infatti espresso il suo fermo sostegno al pacchetto di riforme proposte dal ministro della Giustizia, Yariv Levin, che prevedrebbe, tra le altre cose, la politicizzazione del processo di selezione dei giudici (che verrebbero scelti da una Commissione in cui il governo avrebbe la maggioranza) e in generale una diminuzione dell’autorità del procuratore generale.

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