Solo un fronte Verde europeo unito potrà affrontare la sfida dell’emergenza climatica con i grandi partner globali
In un sondaggio trasmesso dalla televisione pubblica ARD lo scorso 6 giugno, i Grünen hanno raggiunto il 26% dei voti in Germania, mentre l’Union di CDU-CSU si è fermata al 25%. Una svolta epocale. Dopo un sorprendente secondo posto nelle elezioni regionali bavaresi dello scorso ottobre e dopo aver raccolto un inaspettato 20,5% (21 seggi) alle ultime elezioni Ue, i Verdi tedeschi sono sulla cresta dell’onda. I media si chiedono sempre più spesso se a sostituire Angela Merkel non sarà alla fine una Cancelliera o un Cancelliere verde. A Bruxelles e Strasburgo, intanto, i Grünen saranno la forza leader di un raggruppamento europeo, i Verdi/ALE, più numeroso del previsto: 75 seggi in totale, 23 in più rispetto al 2014. Un europartito che sarà sicuramente cruciale in un Parlamento molto frastagliato e ormai sfuggito all’egemonia del binomio PPE-PSE. Insieme ai Verdi tedeschi ci saranno forze di diversi altri Paesi: i francesi di EELV (Europe Écologie – Les Verts, che hanno raccolto il 13,47%, 12 seggi), il Green Party del Regno Unito (11,77%, 7 seggi), così come i partiti verdi (o membri dei Verdi/ALE) di Belgio, Danimarca, Austria, Spagna, Portogallo, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Svezia, Lituania, Lettonia e Repubblica Ceca.
Se tutti si aspettavano l’ondata populista nell’Unione, è arrivata invece un’onda verde. Un successo chiaramente spinto dalla nuova centralità globale delle proteste contro il cambiamento climatico, di cui il movimento Fridays For Future è una delle espressioni più evidenti. Non è certo un caso se, proprio in Germania, un under30 su tre abbia votato per i Grünen e, complessivamente, gli elettori più giovani siano stati ovunque il valore aggiunto della crescita degli ambientalisti.
Bisogna però notare come l’affermazione verde in Europa resti ancora limitata geograficamente. L’Italia è lo Stato europeo più a ovest tra quelli in cui i Verdi non hanno vinto alcun seggio. Nella mappa dell’insuccesso green si passa dalla nostra penisola a Slovenia e Croazia, si arriva in Grecia, si risale in Bulgaria e Romania e si giunge poi a tre Paesi del Gruppo Visegrád: Ungheria, Slovacchia e Polonia. Su 28 Stati dell’Unione, i Verdi hanno vinto almeno un seggio in 16, raccogliendo invece 0 seggi negli altri 12 paesi (tra cui rientrano anche Cipro, Malta ed Estonia).
Questa scissione geografica non potrà essere ignorata da un europartito dal programma così orgogliosamente europeista. I Verdi non potranno accontentarsi di essere una voce parziale nell’Ue e, considerando la crescente frammentazione tra i vari Stati membri, non potranno rischiare di definirsi come espressione geopolitica specifica (in questo caso soprattutto del nord e centro Europa, considerando i valori non altissimi dell’affermazione verde nella penisola iberica).
Il successo dei Grünen in Germania nasce dall’elaborazione di un modello contro-populista. Si faccia attenzione: non un modello semplicemente anti-populista (vale a dire una basica contestazione reattiva al discorso populista), ma un modello attivamente contro-populista, perché incentrato sullo sviluppo progettuale di una narrazione differente, alternativa, particolarmente potente perché proiettata in avanti e carica di quell’urgenza emozionale che è oggi determinante nella comunicazione politica. In Germania, il populismo ha trovato spazio d’azione trascinando i partiti tradizionali SPD e CDU in dibattiti infiniti sullo scottante tema dell’immigrazione. Da queste dinamiche, almeno nell’ultimo anno, i Grünen non si sono fatti troppo coinvolgere. I Verdi hanno piuttosto puntato a sviluppare una proposta complessivamente incentrata sulla crucialità dell’emergenza climatica e, eventualmente, hanno poi ricondotto il dibattito sull’immigrazione a una geometria di significati definita dalla stessa questione ambientale. Un’operazione teorica e comunicativa simile è stata fatta dai Grünen su temi oggi divisivi come l’identità, l’europeismo e la società aperta. Se nelle voci della socialdemocrazia e della cristiano-democrazia questi valori sono sembrati indeboliti e poco propulsivi, nella narrazione dei Verdi la società aperta e l’europeismo sono stati incorporati nella forte rivendicazione di un destino comune, condiviso e transnazionale di fronte al futuro del pianeta. Il tutto è stato presentato ai tedeschi da una leadership nuova e molto efficace sul piano mediatico, costituita soprattutto dal duo Annalena Baerbock e Robert Habeck. Una leadership che ha sostituito la precedente dirigenza senza mai offrire lo spettacolo di convulsi e laceranti litigi tra fazioni interne (un altro elemento vincente se confrontato con lo status dei partiti tradizionali tedeschi ed europei).
I Grünen hanno saputo anche comunicare la loro idea di futuro legandola alle potenzialità di evoluzione green dei modelli di produzione, tramite formule capaci di coinvolgere e attirare anche parte del ceto produttivo. Questo è avvenuto e sta avvenendo nonostante i Verdi puntino apertamente alla totale transizione energetica verso fonti rinnovabili, all’abbandono definitivo del carbone come combustibile fossile e alla progressiva eliminazione della produzione e del consumo di plastica. La radicalità del progetto rimane, ma contemporaneamente (o forse proprio per questo), i suoi promotori vengono sempre più percepiti come i più indicati ad affrontare problematiche attuali e scenari futuri.
Per raggiungere un consenso solido, diffuso e non temporaneo, i Verdi europei dovranno anche sempre riuscire a non scaricare sui cittadini economicamente più svantaggiati i costi e gli effetti della programmata conversione ambientale. Questo sarà un aspetto fondamentale nel Parlamento Ue, soprattutto nel momento in cui i Verdi/ALE dovranno decidere con chi allearsi e con chi collaborare su specifici temi e dossier, coniugando realpolitik e finalità della propria agenda.
Il limitato successo dei partiti verdi nelle zone geograficamente più svantaggiate, tra gli operai e al di fuori delle aree d’influenza dei grandi centri rimane un chiaro e persistente monito sull’importanza del mantenimento di una prospettiva sociale. Di tale sfida decisiva sarà sicuramente emblematico l’andamento nei prossimi anni dei Verdi francesi di EELV. Il loro leader Yannick Jadot ha guardato al modello tedesco per riportare in alto un partito storicamente lacerato dai conflitti interni. Jadot ha anche iniziato una migrazione verso il centro-sinistra, ma, memore del fallimentare sostegno alla candidatura socialista nelle elezioni nazionali del 2017, ha questa volta rifiutato qualsiasi alleanza per le elezioni europee, inclusa quella con il Presidente Macron. È proprio con questa indipendenza che EELV si è potuta posizionare come terza opzione nello scontro principale della Francia contemporanea: quello fra l’Eliseo e i gilets jaunes. A tale proposito, i Verdi francesi hanno fatto un appello per uno Stato che sappia farsi portatore di politiche nuove, che leghino simultaneamente “la lotta contro il riscaldamento globale e la lotta contro le fratture sociali e territoriali”. Un’impostazione che rispecchia l’attuale programma comune del gruppo Verdi/ALE.
La necessità di non svincolare mai la questione ecologica da quella sociale è altrettanto chiara se si guarda a un Paese come l’Italia, dove le preoccupazioni per disoccupazione e crescita stagnante hanno certamente frenato le possibilità di un’affermazione politica ambientalista, che stenta a emergere in un Paese in cui lo scontro politico è attualmente costruito su programmi a brevissimo termine. Nelle ultime elezioni europee si è presentata la lista Europa Verde, che con il 2.32% dei voti è rimasta ben al di sotto della soglia di sbarramento.
Oltre all’attuale contingenza, i partiti verdi in Italia pagano da sempre molteplici limiti storici e strutturali. Uno è sicuramente il loro tradizionale schiacciamento nell’area della sinistra più o meno radicale. Non c’è mai stato in Italia alcun tentativo concreto di uscire da una nicchia assolutamente legittima ma mai capace di comunicare con tutto il corpo sociale. A questo va aggiunta la difficoltà della narrazione verde in Italia di legare la prospettiva di un’evoluzione ambientalista a un’idea di innovazione tecnologica. A torto o a ragione, il brand verde in Italia sembra ancora intrappolato nell’immagine di una forza della mera conservazione ambientale, senza idee sufficientemente attrattive su modelli alternativi di progresso e produzione di beni e servizi.
Sul piano politico, i temi verdi sono stati ultimamente assorbiti nella loro forma più europeista dal Pd, mentre diversi casi di protesta territoriale hanno trovato sponda nel M5S. Il fatto che il gruppo Verdi/ALE abbia però più volte detto un chiaro “No” all’ingresso del M5S tra le sue fila, dimostra come l’ambientalismo italiano si sia spesso mosso in direzioni lontane dall’onda verde che si sta adesso diffondendo a Bruxelles e Strasburgo.
Un discorso differente da quello sull’Italia va certamente fatto per lo scarso successo dei Verdi in molti Paesi dell’Europa centro-orientale. In questo caso, sembrano contare soprattutto profonde motivazioni storiche e culturali, a partire dall’assenza nell’area dei movimenti ambientalisti negli anni ‘70 e ‘80 da cui, di fatto, è poi nata la storia dell’attuale ecologismo in Europa. Non solo, dopo un periodo di apertura al processo d’integrazione europea, i maggiori Paesi dell’Europa centro-orientale − si veda su tutti Ungheria e Polonia − hanno notoriamente reagito alla complessità della globalizzazione con massicci ripiegamenti identitari. Ripiegamenti che, almeno fino ad oggi, sono stati in antitesi all’universalismo spesso contenuto nella Weltanschauung dei Verdi. Questo non significa, tuttavia, che a est non ci sia spazio per nuove prospettive politiche ambientaliste. In questa direzione, oltre a quello che accadrà nel Parlamento Ue, sarà anche interessante vedere come i Grünen tedeschi sapranno muoversi in futuro nei Länder della Germania orientale, in cui loro stessi non sono mai riusciti ad affermarsi davvero e in cui ci sono dinamiche sociali, culturali e politiche non troppo dissimili da quelle in corso in alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico.
L’eventuale affermazione in tutta Europa dei Verdi resta una questione estremamente aperta. Nei Paesi in cui stanno riscuotendo risultati straordinari, Germania in testa, i Verdi saranno probabilmente presto chiamati a forti responsabilità di Governo, in cui dovranno giocarsi l’enorme bonus di credibilità raccolto negli ultimi tempi. L’Italia e i maggiori Paesi centro-orientali saranno invece importanti campi di prova per un progetto che voglia raggiungere una reale coesione nell’Ue. Come già detto, soprattutto sul lungo periodo, le forze verdi europee non si potranno permettere di essere geograficamente troppo disomogenee e dovranno cercare di creare un europartito con seggi provenienti da molti più Stati dell’Unione o, alternativamente, dovranno costruire specifiche alleanze programmatiche nei Paesi in cui i partiti verdi sono più deboli. Il raggiungimento di una certa coesione e di una larga rappresentatività sarà a un certo punto strategicamente irrinunciabile per il nuovo ambientalismo europeo. Solo così, infatti, i Verdi potranno affrontare la sfida geopolitica più complessa di tutte: il confronto sull’emergenza climatica tra Europa e gli altri grandi player globali, a partire da Usa, Cina e India.
@Lorenzomonfreg
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
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