Riforme evocate e mature da decenni sono ora un appuntamento e una promessa per un Paese con risorse ed energie costrette da anni da lacci strutturali
L’Italia è ancora un Paese capace di sorprendere. Persino sé stessa. Non è tanto che il Pil sia sceso dell’8,8% nel 2020 invece del 9,5% previsto dalla Commissione europea la scorsa primavera. Questo è significativo: racconta che molte imprese hanno un business resistente e sono riuscite a limitare i danni causati dalla pandemia e dai lockdown. Era però ancora meno scontato che il senso di sfiducia che ha caratterizzato buona parte dell’anno scorso si sia attenuato e, anzi, in molti casi sia improvvisamente diventato speranza di cambiamento con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi. È che potenzialmente l’Italia ha più energie, maggiore capacità di resistenza e superiore dinamicità di quanto di solito si racconti. Potenzialmente, appunto: il nuovo governo può cercare di liberarle dai vincoli che le limitano da decenni.
Di fronte ai fondi che arriveranno dal Next Generation EU – 209 miliardi – e dal bilancio settennale dell’Unione europea iniziato quest’anno, disegnare nei dettagli il Paese del futuro non è probabilmente l’obiettivo del nuovo esecutivo: la società e l’economia seguono strade loro; ciò che un governo può fare – lo si dice sempre – è creare le condizioni affinché ciò sia possibile nel rispetto di regole sensate; e può mettere in campo una serie di misure capaci di rispondere in modo più efficace alle crisi future, certo in economia ma innanzitutto sul versante della sanità.
L’opportunità non sta solo nel denaro messo a disposizione dall’Europa: questo è soprattutto un veicolo per facilitare le riforme necessarie da tempo e per modernizzare nella direzione della digitalizzazione, di politiche ambientali serie, di nuove infrastrutture. I calcoli sull’effetto moltiplicatore che i fondi del Next Generation EU avranno sul Pil possono essere interessanti: la vera svolta, però, starà nel ridare fiducia alle imprese e mettere gli operatori economici nelle condizioni di crescere e di innovare. In termini certo sommari ma efficaci, si è spesso parlato della differenza tra l’economia francese e quella italiana: la prima cresce in buona parte sotto l’ombrello dello Stato, si è detto, la seconda nonostante lo Stato. È qui che l’Italia può vincere la sfida: rendere efficiente l’amministrazione, eliminare le lentezze, gli ostacoli e le invadenze diffuse degli apparati pubblici: questo sarebbe il vero stimolo alle imprese che per anni hanno saputo prosperare nonostante l’inefficienza e i lacci burocratici.
La sanità
Prima di tutto, però, la questione della Sanità. Se c’è qualcosa che i Paesi occidentali hanno sperimentato in questo anno di pandemia è che essi non sono la Cina. Nel senso che la risposta affidata solo o soprattutto ai lockdown funziona in un Paese centralizzato e autoritario, con le guardie che controllano chi è in quarantena. Non funziona, o funziona molto meno, in società aperte nelle quali la libertà è tenuta in gran conto. Sono i risultati della lotta alla Covid-19 a dirlo: la Cina ha avuto successo, gli altri no. Ciò significa che la prossima pandemia – tra gli esperti c’è la quasi unanimità nel ritenere che ci sarà – dovrà trovare risposte diverse in Europa e in Occidente. Una parte delle risorse che l’Italia mobiliterà dovranno mettere il Paese nelle condizioni di non essere travolto dalla diffusione di un nuovo virus. La Sanità, dunque, dovrà essere organizzata per prevenire, con un sistema di allarme precoce, con una medicina territoriale molto rafforzata, con una capacità di test e di monitoraggio molto maggiori, con reparti ospedalieri pronti a rispondere a scoppi di epidemia. Un’organizzazione dai costi elevati, soprattutto perché non operativa al 100% per lunghi periodi, in attesa di rispondere al peggio, ma decisiva per evitare una crisi generale – sanitaria, sociale, economica, politica – come quella in corso, molto, molto più costosa della creazione di una rete di sicurezza, per quanto dormiente. È il primo passo in direzione di un’Italia del futuro che riprende fiducia.
La definizione di “zombie” per le imprese oggi ancora in piedi ma che di fatto sono state messe fuori mercato dalla crisi da pandemia, e forse in parte lo erano già prima, è offensiva per chi ci lavora, per chi le ha create e per chi ha cercato di tenerle in vita. Indica però uno dei problemi che nei prossimi mesi, quando il blocco dei licenziamenti finirà e il sostegno a molte aziende verrà meno, dovranno essere affrontati per primi. Il Governo Draghi dovrà scegliere i metodi migliori per rispondere alla crisi sociale data dai licenziamenti che ci saranno: sostegno ai redditi nella prospettiva di reinserire questi lavoratori, dopo periodi di formazione, nelle imprese che dovrebbero crescere soprattutto nell’economia verde e nell’economia digitale, i due settori indicati come essenziali dal Next Generation EU. Non è impossibile: nei Paesi europei del nord la riqualificazione finalizzata al cambio di lavoro è una pratica corrente favorita dallo Stato; la condizione, però, è che alla base ci sia un mercato del lavoro dinamico e aperto, che ci sia crescita economica e che il mondo dell’istruzione funzioni. È un passaggio estremamente difficile ma decisivo, senza il quale la crisi sociale impedirebbe il rilancio dell’intero Paese.
Gli investimenti pubblici
Tra le molte cose che hanno raccolto applausi, nel suo discorso al Parlamento Draghi ha garantito il sostegno a quei settori che, senza colpe o inefficienze gravi, sono stati colpiti dalla pandemia: il turismo, la cultura, lo spettacolo e molti altri. Rimetterli in condizione di ripartire, magari con livelli di efficienza accresciuti da scelte ambientali e digitali, può essere un’occasione straordinaria. I business legati al tempo libero e all’intrattenimento, nei quali l’Italia ha un vantaggio naturale non sempre utilizzato al meglio, saranno probabilmente tra gli assi portanti dell’economia dei prossimi anni, le persone vogliono uscire da un mondo chiuso dalla pandemia: qualche settimana fa, la multinazionale della bellezza L’Oréal ha detto di prevedere, dopo i lockdown, l’esplosione dei Roaring Twenties del Ventunesimo Secolo, anni ruggenti. Occorre essere pronti.
Per quel che riguarda gli investimenti pubblici, magari condotti in partnership con i privati, le reti digitali, 5G in testa, possono modernizzare l’Italia come in parte successe nel periodo glorioso del Miracolo Economico successivo alla guerra mondiale. Trasformare e rendere efficiente la Pubblica Amministrazione non è facile, il problema non si risolve con la semplice messa in rete dei servizi. Avviare una riforma che premi le professionalità, come sembra intenzionato a fare il governo, può dare vita a un circolo virtuoso che dà ai cittadini il senso di progressi reali in un ambito storicamente tra i più problematici. Altra spinta alla fiducia. E se le politiche verdi, sulle quali la Ue è intransigente, diventeranno un imperativo trasversale a tutte le attività (senza illusioni di decrescita felice) si creeranno nuove attività economiche in parallelo al miglioramento della qualità della vita e alla capacità di attrazione del Paese.
Una giustizia più efficiente, a cominciare da quella civile, è un’altra richiesta piuttosto vincolante che viene dalla Ue e che è essenziale per il buon funzionamento del Paese, dell’economia ma anche della vita quotidiana. Lo stesso vale, nel breve e ancora di più nel medio periodo, per la riforma della scuola. Infine, nel discorso al Senato Draghi ha parlato, citando l’esempio della Danimarca, di riforma fiscale, con semplificazioni e, pare di capire, un alleggerimento.
Imprese di portata e di difficoltà enormi: sono riforme mature da decenni, continuamente evocate e continuamente rinviate. Ora abbiamo l’occasione di iniziarle: i denari per facilitare il cambiamento ci sono, la pressione europea anche e le condizioni politiche per muovere i primi passi si sono forse allineate. Tutto non accadrà all’improvviso. Ma sono il movimento e il senso della direzione a creare la fiducia necessaria a sorprendere.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Riforme evocate e mature da decenni sono ora un appuntamento e una promessa per un Paese con risorse ed energie costrette da anni da lacci strutturali
L’Italia è ancora un Paese capace di sorprendere. Persino sé stessa. Non è tanto che il Pil sia sceso dell’8,8% nel 2020 invece del 9,5% previsto dalla Commissione europea la scorsa primavera. Questo è significativo: racconta che molte imprese hanno un business resistente e sono riuscite a limitare i danni causati dalla pandemia e dai lockdown. Era però ancora meno scontato che il senso di sfiducia che ha caratterizzato buona parte dell’anno scorso si sia attenuato e, anzi, in molti casi sia improvvisamente diventato speranza di cambiamento con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi. È che potenzialmente l’Italia ha più energie, maggiore capacità di resistenza e superiore dinamicità di quanto di solito si racconti. Potenzialmente, appunto: il nuovo governo può cercare di liberarle dai vincoli che le limitano da decenni.
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