Italia post Covid: l’obiettivo è la trasformazione
Italia: la crisi Covid, e la sua accelerazione, spinge con forza verso il futuro e può rivelarsi l’inizio della fine della Grande Stagnazione dell’ultimo decennio
Italia: la crisi Covid, e la sua accelerazione, spinge con forza verso il futuro e può rivelarsi l’inizio della fine della Grande Stagnazione dell’ultimo decennio
L’entusiasmo dell’opinione pubblica nazionale per ilNext Generation EU sembra essersi piuttosto attenuato rispetto al luglio scorso, quando è stato varato dal Consiglio europeo. In questo momento, le preoccupazioni dei cittadini sono per lo più altre e comunque un dibattito serio su come impiegare i 209 miliardi che dovrebbero arrivare all’Italia di fatto non è nemmeno iniziato. Men che meno quello sulle riforme necessarie a un Paese che non cresce da almeno due decenni. Non tutti, però, sono distratti. Dietro all’apparente disinteresse degli italiani, il governo e i partiti sanno che prima o poi “i denari europei” arriveranno e saranno utili (anche) per le loro fortune. Lo stesso sanno le innumerevoli lobby che da mesi si stanno posizionando nel modo migliore per beneficiarne.
Non è solo così che dovrebbe andare. E, in teoria, si può ancora cambiare direzione. Le prossime settimane e mesi saranno fondamentali per prendere le decisioni necessarie a superare la recessione del 2020 e, soprattutto, per capire se l’Italia riesce a pensare a come affrontare un futuro che è sì pieno di incognite ma ci sta anche offrendo opportunità non previste fino a poco tempo fa. Questo per dire che dal virus ci si deve ovviamente difendere ma che la crisi in corso sta anche segnalando al mondo che è possibile effettuare straordinari salti tecnologici, organizzativi e politici in tempi rapidi. E che, se non si vuole rimanere dietro la curva ed essere superati da altri Paesi, occorre un approccio positivo, di cambiamento.
Innovazione e produttività
Nei mesi scorsi abbiamo scoperto in modo diffuso quanto siano potenti le telecomunicazioni e l’intelligenza artificiale, che ci hanno fatto superare i lockdown meno peggio del previsto. Stiamo assistendo alla velocità straordinaria con la quale si sviluppano i vaccini, impensabile fino a poco tempo fa. Le energie pulite compiono passi avanti tecnologici notevoli, così come si sta sviluppando l’energia dall’idrogeno. La proiezione nello Spazio fa enormi passi, dal punto di vista scientifico ma in prospettiva anche da quello economico (e geopolitico). La scienza biomedica corre. E dal punto di vista organizzativo la tecnologia è destinata a cambiare in modo forse definitivo il modo in cui si lavora, con possibili miglioramenti di efficienza, non solo grazie al cosiddetto smart working ma più in generale grazie all’introduzione di flessibilità che offrono più potere agli individui.
Se l’innovazione è alla radice dell’aumento della produttività, l’accelerazione a cui ci ha costretto la pandemia potrebbe rivelarsi l’inizio della fine di quella che è stata chiamata la Grande Stagnazione, il decennio scorso. Visti in questo quadro, i 209 miliardi del Next Generation EU assumono una luce diversa rispetto alla semplice necessità di recuperare e proteggere: chiedono cambiamento, riforme, nuova fiducia; e non semplicemente spesa pubblica. Un salto di qualità mentale, in positivo, per essere nell’onda della trasformazione.
Investimenti
Con urgenza, l’Italia ha palesemente bisogno di darsi un piano per affrontare la pandemia, sapendo che non sarà questione di breve periodo. E quindi investire sulla sanità. Accedere al Mes sarebbe utile, ancora più che per i risparmi perché ciò la costringerebbe a darsi un progetto di riforma dell’impianto di cura e di prevenzione, anche territoriale, del settore. Oltre a consentire di rafforzare la difesa dei cittadini dal virus. Operazioni fatte in misura insufficiente nei mesi scorsi. Al Paese, però, serve molto di più. E qui si scende su un terreno ancora incerto, confuso.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che ha avuto il via libera di Camera e Senato in ottobre traccia quelle che dovrebbero essere le linee guida degli interventi futuri da realizzare con i contributi europei (81,4 miliardi di sussidi e 127,4 miliardi di prestiti). Il Pnrr disporrà di 193 dei quasi 209 miliardi, 65,5 dei quali saranno sussidi che per il 70% andranno usati nel 2021 e nel 2022 e per il resto l’anno successivo. Gli altri 15-16 miliardi per arrivare a 209 fanno riferimento ad altri veicoli, come il React EU, lo Sviluppo rurale, il Fondo per la Transizione Giusta. Sul come usare questi fondi, il Pnrr pone degli obiettivi in apparenza ambiziosi, come il raddoppiare il tasso di crescita dell’economia rispetto allo 0,8% dell’ultimo decennio, portare gli investimenti pubblici al 3% del Pil, aumentare il tasso di occupazione di dieci punti per arrivare alla media Ue del 73%, garantire la sostenibilità della finanza pubblica, supportare la transizione verde e digitale.
Si tratta ovviamente di obiettivi che è difficile non condividere. Come, in generale, chiunque sottoscriverebbe le sei “missioni” individuate: digitalizzazione, innovazione e competitività; transizione verde ed ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione, formazione, ricerca, cultura; equità sociale, territoriale e di genere; salute. Il tutto da effettuare con investimenti suddivisi in base alle indicazioni della Commissione europea: 37% dei 193 miliardi alle iniziative green, il 20% alla digitalizzazione, il 10% alle infrastrutture e altri interventi per le città, per le acque e così via. Il tutto, precisato in un maggiore dettaglio, da presentare a Bruxelles entro il 30 aprile prossimo ma nelle intenzioni del governo molto prima. Per ora si tratta di un piano generico.
Ma per fortuna o purtroppo c’è dell’altro. Nelle settimane scorse è circolato un elenco di 557 progetti che le amministrazioni pubbliche hanno indirizzato al Governo e che dovrebbero in qualche modo costituire se non l’ossatura almeno un’indicazione degli interventi. Il loro costo sarebbe tra i 650 e i 700 miliardi, quindi una forte selezione andrebbe fatta anche ammettendo che l’elenco fosse realmente preso in considerazione. Ed è qua che si rivelano i problemi. Innanzitutto, pare di capire che si vada verso una serie di interventi a pioggia, molto frazionati e mirati su esigenze spesso non di primaria rilevanza. Comunque, senza almeno un progetto che contempli la trasformazione necessaria al Paese. Un metodo che, inoltre, renderà possibile la distribuzione di favori e la soddisfazione delle richieste delle lobby più attive. Altri Paesi europei, Germania e Francia in testa, si stanno orientando verso un numero molto minore di mini-progetti e verso interventi almeno in teoria qualitativi e di respiro maggiore: si vedrà quanto innovativi e capaci di preparare il futuro ma almeno guidati da una prospettiva.
Debito pubblico
In secondo luogo, al momento non è chiaro come il Governo intenda muoversi nei confronti dell’economia privata. L’impressione è che il desiderio di intervento dello Stato anche dove non ce n’è necessariamente bisogno sia forte, che si tratti della Borsa italiana o delle Reti. Non è illegittimo il sospetto che, con l’occasione della pandemia e del Recovery Fund, si voglia chiudere e rovesciare la stagione delle privatizzazioni iniziata negli Anni Novanta. A giudicare dal forte ruolo preso dalla Cdp, il Governo sembra accarezzare questa direzione. Le grandi opportunità date dalle nuove tecnologie, dalla scienza e dai nuovi modelli organizzativi, che dovrebbero esaltare un’economia di mercato aperta, non sembrano fare parte dell’orizzonte dell’intervento italiano.
Con in più un rischio: che l’aumento del debito pubblico, il quale prima o poi andrà restituito, rimanga in secondo piano – tanto il Patto di Stabilità è sospeso – e che quindi la spesa pubblica abbia sempre meno vincoli. Nel qual caso, l’applicazione italiana del Next Generation EU prenderebbe la curiosa forma del regalo dei debiti alle generazioni future.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
L’entusiasmo dell’opinione pubblica nazionale per ilNext Generation EU sembra essersi piuttosto attenuato rispetto al luglio scorso, quando è stato varato dal Consiglio europeo. In questo momento, le preoccupazioni dei cittadini sono per lo più altre e comunque un dibattito serio su come impiegare i 209 miliardi che dovrebbero arrivare all’Italia di fatto non è nemmeno iniziato. Men che meno quello sulle riforme necessarie a un Paese che non cresce da almeno due decenni. Non tutti, però, sono distratti. Dietro all’apparente disinteresse degli italiani, il governo e i partiti sanno che prima o poi “i denari europei” arriveranno e saranno utili (anche) per le loro fortune. Lo stesso sanno le innumerevoli lobby che da mesi si stanno posizionando nel modo migliore per beneficiarne.
Non è solo così che dovrebbe andare. E, in teoria, si può ancora cambiare direzione. Le prossime settimane e mesi saranno fondamentali per prendere le decisioni necessarie a superare la recessione del 2020 e, soprattutto, per capire se l’Italia riesce a pensare a come affrontare un futuro che è sì pieno di incognite ma ci sta anche offrendo opportunità non previste fino a poco tempo fa. Questo per dire che dal virus ci si deve ovviamente difendere ma che la crisi in corso sta anche segnalando al mondo che è possibile effettuare straordinari salti tecnologici, organizzativi e politici in tempi rapidi. E che, se non si vuole rimanere dietro la curva ed essere superati da altri Paesi, occorre un approccio positivo, di cambiamento.
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