Joe Biden ha un curriculum da mediatore, ma dovrà avviare alcune vere trasformazioni per evitare l’esplosione della “guerra civile fredda” in corso nella società americana
Joe Biden ha un curriculum da mediatore, ma dovrà avviare alcune vere trasformazioni per evitare l’esplosione della “guerra civile fredda” in corso nella società americana
Joe Biden è un politico, un politico di lunghissimo corso. Il primo grande elemento di differenziazione fra il “Presidente eletto” e il suo predecessore risiede in questa caratteristica: dopo quattro anni vissuti pericolosamente, l’America ha abbandonato la quintessenza del modello dell’outsider populista e ha abbracciato il più istituzionale dei candidati alle primarie democratiche del 2020. Joe Biden ha fatto il suo ingresso nelle istituzioni federali come più giovane Senatore della storia degli Stati Uniti del dopoguerra, e concluderà la sua vicenda politica come il più anziano Presidente della storia americana al momento dell’assunzione della carica.
Chi è Joe Biden? Al di fuori degli Stati Uniti i vice Presidenti sono relativamente poco noti. Vale anche per lui, che è stato soprattutto un Senatore di lungo corso: se il Presidente è il monarca elettivo, i senatori rappresentano una nobiltà di corte capace di influenzare il processo politico in profondità, ma anche di controbilanciare il potere presidenziale. E quest’anno non sapremo fino a inizio gennaio − per via delle regole di elezione dei senatori nello Stato della Georgia − se il Senato americano resterà a maggioranza repubblicana: se così fosse, l’antagonista principale di Joe Biden sarà il suo vecchio coetaneo Mitch McConnell, leader dei repubblicani del Senato (tutti e due nati nel 1942, come Harrison Ford, Martin Scorsese e Jimi Hendrix).
Biden, il “guaritore”
Per economia del discorso, non parleremo qui dei lati psicologici e umani di Joe Biden, che in molti hanno già rappresentato in queste settimane: se dovessimo concentrarci su una delle narrazioni che sono state proposte, ci si potrebbe soffermare su quella di “The Healer”, il guaritore. La pandemia, infatti, ha lasciato spazio per l’emersione di una leadership che esalti il primato del paradigma della cura. Un vestito che cade perfettamente sulle spalle di Joe Biden: non tanto per la conclamata empatia di un uomo di origini umili − empatizzare, in fondo, è anche uno strumento per farsi volere bene dal proprio pubblico o dalla propria clientela, rientra nel bagaglio dei politici che posseggono il dono del “common touch” − quanto perché la biografia di Biden è segnata dall’esperienza della cura e della rinascita. In primis quella di se stesso e dei suoi due figli maschi dopo la morte della moglie e della figlia di un anno (avvenute in un incidente stradale, nel 1972); per la vicenda della morte del figlio Beau nel 2015 (a causa di un tumore): quando Biden parla agli americani, in tempi di pandemia, per dire loro che capisce il loro dolore… beh, appare credibile.
Il Biden politico nasce come Senatore outsider, che giovanissimo conquista un seggio vincendo a sorpresa nello Stato del Delaware. Vince contro il Senatore in carica, un repubblicano moderato, che Biden incalzava mostrandosi con gli slogan del nuovo Partito democratico di McGovern, ovvero l’opposizione alla Guerra del Vietnam − Biden si opporrà anche alla prima guerra in Iraq nel 1991 − e il sostegno ai movimenti per i diritti civili (sono gli anni in cui Biden comincerà a cementare i rapporti con i leader afroamericani, che saranno vitali nelle primarie di quest’anno). Nota che oggi appare di colore: Biden incalza il suo avversario perché “troppo anziano e poco dinamico”. Biden, nel corso del tempo, diviene un Senatore esperto e influente, in carica per 36 anni (il tasso di ricambio nel Congresso americano è molto basso). Biden si caratterizza per influenza e capacità di chiudere accordi legislativi in un contesto che, nel corso dei decenni, è divenuto sempre più conflittuale. Per questo viene scelto quale vice di Barack Obama: non solo perché rassicura l’elettorale bianco, e più anziano, del partito democratico, ma anche perché diviene credibile ambasciatore del Presidente presso il Congresso. Biden è uno che porta a casa il risultato, anche se imperfetto.
La carriera politica
Nella sua carriera politica ha affrontato alcune battaglie congressuali di rilievo (per esempio quella, di successo, contro la nomina del giudice conservatore Robert Bork alla Corte Suprema), si è posizionato come liberal sui temi dei diritti civili, anche se si è trovato a cambiare posizione su questioni cruciali, passando da una visione conservatrice su aborto, matrimoni dello stesso sesso, ruolo degli omosessuali nell’esercito all’esatto contrario. Più di una volta ha avuto modo di spiegare le ragioni dei suoi cambiamenti, così come è avvenuto per le politiche di tolleranza zero sul crimine, che sostenne negli anni ’80 (in pieno reaganismo) per poi compiere autocritica nel passato recente (per la comunità afroamericana si trattava di una macchia). Molte incongruenze o evoluzioni sono frutto di un adeguamento di Biden ai cambiamenti sociali e culturali del Paese, altre sono frutto del rapporto che i politici americani − figuriamoci un Senatore in carica per 36 anni − sviluppano con il proprio elettorato locale e i gruppi di interesse che si incrociano nel motore dell’azione legislativa del Congresso, le Commissioni (Biden ha speso la sua vita soprattutto nelle Commissioni Giustizia ed Esteri). E anche lui ha avuto qualche scheletro nell’armadio.
Insomma, un politico americano. Popolare e ben voluto, centrista, ma che ha condotto le sue battaglie di principio. Un politico di quel partito democratico che ha adeguato il tiro all’epoca dell’egemonia reaganiana, un’egemonia che si poteva percepire anche negli anni dell’amministrazione Clinton. Ma come tutto il partito democratico, in questo ultimo decennio, pronto a schierarsi su posizioni più a sinistra e più liberal del passato. Su alcuni temi la crisi di questi anni ha aperto la strada a uno spostamento a sinistra dell’asse del Partito − le proposte di Biden sulla sanità, per esempio, sono tutte più a “sinistra” di quelle dell’Obama del 2008 − rispetto a welfare, lavoro, diritti. Il decennio appena trascorso ha radicalizzato di nuovo il conflitto attorno al tema del razzismo strutturale della società americana, grazie al movimento di Black Lives Matter; le donne sono state le prime a marciare su Washington durante l’amministrazione Trump; il tema della crisi climatica e della transizione energetica sono ineludibili, anche grazie alla pressione dei giovani; l’ala radicale del partito, con un ascolto sempre maggiore, chiede una riforma fiscale che tassi le grandi ricchezze e redistribuisca; il sindacato chiede che si reinsedino intere filiere produttive in America (il cosiddetto reshoring); le piazze di questi mesi chiedono la riforma della polizia; i sindacati ottengono vittorie in tutti gli Stati per l’aumento del salario minimo.
Il programma e le priorità
A leggere la piattaforma programmatica di Joe Biden tutti questi temi sono presenti. Il vecchio centrista ha guardato con realismo al processo elettorale e a quello interno al suo partito: il sommovimento della società di questo decennio − non solo di questi mesi − è stato accolto in via programmatica, con smussamenti di moderazione, andando incontro alle domande che hanno attraversato Paese e partito. Per esempio, l’istituzione di un’assicurazione pubblica invece del Medicare, l’aumento delle tasse sui redditi più alti ma in misura meno drastica di quella proposta da Warren o Sanders, oppure un accento più sfumato quando si tratta di intervenire per limitare il potere di monopolio dei giganti digitali.
La piattaforma è stata scritta mediando fra i leader democratici che avevano partecipato alle primarie, con lo spirito tipico di Biden, ed è la più “a sinistra” della storia del Partito democratico. Ma le piattaforme lasciano il tempo che trovano: Biden ha contratto un debito anche con il voto moderato e i finanziatori ex-repubblicani; un Senato a maggioranza repubblicana sarebbe un macigno; la crisi del Covid non permette di impegnare tante energie su dossier multipli: un Presidente può dirsi fortunato se riesce a portare a termine una o due riforme significative in un mandato. Di quella lunga lista di priorità, che corrispondono a domande inevase di rappresentanza, la politica sarà in grado di impegnarsi su di un numero limitato di temi. Quando finirà la luna di miele del ritorno alla normalità, le frizioni interne riemergeranno − Alexandria Ocasio-Cortez è già intervenuta duramente, con lo scopo di confrontarsi con i repubblicani filo-Biden che potrebbero essere inclusi nell’amministrazione − e si potrà pesare la capacità trasformativa della presidenza Biden.
Come riuscire a edulcorare la “Guerra civile fredda” in corso − la definizione è di Sidney Blumenthal − e al tempo stesso avviare un’agenda trasformativa, radicale (entro limiti credibili per un politico come Biden)? I più fiduciosi immaginano per il nuovo Presidente un ruolo alla Lyndon Johnson, ovvero quello di riformatore inaspettato: fu un politico del Sud che ampliò lo stato sociale e trasformò la spinta dei movimenti per i diritti civili in procedimenti legislativi. Biden, come Johnson, potrebbe essere il vecchio traghettatore che trasporta nel nuovo mondo. Anche se Biden sa bene che la politica è l’arte del possibile. Sa bene che il suo elettorato chiede trasformazione: proverà a dargliela? Probabilmente sì, ma sapendo che evitare il declino americano sarebbe comunque un buon piano b.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
Joe Biden è un politico, un politico di lunghissimo corso. Il primo grande elemento di differenziazione fra il “Presidente eletto” e il suo predecessore risiede in questa caratteristica: dopo quattro anni vissuti pericolosamente, l’America ha abbandonato la quintessenza del modello dell’outsider populista e ha abbracciato il più istituzionale dei candidati alle primarie democratiche del 2020. Joe Biden ha fatto il suo ingresso nelle istituzioni federali come più giovane Senatore della storia degli Stati Uniti del dopoguerra, e concluderà la sua vicenda politica come il più anziano Presidente della storia americana al momento dell’assunzione della carica.
Chi è Joe Biden? Al di fuori degli Stati Uniti i vice Presidenti sono relativamente poco noti. Vale anche per lui, che è stato soprattutto un Senatore di lungo corso: se il Presidente è il monarca elettivo, i senatori rappresentano una nobiltà di corte capace di influenzare il processo politico in profondità, ma anche di controbilanciare il potere presidenziale. E quest’anno non sapremo fino a inizio gennaio − per via delle regole di elezione dei senatori nello Stato della Georgia − se il Senato americano resterà a maggioranza repubblicana: se così fosse, l’antagonista principale di Joe Biden sarà il suo vecchio coetaneo Mitch McConnell, leader dei repubblicani del Senato (tutti e due nati nel 1942, come Harrison Ford, Martin Scorsese e Jimi Hendrix).
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