Il Kazakistan è stato il Paese dello spazio post-sovietico che ha fatto più sentire alla Russia il suo disappunto per la guerra in Ucraina. Per Nur-Sultan, le alleanze che Mosca ha sapientemente intessuto in Eurasia non sono più dei dogmi. E lo zar, anche stavolta, è pronto a reagire
Una politica estera complicata
Il Kazakistan soffre la propria collocazione geografica, totalmente incassato nel cuore dell’Eurasia e controllato a vista da due delle tre superpotenze mondiali, Russia e Cina, mentre non molto lontano dai suoi confini a sud e a sud-ovest si trovano due medie potenze, Turchia e Iran. Questa localizzazione peculiare ne ha condizionato l’approccio alla politica estera, improntato a una logica di convivenza pacifica e di dialogo con più attori. È stata definita pomposamente in patria come politica multivettoriale, ma nei fatti non è nulla più che una necessaria strategia di sopravvivenza.
La politica regionalista verso gli altri Stati dell’Asia centrale ha dato pochi frutti, almeno fino al 2016, anno della dipartita del primo presidente uzbeco Islam Karimov, ostacolo principale all’armonia tra i cinque -stan. Negli ultimi sei anni, invece, si sono avute collaborazioni tra gli Stati centro-asiatici in numerosi campi, procedendo verso un’integrazione economica tra i due capofila: Kazakistan e Uzbekistan. Assommando oltre 50 milioni di abitanti e caratterizzandosi per avere due sistemi produttivi complementari, essi avrebbero la possibilità di creare un polo centro-asiatico autonomo sul piano economico e politico, relativamente slegato da Mosca e Pechino. O, quantomeno, potrebbero cercare di evitare di essere assorbiti del tutto dalle catene del valore russa e cinese. Sei anni di regionalismo a trazione centro-asiatica, tuttavia, sono ancora troppo pochi per misurare nella realtà gli effetti delle scelte messe in campo.
Le ambizioni imperiali della Russia
Nonostante la cooperazione benevola mantenuta da Nur-Sultan nei confronti di Mosca, tali tentativi di affrancamento non sfuggono alla potenza egemone nell’area. Per evitare di perdere ulteriori posizioni nello spazio post-sovietico, difatti, la Russia ha avviato a partire dagli anni Novanta del secolo scorso una politica di integrazione regionale, ispiratasi anche agli auspici del primo Presidente kazako Nursultan Nazarbayev. Lo spazio eurasiatico, nell’ottica russa, deve restare saldamente a guida russa, e per fare ciò sono state create negli anni una serie di strutture di integrazione regionale facenti capo a Mosca, come l’Unione economica eurasiatica, il CSTO e la Comunità degli Stati Indipendenti.
L’azione russa, tuttavia, non si è limitata solo a ciò. La politica di recupero dell’influenza sul proprio estero vicino portata avanti da Putin e Medvedev ha condotto Mosca a ingerire con maggiore frequenza nelle questioni interne ai singoli Stati ex sovietici, segnatamente in quelli con minoranze russofone. Inoltre, le azioni di guerra contro la Georgia e l’Ucraina hanno mostrato quanto la Russia sia disposta a rischiare pur di mantenere la propria egemonia nell’area. Arrivando in alcuni casi addirittura a screditare l’esistenza stessa di alcuni Stati, come accaduto da parte di Putin nei confronti del Kazakistan quando ha sostenuto che sarebbe stato meglio per i kazaki restare a far parte della Russia. Nur-Sultan ha sempre piegato la testa davanti a questi scivoloni che lasciavano trasparire da parte russa ambizioni imperiali mai sopite, e ha investito ulteriormente sulla diversificazione dei partner con cui dialogare.
Il Kazakistan cambia strategia
L’invasione russa dell’Ucraina iniziata lo scorso 24 febbraio, però, ha rappresentato uno spartiacque nella storia delle relazioni bilaterali tra i due Stati eurasiatici. Fin da subito il Kazakistan si è dimostrato solidale con l’Ucraina, inviando aiuti umanitari e consentendo lo svolgimento di manifestazioni di piazza contro la Russia. Ciò con grande sgomento russo, in quanto a Mosca ci si aspettava un supporto materiale kazako nel portare avanti l’invasione, visto l’aiuto fornito a Nur-Sultan solo un mese prima per sedare le rivolte del “Gennaio di sangue” kazako. La presenza di forti minoranze russofone nelle regioni settentrionali e orientali del Kazakistan hanno messo in allerta il Paese fin dalla sua indipendenza, conscio del rischio posto dal confinare con un vicino così complicato. Nonostante il primo Presidente kazako Nazarbayev abbia fatto rientrare in patria molti kazaki della diaspora, quella russa è ancora oggi la prima minoranza all’interno del Paese. È chiaro che per Nur-Sultan quanto accaduto nel Donbass rappresenti un presagio di quello che potrebbe accadere alle proprie regioni russofone.
Ma il punto di svolta nelle relazioni bilaterali si è avuto quando le sanzioni occidentali si sono abbattute con violenza sull’economia russa e questa ha trascinato con sé anche le economie satelliti degli altri Stati dell’Unione economica eurasiatica. È stato in quel momento che a Nur-Sultan qualcosa di importante si è mosso, in quanto il Kazakistan non ha mai avuto nessuna intenzione di interrompere i propri scambi commerciali con l’Unione europea e con gli altri Stati occidentali. Men che meno a causa di scelte che non sono dipese dalla propria azione politica. In occasione dello SPIEF, principale appuntamento economico nello spazio post-sovietico, il capo di Stato kazako Kassym-Jomart Tokayev ha ribadito la propria indisponibilità a riconoscere le autoproclamatesi repubbliche di Donetsk e Lugansk, imbarazzando non poco Vladimir Putin. Inoltre, in occasione del recente vertice dei Paesi del Mar Caspio le posizioni russa e kazaka sono risultate inconciliabili, con Mosca impegnata ad assicurarsi l’apertura di un corridoio nord-sud da San Pietroburgo al Subcontinente indiano, mentre Nur-Sultan e Baku spingono per un corridoio est-ovest che connetta le due sponde del Caspio e consenta agli idrocarburi centro-asiatici di giungere in Europa aggirando la Russia.
Riposizionamenti nello spazio eurasiatico
La parola chiave sembra essere diventata “riposizionamento”. Innanzitutto degli assetti di potere russi in Kazakistan, Paese che sembra voler uscire almeno in parte dalla sfera d’influenza moscovita. In seguito alle parole del presidente Tokayev allo SPIEF la Russia ha deciso di bloccare le esportazioni del petrolio kazako che passano dal porto russo di Novorossiysk. Si tratta della terza volta da quando è scoppiata la guerra, e stavolta una corte di giustizia russa ha cercato di bloccare i traffici di petrolio kazaki attraverso il porto per un mese, con un danno stimato di mezzo miliardo di dollari. Prontamente è arrivata la risposta kazaka, colpendo il carbone russo come contromisura. Inoltre, pochi giorni dopo il Kazakistan si è ritirato dall’Accordo sul Comitato monetario interstatale, un comitato valutario creato tra gli Stati ex sovietici all’indomani della disgregazione dell’Urss.
Scosse di assestamento che di sicuro non passeranno inosservate, come già si è visto nell’avvicinamento di Nur-Sultan all’Unione europea, offrendosi di aiutarla a stabilizzare i prezzi dell’energia dopo che Mosca ha avviato una stretta ai suoi rubinetti di gas. Anche in questo caso, lo zar non è stato per nulla contento della scioltezza con cui il suo omologo meridionale si è approcciato all’Unione europea, vanificando in parte la minaccia russa di lasciare gli europei al freddo quest’inverno. Dopo il definitivo esautoramento, con le epurazioni di questo gennaio, del ben più dialogante Nursultan Nazarbayev, e con lui della sua linea politica, il Presidente kazako appare più determinato che mai a tenere la barra della politica estera kazaka dritta e autonoma rispetto alla direzione presa da quella russa. L’aria che si respira tra Mosca e Nur-Sultan appare gelida come mai prima d’ora.