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Kenya: continuano le proteste contro il presidente Ruto


Le proteste sono iniziate il 18 giugno, in vista dell’approvazione della nuova legge finanziaria. Le dimensioni delle proteste hanno costretto Ruto a ritirare il proprio appoggio alla legge e aprire al dialogo. Ma la popolazione ha perso fiducia e chiede le sue dimissioni.

Sono due settimane che la popolazione si riversa nelle strade, in Kenya, per protestare contro il presidente William Ruto e la manovra finanziaria del suo governo. E sono 39 le persone che hanno perso la vita nelle manifestazioni, a causa della repressione voluta dall’esecutivo.

A denunciare la situazione è la Commissione nazionale keniana per i diritti umani (KNHRC), un organismo ufficiale che si occupa della protezione dei diritti fondamentali nel Paese africano. Con un comunicato pubblicato lunedì, il KNHRC ha sottolineato come, oltre ai morti, in Kenya si contino almeno 360 feriti e 32 casi di “sparizioni forzate o involontarie”, e cioè di persone di cui non si hanno notizie. Infine, sono centinaia i manifestanti arrestati. L’organismo ne contava 620, a cui vanno aggiunte altre 270 persone che sono state fermate martedì.

Oltre a fornire dei numeri affidabili, l’organismo ha criticato in maniera netta il modo in cui il governo ha deciso di reagire alle manifestazioni e la conseguente azione della polizia. "La Commissione continua a condannare con la massima fermezza le violenze ingiustificate contro i manifestanti, il personale medico, gli avvocati, i giornalisti e negli spazi sicuri come le chiese, i centri medici di emergenza e le ambulanze. Riteniamo che la forza usata contro i manifestanti sia stata eccessiva e sproporzionata".

Le proteste sono iniziate il 18 giugno, in vista dell’approvazione della nuova legge finanziaria. A causa della sua situazione economica precaria e dell’alto debito estero, il Kenya ha un urgente bisogno di aumentare le proprie entrate fiscali: si tratta anche di una delle richieste avanzate dal Fondo Monetario Internazionale, per continuare ad aiutare il Paese. Negli scorsi mesi il presidente Ruto aveva quindi annunciato che avrebbe provato a farlo attraverso l’aumento della tassazione su una serie di beni primari, in particolare quelli importati. “Il principio è che devi vivere secondo le tue possibilità” aveva detto, per giustificare le misure e l’abbassamento delle condizioni di vita a cui avrebbero portato.

Da subito, però, in molti avevano criticato la manovra finanziaria. Con l’aumento del costo dei beni di prima necessità, questa avrebbe infatti portato ad una crescita delle disuguaglianze, colpendo le fasce più povere della popolazione e aggravando ulteriormente le loro condizioni di vita.

Per alcuni giorni le proteste erano state pacifiche. Poi, il 25 giugno, i manifestanti sono entrati nel Parlamento, cercando di impedire che la legge finanziaria venisse approvata e dando fuoco ad una parte dell’edificio. La polizia ha reagito sparando sulla folla e da quel momento la repressione delle manifestazioni è cresciuta enormemente.

Il presidente Ruto ha negato ogni responsabilità legata alla morte dei 39 manifestanti, sostenendo di non sentire “le mani sporche di sangue”: a suo avviso la polizia avrebbe agito nel miglior modo possibile e la colpa dei decessi sarebbe da imputare a “dei criminali che si sono infiltrati e hanno seminato il caos”. Al tempo stesso, le dimensioni delle proteste lo hanno di fatto costretto a ritirare il proprio appoggio alla legge finanziaria, dichiarando che non l’avrebbe firmata e annunciando di essere aperto al dialogo con i manifestanti.

Il passo indietro da parte di Ruto non è tuttavia bastato perché il malcontento si placasse, né la violenza della polizia ha scoraggiato le persone dal continuare a scendere in piazza. Da un lato, esiste il timore che quella del Capo di stato possa essere una messinscena e che Ruto finisca per cambiare idea, firmando la legge nei prossimi giorni. Dall’altro, una parte consistente della popolazione ha ormai perso la fiducia nel Presidente e vorrebbe le sue dimissioni, non accontentandosi del fatto che la legge finanziaria venga ritirata.

 

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