Kirghizistan, Japarov: dal carcere alla presidenza
Sadyr Japarov, in carcere il giorno delle elezioni, è stato eletto nuovo leader e ha subito indetto e vinto un referendum per il ritorno al sistema presidenziale
Sadyr Japarov, in carcere il giorno delle elezioni, è stato eletto nuovo leader e ha subito indetto e vinto un referendum per il ritorno al sistema presidenziale
L’Asia Centrale oscilla da sempre tra cambiamenti che avvengono nel corso dei secoli e stravolgimenti repentini e inattesi. Quanto successo in Kirghizistan tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 è un chiaro esempio del secondo caso.
Il 2021 per l’Asia Centrale è iniziato con due importanti tornate elettorali. Il 10 gennaio scorso, infatti, si è votato contemporaneamente in Kazakistan – per il rinnovo del Parlamento – e in Kirghizistan – per eleggere un nuovo Presidente e per modificare o meno in senso presidenziale il sistema istituzionale del paese. Se le urne kazache non hanno portato a sostanziali novità, dato anche il tradizionale clima di repressione in cui si sono tenute, quelle kirghise hanno invece ufficializzato la salita al potere di una figura politica controversa – Sadyr Japarov – e la vittoria con una schiacciante maggioranza dei favorevoli al ritorno (dopo dieci anni) al sistema presidenziale.
Dal carcere alla presidenza
Per capire la trasformazione del Kirghizistan sancita il 10 gennaio, è necessario però compiere un breve passo indietro temporale, al 4 ottobre 2020. Quel giorno si sono tenute nel Paese elezioni parlamentari il cui risultato, falsato da una corruzione dilagante, ha portato a massicce proteste di piazza, al successivo annullamento del voto stesso e alle dimissioni del presidente in carica in quel momento, Sooronbai Jeenbekov. Il Kirghizistan, senza dubbio il Paese dell’Asia Centrale con il sistema politico più aperto alla competizione ma anche quello più instabile, non è nuovo a situazioni di questo tipo, avendo già vissuto “rivoluzioni” simili nel 2005 e nel 2010. La differenza rispetto al passato è stata però la scarsa capacità di incanalare lo scontento verso un leader riconosciuto e unitario, lasciando invece la strada aperta a un politico populista come Japarov. Quest’ultimo, ex deputato ed ex funzionario di alto livello dell’Agenzia Nazionale Anticorruzione, il giorno delle elezioni si trovava addirittura in carcere, per scontare una condanna a 10 anni di reclusione per il suo coinvolgimento negli scontri legati alla nazionalizzazione di un impianto aurifero. In pochissimi giorni Japarov è riuscito, anche grazie ai suoi legami con alcuni gruppi criminali del paese, a passare dalla sua cella alla poltrona di Primo Ministro fino addirittura a quella di Presidente ad interim. Cercando di sfruttare al massimo la situazione, ha prontamente indetto elezioni presidenziali anticipate e un referendum costituzionale sulla forma istituzionale del Kirghizistan, con i risultati descritti.
Anche se il passaggio al presidenzialismo dovrà essere confermato da un altro referendum – che dovrebbe tenersi entro l’estate – molti osservatori hanno letto quanto accaduto negli ultimi mesi in Kirghizistan come un rischio di scivolameno verso un sistema autoritario. La salita al potere di Japarov, inoltre, non ha sconcertato solamente larghe fasce della popolazione kirghisa – che ha boicottato in massa le urne del 10 gennaio – ma ha fatto storcere il naso in maniera più o meno esplicita anche a molte cancellerie internazionali, quella russa e quella cinese su tutte. Basta un esempio per capire l’imprevedibilità del nazionalista Japarov: una delle sue prime decisioni è stata di impedire in futuro alle compagnie straniere di realizzare grandi progetti minerari nel Paese, garantendo questo diritto solamente a compagnie statali (fatte salve, comunque, le licenze già in essere). Importanti operatori internazionali sono coinvolti nel settore minerario kirghiso – l’unica vera ricchezza del Paese –, come la canadese Centerra Gold Inc., che gestisce l’impianto aurifero di Kumtor: nel 2018, da solo, esso pesava per quasi il 9% del Pil complessivo del Kirghizistan.
A questo fattore bisogna aggiungere altri due elementi: da un lato, il fatto che il Kirghizistan è uno dei paesi al mondo più dipendenti dalle rimesse dei lavoratori migranti. Nel 2019 il denaro inviato in patria, soprattutto dalla Russia, è stato pari a circa il 30% del Pil complessivo. Dall’altro, Bishkek ha in Pechino il suo principale creditore estero, anche a causa degli ingenti prestiti elargiti dalla Repubblica Popolare per il progetto delle Nuove Vie dellaSeta: dei 4 miliardi di dollari di debito estero complessivo del Kirghizistan (pari a circa la metà del suo Pil totale), ben 1,8 miliardi sono detenuti dalla Export-Import Bank of China, braccio cinese per gli investimenti internazionali. I destini del Paese sono quindi legati a doppio filo a quelli dei due giganti regionali, Russia e Cina.
I rapporti con Russia e Cina
Bishkek è nell’orbita di Mosca anche dal punto di vista istituzionale e militare: il Kirghizistan, infatti, è uno dei membri dell’Unione economica eurasiatica fortemente voluta dal Cremlino, e il territorio kirghiso ospita una base militare dell’aeronautica russa. Nonostante la sua spericolatezza interna, conscio dei rapporti con la Russia, Japarov si è affrettato a sottolineare di considerare strategica la partnership che lega i due Paesi. Considerando le turbolenze che hanno caratterizzato lo spazio post-sovietico nel corso del 2020 – Bielorussia, Armenia-Azerbaigian e lo stesso Kirghizistan – e le proteste scoppiate in numerose città russe dopo l’arresto e la condanna di Alexei Navalny, sarà fondamentale per Japarov rassicurare Putin sulla sua capacità di tenere sotto controllo il Paese. Il principale timore del Cremlino, infatti, è che l’instabilità possa far precipitare gli eventi.
La ricerca della stabilità accomuna Pechino a Mosca. La Repubblica Popolare ha ingenti investimenti in Kirghizistan e, durante il periodo di caos seguito alle elezioni del 4 ottobre, alcune miniere gestite da imprenditori cinesi e una raffineria di petrolio sono state prese di mira. Non si tratta del primo caso di sentimento anti-cinese: nell’agosto del 2019, nella parte orientale del paese, circa 500 persone hanno attaccato i lavoratori cinesi di una miniera, ferendo 20 persone. Non a caso, quindi, la Cina ha evitato, come spesso succede, di prendere posizione prima della tornata elettorale del 10 gennaio, nell’attesa di capire chi sarebbe emerso trionfatore. Ma, senza dubbio, ora Pechino si aspetta delle rassicurazioni sulla sicurezza dei propri investimenti da parte della nuova leadership di Bishkek.
Quale futuro per il Kirghizistan?
Come sempre, saranno invece da valutare concretamente lo spazio a disposizione e la volontà politica degli Stati Uniti e dell’Unione europea per provare a incidere sulla situazione kirghisa. L’inizio sembra essere stato tutto sommato promettente: nel congratularsi con Biden per la sua elezione, Japarov ha espresso soddisfazione per l’avanzamento dei negoziati per un accordo di cooperazione mentre, a fine gennaio, Peter Burian, Rappresentante speciale dell’Ue per l’Asia Centrale, ha compiuto un viaggio in Kirghizistan – incontrando anche Japarov – per avviare un dialogo bilaterale.
La dimensione regionale potrebbe garantire al nuovo leader kirghiso più margini di manovra rispetto a quella internazionale. In un’Asia Centrale che sta compiendo i primi timidi passi verso la cooperazione tra le Repubbliche dell’area, il Kirghizistan potrebbe provare ad avvantaggiarsi della situazione. Basti pensare al riavvicinamento con l’Uzbekistan, dopo la salita al potere di Shavkat Mirziyoyev, con l’interscambio passato dai circa 50 milioni di dollari del 2016 agli oltre 800 milioni del 2019.
La ripresa economica del Kirghizistan sarà proprio uno dei primi test per Japarov. Il Paese è uno dei più poveri a livello internazionale e la pandemia globale, con l’impossibilità di viaggiare e il conseguente crollo delle rimesse, non ha fatto che peggiorare ulteriormente la situazione. Il Fondo monetario internazionale ha calcolato un calo del Pil di quasi il 10% nel 2020 e, oltre ad aver accolto con grande favore l’offerta di Pechino di un rinvio del ripagamento del debito kirghiso, Japarov, per cercare di restare in carica, dovrà trovare il modo per garantire una prospettiva economica al Kirghizistan.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Sadyr Japarov, in carcere il giorno delle elezioni, è stato eletto nuovo leader e ha subito indetto e vinto un referendum per il ritorno al sistema presidenziale
L’Asia Centrale oscilla da sempre tra cambiamenti che avvengono nel corso dei secoli e stravolgimenti repentini e inattesi. Quanto successo in Kirghizistan tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 è un chiaro esempio del secondo caso.
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