I ribelli Houthi attaccano due impianti della Aramco, la compagnia petrolifera saudita. Ci si interroga sul ruolo dell’Iran
Due impianti della Saudi Aramco, la compagnia petrolifera statale dell’Arabia Saudita, hanno subito ieri un attacco da parte di un gruppo di droni. Il gesto è stato rivendicato dai ribelli Houthi, sciiti e appoggiati dall’Iran, che dal 2015 combattono in Yemen una guerra contro il Governo, sostenuto proprio dall’Arabia Saudita.
Uno degli attacchi è avvenuto nel sito di Abqaiq, dove si trova il più grande impianto della Aramco, e ha provocato un incendio: le fiamme sarebbero sotto controllo secondo Riad, che non ha specificato se e in che misura la produzione petrolifera e le esportazioni siano state intaccate. Abqaiq è uno stabilimento di importanza cruciale, perché riceve e lavora il greggio estratto dal campo di Ghawar – il più esteso al mondo – e perché gestisce i trasferimenti di petrolio verso il grande terminal di Ras Tanura. L’impatto sui mercati e le ripercussioni sui prezzi del petrolio dipenderanno dall’entità dei danni.
Secondo la BBC, i due attacchi dimostrano come i ribelli Houthi siano divenuti in grado di condurre operazioni con i droni sempre più sofisticate che gli permettono di rispondere alle azioni dei sauditi. Ci si chiede dunque come abbiano fatto a sviluppare questa capacità e, soprattutto, se abbiano ricevuto finanziamenti e assistenza dall’Iran.
La guerra in Yemen viene spesso considerata una guerra proxy tra Arabia Saudita e Iran. Gli Houthi tuttavia – come spiegava l’analista Cinzia Bianco – non possono essere considerati dei sottoposti diretti di Teheran (come ad esempio Hezbollah in Libano) perché godono di una certa autonomia. È indubbio però che l’Iran sia legata ai ribelli e li sostenga, in funzione anti-saudita.
@marcodellaguzzo
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