Un maxi-decreto da 300 riforme stabilisce le basi dell’era Milei. Deregolamentazione economica, privatizzazioni e limitazione dei diritti sindacali alla base della “ricostruzione economica argentina”, imposta però senza passare dal Parlamento.
Il presidente argentino Javier Milei ha firmato mercoledì sera il maxi-decreto che pone le basi istituzionali del progetto politico libertario. Si tratta di una vera e propria demolizione dell’assetto economico e giuridico costruito nel paese sudamericano durante gli ultimi 40 anni.
Milei ha fatto ricorso a un Decreto d’Urgenza, uno strumento costituzionale pensato per affrontare situazioni di calamità ed emergenza. Il governo, sostiene il preambolo del decreto pubblicato giovedì 21 sulla gazzetta ufficiale, ritiene che la situazione socio-economica in cui versa il paese sia catastrofica, a tal punto da dichiarare lo “stato d’emergenza pubblica” in materia economica, finanziaria, fiscale, amministrativa, previsionale, tariffaria, sanitaria e sociale fino al 31 dicembre 2025.
Il Presidente si arroga così la facoltà di abrogare ed emendare circa 300 leggi in vigore, misura che apre in soli dieci giorni di governo un aspro fronte giudiziario, vista la cascata di ricorsi promessi da tutto l’arco politico contro il decreto. Ma oltre alla forma, a colpire particolarmente è il contenuto del diktat imposto mercoledì notte.
L’ambito più colpito è quello dei diritti del lavoro. Abrogate le norme sul licenziamento senza giusta causa, ridotti i contributi padronali e le liquidazioni, riformata la legge sui contratti collettivi, limitati il diritto di assemblea e il diritto di sciopero. Vengono dichiarati settori essenziali non solo sanità e trasporti, ma anche istruzione, gastronomia, alberghieri, industria siderurgica, produzione alimentare, servizi finanziari, attività mineraria e molti altri, che dovranno garantire un servizio compreso tra il 50% e il 75% della capacità produttiva in caso di sciopero.
I lavoratori di aziende composte da cinque o meno persone non saranno più considerati dipendenti ma collaboratori, perdendo di fatto tutti i diritti connessi alla legge sul lavoro. A questo si aggiungono le abrogazioni delle leggi di promozione industriale e commerciale, che garantivano incentivi statali alle imprese dei settori più deboli della produzione industriale argentina, o legate alle economie regionali (zucchero, yerba mate, olive ecc…).
Il decreto impone a tutte le società dello stato di costituirsi come società per azioni, per la loro successiva messa in vendita. Un capitolo speciale è dedicato alla linea aerea nazionale, Aerolíneas Argentinas, che non verrà più considerata “azienda di utilità pubblica” e il cui pacchetto azionario verrà ceduto ai propri impiegati, una possibilità che il sindacato dei lavoratori del trasporto aereo aveva già rifiutato più volte.
Abrogata anche la legge sugli affitti, che saranno fissati a partire dalla “libera negoziazione” tra inquilini e proprietari, e tutte le norme che stabilivano limiti ai prezzi dei beni di prima necessità. Il decreto concede anche uno dei principali desideri dell’ex presidente Mauricio Macri, la costituzione delle cosiddette “Società Sportive”, e quindi lo sbarco dei capitali privati stranieri nei club calcistici di serie A.
Abrogata la legge di approvvigionamento, “in modo che lo Stato non violi mai più il diritto di proprietà degli individui”, ha spiegato Milei.
La reazione nelle strade non si è fatta attendere. Proprio come nella notte del 20 dicembre del 2001, quando le strade di Buenos Aires si sono riempite di migliaia di persone che battevano le loro pentole in segno di protesta contro le misure ultra-liberiste del governo di Fernando de la Rúa, così ventidue anni dopo sono stati in migliaia a far sentire il loro disappunto una volta concluso il messaggio del Presidente.
Il cacerolazo, – da cacerola, pentola – si è fatto sentire in tutto il paese fino a notte fonda, e nella piazza del Congresso della Repubblica è partita una manifestazione spontanea molto nutrita. Le principali centrali sindacali del paese, già sul piede di guerra dopo la presentazione, settimana scorsa, del protocollo che criminalizza chi intralcia il traffico durante una manifestazione, hanno già avvertito che prenderanno misure serie contro il maxi-decreto. Per il 22 dicembre è già previsto uno sciopero degli impiegati pubblici.
La discussione si sposterà ora in Parlamento, dove il governo conta solo su uno sparuto numero di legislatori. Il decreto dovrà essere esaminato dalla Commissione Bicamerale dedita a convalidare le dichiarazioni di stato d’emergenza, che in dieci giorni dovrà girare il proprio parere alla Camera. I deputati avranno poi altri 10 giorni per approvare o rifiutare in toto le 300 riforme incluse nel documento.
Nel caso dei decreti d’urgenza basta l’approvazione di una delle due Camere per l’applicazione definitiva, ma basta anche che nessuna Camera lo tratti nei 10 giorni previsti dalla legge per dargli corso permanente. Milei conta dunque su tre settimane chiave, nel pieno delle vacanze estive, per trovare una soluzione sul fronte parlamentare.
Remota la possibilità di un voto favorevole di maggioranza. Il decreto dovrebbe ricevere il sostegno di tutti i partiti da centro verso destra per essere approvato, e alcuni dirigenti si sono già espressi in senso contrario. Difficile anche il sostegno da parte del peronismo, considerato “l’origine di tutti i mali del paese” da Milei e i suoi.
Più probabile invece una strategia basata sull’ostruzionismo: sebbene non siano disposti ad accompagnare direttamente “Le basi per la ricostruzione economica argentina”, com’è stato intitolato il decreto, molti deputati potrebbero non presentarsi in aula per evitare che si arrivi al numero minimo previsto per il trattamento delle leggi, e lasciare che sia la Corte Suprema ad esprimersi sulla legalità del contenuto.
La strategia include anche la presentazione di una cascata di riforme da discutere nei prossimi giorni in entrambe le Camere, un’agenda difficilissima da seguire per l’opinione pubblica, a da cui Milei spera di trarre vantaggio anche solo per far passare buona parte delle sue proposte legislative.
Il presidente argentino Javier Milei ha firmato mercoledì sera il maxi-decreto che pone le basi istituzionali del progetto politico libertario. Si tratta di una vera e propria demolizione dell’assetto economico e giuridico costruito nel paese sudamericano durante gli ultimi 40 anni.
Milei ha fatto ricorso a un Decreto d’Urgenza, uno strumento costituzionale pensato per affrontare situazioni di calamità ed emergenza. Il governo, sostiene il preambolo del decreto pubblicato giovedì 21 sulla gazzetta ufficiale, ritiene che la situazione socio-economica in cui versa il paese sia catastrofica, a tal punto da dichiarare lo “stato d’emergenza pubblica” in materia economica, finanziaria, fiscale, amministrativa, previsionale, tariffaria, sanitaria e sociale fino al 31 dicembre 2025.