L’Argentina di Milei si schiera con Usa e Israele contro tutti e contro tutto
Dopo aver definito l'Onu un'organizzazione "di stampo socialista", il governo di Javier Milei ha preso le distanze dalla maggior parte dei consensi globali su genere, clima e povertà. Ora l'Argentina abbandona la Cop29 e si dissocia dal documento del G20.
Dopo una fase caratterizzata dalla diplomazia dell'insulto, adottata in particolare nei primi mesi di mandato, il governo di Javier Milei in Argentina, galvanizzato dal recente trionfo di Donald Trump negli Stati Uniti, ha mostrato l'intenzione di adottare una politica di dissociazione dalla maggior parte degli accordi internazionali. Cambiamento climatico, violenza di genere, disuguaglianze e sviluppo sostenibile sono i principali temi da cui l'Argentina si è smarcata, in attesa che un secondo governo Trump dia manforte a Buenos Aires nei prossimi mesi. Solo nell'ultimo mese, l'Argentina ha denunciato il Patto per il Futuro dell'Onu, ha votato in solitaria contro alcune risoluzioni dell'Assemblea Generale, si è dissociata dagli accordi presi al G20 e ha persino ritirato la propria delegazione dalla XIX Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Baku.
I primi segnali di questa nuova politica controcorrente sono arrivati durante il discorso del presidente Milei in occasione dell'apertura delle sessioni ordinarie dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, quando ha definito l'Onu un'organizzazione "di stampo socialista" che, attraverso l'Agenda 2030, cerca di "diffondere il collettivismo" e limitare la libertà umana. "Abbiamo già visto come un'organizzazione nata per difendere i diritti dell'uomo sia stata uno dei principali promotori della violazione sistematica della libertà, come - ad esempio - le quarantene globali del 2020, che dovrebbero essere considerate un crimine contro l'umanità", ha sostenuto Milei. "Da oggi, sappiate che la Repubblica Argentina abbandonerà la posizione di neutralità storica che ci ha caratterizzato e sarà in prima linea nella lotta per la difesa della libertà".
Buenos Aires ha stupito votando contro due risoluzioni adottate dall'Assemblea Generale: una che sancisce i diritti dei popoli indigeni e un'altra volta a intensificare gli sforzi per prevenire ed eliminare tutte le forme di violenza contro le donne e le bambine nell'ambiente digitale. In entrambi i casi, l'Argentina è stato l'unico paese su 193 a opporsi. Anche durante le negoziazioni precedenti al Summit del G20 di Río de Janeiro, la delegazione argentina ha assunto posizioni polemiche: è stata l'unica a rifiutarsi di sottoscrivere l'impegno a promuovere "programmi, iniziative e politiche" per ridurre il divario retributivo e digitale di genere. Sebbene l'Argentina abbia firmato il comunicato finale dell'incontro, il governo Milei ha successivamente dichiarato di dissociarsi da diversi punti dell'accordo, tra cui: "la promozione della limitazione della libertà di espressione sui social network, il regime di imposizione globale, la violazione della sovranità e la nozione che un maggiore intervento statale sia il mezzo per combattere la fame".
Bersaglio principale della diplomazia argentina è stato il Patto Globale contro la Fame, promosso dal brasiliano Lula da Silva, che prevede nuove misure fiscali sui super-ricchi per finanziare un fondo internazionale contro la fame. "Dobbiamo deregolamentare l'attività economica per liberalizzare il mercato e facilitare gli scambi; il capitalismo di libero mercato ha già tirato fuori dalla povertà estrema il 90% della popolazione globale e raddoppiato l'aspettativa di vita", ha risposto la diplomazia argentina, che con Lula porta avanti un braccio di ferro lungo dieci mesi, cioè da quando Javier Milei si è insediato alla Casa Rosada. L'attuale presidente aveva sostenuto di non voler avere nulla a che fare con "comunisti con le mani sporche di sangue", ed aveva nominato proprio Lula e Xi Jinping. Con entrambi si è riunito durante il summit del G20 di Río, ma sebbene la relazione col presidente cinese si sia a poco a poco normalizzata, quella con la potenza sudamericana e principale partner commerciale dell'Argentina, rimane tesa.
Il vicepresidente di Lula, Geraldo Alckmin, ha definito Milei un pericoloso "negazionista" del cambiamento climatico alla vigilia del Summit di Río, criticando il ritiro argentino dalla Cop29. Al di là della convenienza in politica interna - Milei condivide infatti la propria posizione sullo sviluppo sostenibile con il leader dell'opposizione brasiliana, Jair Bolsonaro - l'inatteso abbandono del Summit in Azerbaigian da parte della delegazione argentina ha ricadute anche sulla politica estera brasiliana: le negoziazioni tra l'Unione Europea e il Mercosur (composto da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) si vedrebbero infatti compromesse per la mancanza di garanzie nell'aspetto ambientale in Argentina, pretese specialmente dalla controparte europea. Il governo argentino starebbe ora valutando la possibilità di ritirarsi anche dall'Accordo sul clima di Parigi, emulando così gli Usa di Trump. É proprio il ritorno del tycoon ora l'evento internazionale più atteso a Buenos Aires: sarà l'impostazione della politica estera di Washington a definire fino a che punto Buenos Aires potrà continuare a prendere le distanze dalla propria politica estera tradizionale e continuare a generare tensioni continentali e globali.
A livello domestico il governo Milei giustifica la propria posizione proprio a partire dall'allineamento con la posizione internazionale di Usa e Israele, considerati i fari della libertà a livello globale dal presidente Milei. Eppure, nei fatti, le ultime posizioni argentine assunte a livello multilaterale contraddicono questa versione. Ne caso del Patto per il Futuro dell'Onu, ad esempio, Buenos Aires ha votato in sintonia con paesi come Venezuela, Iran, Corea del Nord, Haiti, Guinea Equatoriale, Somalia o Uzbekistan.
La strumentalizzazione della politica estera argentina in funzione di necessità politiche interne è stata evidente lo scorso 30 ottobre, quando il governo Milei ha annunciato il licenziamento della ministra degli Esteri Diana Mondino dopo il voto a favore della risoluzione annuale di condanna all'embargo contro Cuba. Sebbene si tratti di una posizione storica dell'Argentina - che vota a favore della risoluzione ogni anno dal ritorno della democrazia nel 1983 - Milei ha denunciato la decisione "scellerata" da parte dell'ex ministra di "schierarsi a favore di una sanguinosa dittatura" invece di seguire l'esempio di paesi "liberi e democratici" come Usa e Israele.
Una mossa dettata dunque esclusivamente dal bisogno del nucleo duro del potere presidenziale di disfarsi della Mondino e sostituirla con qualcuno più vicino alla sua visione, come l'attuale ministro, il multimilionario Gerardo Werthein. Il governo ha poi lanciato una vera e propria caccia alle streghe dentro al servizio diplomatico del paese, con agenti governativi dedicati a scovare diplomatici "che non si adeguano ai principi della libertà" dettati dal presidente. Decisioni che, ad ogni modo, hanno anche ricadute molto importanti per la politica estera del paese a lungo termine.
Il caso della risoluzione sull'embargo a Cuba è strettamente legato ad uno dei dossier più sensibili per la storia argentina: le isole Malvinas, sotto dominio inglese dal 1833. A causa della peculiare situazione data dagli equilibri geopolitici globali della Guerra Fredda, L'Avana ha infatti un ruolo di grande importanza nei lavori della commissione per la decolonizzazione dell'Onu, che segue, tra gli altri, proprio il caso delle isole contese tra Londra e Buenos Aires. La Cuba di Fidel Castro fu una delle prime nazioni a riconoscere la sovranità argentina sulle isole, e da allora è considerata un alleato chiave nell'Assemblea Generale per i negoziati bilaterali con Londra. L'allineamento "senza se e senza ma" del governo Milei con Usa e Israele incrina per la prima volta i rapporti diplomatici del paese con un governo che mantiene un'autorità internazionalmente riconosciuta su un caso particolarmente caro alla diplomazia argentina.
In altri aspetti, le ripercussioni potrebbero essere ancora più dolorose per Buenos Aires. Il ritiro dalla Cop29 di Baku mette a rischio il finanziamento internazionale che l'Argentina riceve per progetti di sostenibilità in atto da decenni nel paese. La dissociazione dal Patto del Futuro dell'Onu potrebbe altresì comportare l'esclusione dell'Argentina da importanti dibattiti globali come lo sviluppo sostenibile, la pace e la sicurezza internazionali. Il negazionismo climatico acuisce le tensioni nella regione, specialmente coi paesi amazzonici che spingono invece per portare il Sudamerica su una strada diametralmente opposta.
Bisognerà attendere il 20 gennaio dunque, per sapere fino a che punto Milei è disposto a tirare la corda del multilateralismo. Il sostegno di Washington sarà cruciale per la proiezione internazionale del governo argentino. Che, secondo molti, a Río ha sfoggiato la veste di "portavoce" del nuovo governo Usa sulle principali questioni dell'attualità internazionale.