All’Ausmin 2020 Canberra non cede alle richieste di Washington per maggiori pressioni su Pechino
Mike Pompeo, Segretario di Stato Usa, si aspettava che gli alleati australiani rispondessero positivamente all’appello di marginalizzazione della Cina sul palcoscenico internazionale. Invece, all’Ausmin 2020 ospitato quest’anno a Washington avviene un vero e proprio colpo di scena, con la Ministra degli Esteri Marise Payne che prende le distanze dalle accuse statunitensi verso il Partito comunista cinese.
Effettivamente, l’auspicio degli Stati Uniti per un appoggio incondizionato dell’Australia si poteva avvalere delle numerose iniziative di Canberra contro Pechino: il blocco allo sviluppo del 5G per Huawei e Zte; la proposta di un’inchiesta indipendente all’Oms sulla diffusione del Covid-19; l’allarme diffuso ai connazionali sui viaggi in Cina in seguito al passaggio della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong.
L’Ausmin, forum intergovernativo che regola le relazioni tra i due Paesi, avrebbe dovuto significare un ulteriore tassello nella coalizione anti-cinese in mente all’amministrazione del Presidente Donald Trump e al suo Segretario di Stato, che nel discorsoCommunist China and the Free World’s Future ha esplicitato chiaramente il bisogno per la rimozione del Pcc. Ma l’Australia, che con la Cina ha intessuto stretti rapporti diplomatici e commerciali nel corso degli ultimi anni, non ha intenzione di inimicarsi la nomenclatura cinese.
“La nostra relazione con la Cina è molto importante e non abbiamo intenzione di rovinarla”, ha affermato la Ministra Payne. “Ma soprattutto, siamo noi a prendere le decisioni e a fare le valutazioni nell’interesse nazionale dell’Australia, sulla base della nostra sicurezza, per la nostra prosperità e i nostri valori”. La Foreign Minister ha aggiunto che Canberra continuerà ad avere rapporti con la Cina nella stessa maniera: “Abbiamo interessi economici e di vario tipo che funzionano” per entrambi.
All’incontro tra i due Governi hanno partecipato anche i Ministri della Difesa: il Segretario Mark Esper per gli Usa e la Ministra Linda Reynolds per l’Australia. Persino in ambito militare, la discussione non è stata del tutto favorevole a Washington: se da un lato gli australiani si sono impegnati ad aumentare le risorse per la cooperazione con gli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale, dall’altro non hanno appoggiato la richiesta di libertà di navigazione in quelle acque, all’interno delle 12 miglia ritenute loro territorio dai cinesi. Reynolds ha dichiarato alla stampa che l’approccio australiano “rimane consistente e continueremo a transitare attraverso la regione rispettando il diritto internazionale”.
Mike Pompeo, Segretario di Stato Usa, si aspettava che gli alleati australiani rispondessero positivamente all’appello di marginalizzazione della Cina sul palcoscenico internazionale. Invece, all’Ausmin 2020 ospitato quest’anno a Washington avviene un vero e proprio colpo di scena, con la Ministra degli Esteri Marise Payne che prende le distanze dalle accuse statunitensi verso il Partito comunista cinese.
Effettivamente, l’auspicio degli Stati Uniti per un appoggio incondizionato dell’Australia si poteva avvalere delle numerose iniziative di Canberra contro Pechino: il blocco allo sviluppo del 5G per Huawei e Zte; la proposta di un’inchiesta indipendente all’Oms sulla diffusione del Covid-19; l’allarme diffuso ai connazionali sui viaggi in Cina in seguito al passaggio della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong.
Questo contenuto è riservato agli abbonati
Abbonati per un anno a tutti i contenuti
del sito e all'edizione cartacea + digitale della rivista di
geopolitica