Il premier ha voluto chiarire in pubblico che ci sono scelte e spese che non gli piacciono. Cosa ci aspettiamo dal nuovo anno, forse quello decisivo per l’economia italiana?
La Legge di Bilancio 2022 dell’Italia non è precisamente quella che Mario Draghi sognava. Sognava, si fa per dire: difficile chiamare il Presidente del Consiglio “sognatore” e infatti, nel suo pragmatismo, ha probabilmente valutato che il testo approvato fosse, nelle condizioni date, il massimo ottenibile dal Ministro dell’Economia Daniele Franco. Ha però voluto chiarire in pubblico che ci sono scelte e spese che non gli piacciono. E probabilmente sospetta che non piaceranno fino in fondo nemmeno alla Commissione Ue.
Nella conferenza stampa di fine 2021, Draghi ha ammesso di non gradire il Superbonus edilizio che crea “distorsioni” nel settore e produce “un aumento straordinario dei prezzi dei componenti necessari alle ristrutturazioni”. Quota 100 avrebbe probabilmente voluto abolirla e il compromesso con i partiti che ha prodotto Quota 102 è sub-ottimale dal punto di vista dell’economia italiana. Così come il rifinanziamento senza riforma del Reddito di Cittadinanza. E in più, una serie di provvedimenti e norme volute dai gruppi parlamentari che gli anglosassoni chiamano pork barrell: misure locali acchiappavoti che hanno fatto arrivare il testo della manovra (da 32 miliardi in deficit) a 358 pagine e 1.015 commi.
Detto questo, la Legge di Bilancio è uno stimolo all’economia, la quale nel 2022 è prevista dall’Istat in crescita poco sotto al 5%. La riduzione da cinque a quattro delle aliquote Irpef e un calo della pressione fiscale tra i sette e gli otto miliardi sono il primo passo verso una riforma complessiva del sistema di tassazione. È previsto uno sconto (limitato) dei contributi previdenziali. Viene abolita l’Irap per più di 800mila contribuenti. Ci sono interventi sull’età pensionabile al di là della Quota Centodue. È introdotto l’assegno unico famigliare per i figli. E parecchio altro.
2022, l’anno decisivo per l’economia italiana?
A questo punto, ci sono due domande che aprono il 2022, entrambe rilevanti, forse decisive, per l’economia italiana. La prima: quello che il Governo Draghi ha seminato nel 2021, soprattutto la dose di fiducia nella possibilità dell’Italia di riformarsi, darà frutti nell’anno nuovo? Sarà davvero l’Italia la sorpresa positiva del prossimo futuro? Al di là della Legge di Bilancio, il Pnrr – decisivo per l’impresa che il Paese ha di fronte – è impostato e va avanti. Ma per essere finanziato da Bruxelles nei prossimi cinque anni e arrivare in porto con tutte le riforme e tutti gli investimenti avrà bisogno di un quadro politico con una certa stabilità. E con parecchia credibilità. Qui, alcuni dubbi iniziano a circolare e forse il recente allargamento dello spread tra i titoli di Stato italiani e i Bund tedeschi è il segnale di qualche nervosismo da parte degli investitori.
L’impressione è che i partiti politici, tendenzialmente tutti anche se in gradazioni diverse, si siano – per dirlo brutalmente – stancati di Draghi e l’idea di averlo per sette anni al Quirinale, da garante verso l’Europa, a loro sembri troppo. Anche la sua permanenza a Palazzo Chigi dopo le elezioni del Presidente della Repubblica sembra problematica se non sarà trovato un candidato accettato da tutta l’attuale maggioranza di governo. Nei momenti di crisi, sin dagli Anni Novanta l’Italia si affida a figure di salvataggio esterne al mondo della politica: Carlo Azeglio Ciampi, Mario Monti, ora Mario Draghi, tutti garanti verso l’Europa. Ma proprio grazie al prestigio nazionale e internazionale di Draghi il Paese e soprattutto il mondo dei partiti hanno l’impressione di essere usciti da una crisi (pandemia a parte), ragione per la quale l’uomo di prestigio ma estraneo diventa meno utile.
Sia che il Governo oggi in carica piaccia o non piaccia, è evidente che l’uscita di scena repentina di Draghi darebbe un colpo violento alla credibilità del Paese. La fiducia sui mercati finanziari, in buona parte riconquistata, si frantumerebbe. A Bruxelles rischierebbero di saltare i nervi. A Parigi e a Berlino, i piani (già incerti) di rilancio della Ue finirebbero contro un muro. Il Pnrr rischierebbe. Il tutto con conseguenze estremamente pesanti per l’Italia. Non è detto che debba andare così, naturalmente. Ma la prima domanda che molti si fanno in questo inizio d’anno riguarda la capacità del Paese di mantenere la traiettoria virtuosa imboccata.
Il futuro dell’Europa
La seconda domanda è relativa al futuro dell’Europa. E qui il terreno non è meno scivoloso. Ancora una volta, è sul tavolo una questione tutta interna ai meccanismi di funzionamento delle istituzioni, in particolare di quelle dell’Eurozona. Per quanto nel mondo la competizione tra potenze sia la dominante del momento (e dei prossimi anni) l’Europa è di nuovo alle prese con faccende interne, per lo più di regole. Draghi ed Emmanuel Macron hanno lanciato, con un articolo a due mani, il dibattito sul futuro del Patto di Stabilità e Crescita. Oggi, le famose norme che riguardano i limiti di deficit e di indebitamento di un Paese sono sospese per dare ai governi mano libera nella risposta alla pandemia. Ma nel 2023 dovrebbero tornare. Modificate significativamente, dicono però Draghi e Macron: per fare sì che la riduzione dei debiti pubblici avvenga attraverso la crescita economica, e quindi grazie a riforme e spesa pubblica, invece che attraverso l’imposizione di tetti ai bilanci degli Stati.
Il dibattito sulla “stupidità” versus “l’intelligenza” del Patto di Stabilità per i membri dell’area euro è in corso da anni. Ma – fanno intendere i leader italiano e francese – la pandemia ha cambiato la situazione e spinge verso una riforma delle regole. “Così come alle regole non è stato permesso di ostacolare la nostra risposta alla pandemia, così esse non dovrebbero impedirci di fare gli investimenti necessari”. Draghi e Macron non sono scesi nei dettagli della loro riforma ma una delle idee che circolano prevede l’introduzione di una golden rule che consentirebbe di non conteggiare ai fini del Patto di Stabilità certi tipi di investimento – ad esempio quelli destinati a progetti ambientali, ma non solo. La proposta è stata presentata in maniera forte e ora dovrà trovare le gambe per camminare. Ci sono però due problemi.
Il primo è che il futuro politico di entrambi i proponenti non è scontato (Macron affronta le elezioni presidenziali in primavera). Il secondo è che il rilassamento delle norme del Patto di Stabilità rimane controverso in alcune capitali e anche tra alcuni commissari Ue. Come si orienterà il nuovo governo tedesco sarà decisivo. Il ministro delle Finanze Christian Lindner è sembrato fare qualche apertura sulla riforma: dice che per l’Eurozona è “consigliabile” rimanere legati “all’idea di stabilità” ma ammette che questa va accompagnata da crescita e investimenti. Visto il gonfiarsi dei debiti pubblici degli ultimi due anni, Lindner ha comunque aggiunto che “dobbiamo evitare in futuro la dominanza fiscale”, cioè una situazione nella quale gli alti debiti forzino la Banca centrale europea a tenere bassi i tassi d’interesse anche quando l’inflazione dovesse chiedere di aumentarli.
I Paesi nordici, storicamente attenti a non lasciare correre i debiti, si opporranno probabilmente a ogni eccesso di riforma del Patto, anche se uno di essi, l’Olanda, sembra meno rigido che in passato. Per parte sua, a differenza di Draghi e Macron, il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, sostiene che la traiettoria di riduzione dei debiti elevati dovrebbe riguardare tutto lo stock di debito, nessuna posta esclusa.
Anche nel 2022, prudenti con i sogni, occhi aperti.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
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