Un gruppo di studenti esamina i punti critici del processo decisionale dell’Ue nella ripresa post Covid e conta su un futuro più equo e sostenibile
Il 2020 è stato un anno estenuante, non lo si può negare. La pandemia tuttora in corso potrebbe passare alla storia come l’evento più traumatico e gravoso degli ultimi decenni, con effetti a lungo termine in molti ambiti della società. Oltre alla terribile situazione che ha causato, la pandemia ha contribuito a porre l’accento sul rapporto tra umanità e pianeta, mettendo in luce le debolezze del nostro sistema economico e alimentando il dibattito sulla necessità di modelli più equi, sostenibili e resilienti. Molti esperti guardano alla crisi come un’occasione per ridefinire le nostre priorità, rompere con i vecchi schemi e adottare una strategia preventiva piuttosto che riparatoria. Questa prospettiva è incentrata sul concetto di “economia del benessere”, radicato nella convinzione che il Pil non sia l’unico indicatore da prendere in esame per valutare la prosperità economica e che “dovrebbe essere l’interesse pubblico a determinare l’economia, non il contrario”. Mentre si adopera per la ripresa economica postCovid, l’Ue è chiamata ad affrontare questi temi e a effettuare scelte determinanti per il nostro futuro.
Per via della sua origine e delle sue conseguenze, la pandemia ha inevitabilmente riacceso il dibattito sulle sfide ambientali. Non c’è quindi da stupirsi se questo tema è diventato uno dei punti centrali all’interno delle trattative dell’Ue sulla ripresa post Covid. Mentre molti governi insistono sulla necessità di ricostruire l’economia rendendola più resistente a futuri shock, altri sono dominati da preoccupazioni di diversa natura. Malgrado il suo nobile intento di garantire una transizione climatica e sociale equa, infatti, il meccanismo dell’Ue per una transizione giusta rischia di mettere a dura prova diversi paesi e aree geografiche. È il caso, ad esempio, di molte regioni dell’Europa centrale e orientale che sono chiamate ad affrontare importanti sfide in questo settore. Alcuni paesi sentono di dover avviare la transizione verde partendo da una posizione svantaggiata e temono di essere lasciati indietro, mentre altri rivendicano maggiore libertà, il che potrebbe tradursi in politiche direttamente o indirettamente nocive per l’ambiente. Se l’Ue riuscisse a superare questa impasse, il Fondo per la transizione giusta potrebbe rappresentare il primo passo dell’Europa verso un’economia del benessere. Un recente rapporto dell’OCSE evidenzia come il passaggio a un’economia più verde avrebbe anche un impatto positivo sull’occupazione. Stando alle stime dell’Agenzia internazionale per l’energia (AIE), infatti, una ripresa sostenibile potrebbe salvare o creare circa 9 milioni di posti di lavoro all’anno nel corso dei prossimi tre anni.
Un altro capitolo importante nel dibattito sulla ripresa post Covid è, ovviamente, quello relativo all’assistenza sanitaria. Fin dall’inizio la pandemia ha infiammato il dibattito sull’efficacia, l’accessibilità e la resilienza del nostro sistema sanitario. Nel maggio 2020 la Commissione ha presentato EU4Health (2021-2027), il più grande programma sanitario mai istituito in termini monetari, che prevede investimenti per 9,4 miliardi di euro. Le sue priorità sono tre: migliorare la capacità degli Stati membri di affrontare le minacce sanitarie a carattere transfrontaliero; rendere farmaci e dispositivi medici disponibili a prezzi accessibili all’interno dell’Unione; rafforzare i sistemi sanitari. Nel giugno 2020, sono state avviate le prime consultazioni e i Ministri dell’Ue hanno accolto la proposta con ampio favore. L’introduzione di un nuovo programma sanitario è ritenuta indispensabile, non solo per far fronte ai rischi emergenti, ma anche al fine di sposare i principi dell’economia del benessere.
La crisi del 2020 ha rappresentato una svolta epocale, modificando profondamente la nostra vita e il nostro modo di concepirla. L’impegno contro il cambiamento climatico, l’occupazione e la qualità dell’assistenza sanitaria sono alcuni dei nuovi indicatori che l’Ue sta prendendo in considerazione per stabilire se la regione si stia risollevando con successo dalla crisi. Oggi l’Europa sta affrontando quella che è forse la più grande sfida della sua storia, ma la pandemia di Covid-19 potrebbe essere il campanello d’allarme di cui avevamo bisogno. In quest’ottica l’Ue potrebbe svolgere un ruolo di primo piano nella costruzione di un mondo più equo e sostenibile, di un modello economico più resiliente e di un futuro migliore.
Questo articolo è pubblicato sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
Un gruppo di studenti esamina i punti critici del processo decisionale dell’Ue nella ripresa post Covid e conta su un futuro più equo e sostenibile
Il 2020 è stato un anno estenuante, non lo si può negare. La pandemia tuttora in corso potrebbe passare alla storia come l’evento più traumatico e gravoso degli ultimi decenni, con effetti a lungo termine in molti ambiti della società. Oltre alla terribile situazione che ha causato, la pandemia ha contribuito a porre l’accento sul rapporto tra umanità e pianeta, mettendo in luce le debolezze del nostro sistema economico e alimentando il dibattito sulla necessità di modelli più equi, sostenibili e resilienti. Molti esperti guardano alla crisi come un’occasione per ridefinire le nostre priorità, rompere con i vecchi schemi e adottare una strategia preventiva piuttosto che riparatoria. Questa prospettiva è incentrata sul concetto di “economia del benessere”, radicato nella convinzione che il Pil non sia l’unico indicatore da prendere in esame per valutare la prosperità economica e che “dovrebbe essere l’interesse pubblico a determinare l’economia, non il contrario”. Mentre si adopera per la ripresa economica postCovid, l’Ue è chiamata ad affrontare questi temi e a effettuare scelte determinanti per il nostro futuro.
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