
L’attacco russo in Ucraina, la guerra in Siria, la crisi dei rifugiati, il disfacimento della Libia, l’Egitto di al-Sisi, un’Europa divisa… È un clima da Guerra fredda.
Che la Storia non fosse finita con la caduta dell’impero sovietico era chiaro da tempo, forse da sempre. Ora, è evidente che non è finita nemmeno la Geografia. Ovunque, ma ciò è una verità importante soprattutto per l’Europa, che la caduta del Muro di Berlino l’ha presa più sul serio di chiunque: e quindi si è sviluppata dando per scontato che un paradigma fosse cambiato, che la fine della Guerra Fredda avesse aperto una fase nella quale non contavano più tanto i rapporti di forza, che il soft power avesse preso il sopravvento. Gli eventi degli ultimi due anni mettono la Ue di fronte a una realtà diversa: la geopolitica è tornata potente e si parla di una nuova Guerra Fredda. Soprattutto, il riaffermarsi della politica fondata sui rapporti di forza costringe a scelte del tutto nuove. A darsi un metro di analisi diverso e a cambiare di nuovo paradigma.
L’attacco della Russia di Vladimir Putin all’Ucraina e la successiva annessione della Crimea sono probabilmente il primo segno di questo ritorno prepotente della geopolitica in Europa. La guerra in Siria e la conseguente apertura della crisi dei rifugiati ne sono un altro: anche qui con il forte coinvolgimento di Mosca. A sud, il disfacimento della Libia ne è un terzo. E la situazione in Egitto, sotto la presidenza di al-Sisi, è un ulteriore caso che illustra quanto i governi europei, come ha sperimentato l’Italia di fronte all’omicidio di Giulio Regeni, siano costretti a bilanciare senso della giustizia e interessi geopolitici sulla base di un nuovo “realismo” nella politica estera.
L’occasione massima di questo cambiamento della realtà, d’altra parte, è illustrato dalla svolta di Angela Merkel nei confronti della Turchia: contraria fino a pochi mesi fa all’accesso del Paese all’Unione europea, la Cancelliera è stata costretta dalla crisi dei profughi a una svolta a U a cercando a tutti i costi l’accordo con il regime autoritario e illiberale di Recep Tayyip Erdoğan. Pure questa una prova di estremo “realismo” in politica estera. Anche su altre scacchiere, la geopolitica è tornata forte, soprattutto nel Sud-Est asiatico e nel Mare Cinese Meridionale. Ma è in Europa e attorno ai suoi confini che il cambiamento di stagione è più evidente, più pericoloso e necessita di risposte nuove.
Le sfide aperte di fronte all’Europa hanno bisogno di politiche a due livelli. Il primo riguarda l’approccio a ogni singola questione. Innanzitutto, al rapporto con la Russia, relazione delicata che rischia di dividere in ogni momento i partner europei. Una logica da Guerra Fredda, da muro contro muro, è una tentazione in alcuni Paesi dell’Est europeo. Se prevalesse, il costo politico ed economico sarebbe alto. Non solo in termini di business mancante: soprattutto perché una Guerra fredda, per quanto di nuovo tipo, costringerebbe a spostare risorse considerevoli da progetti di crescita a piani finalizzati a congelare un equilibrio; imporrebbe alla Ue di cambiare almeno una parte delle proprie politiche sulla base del confronto con il Cremlino; ed esalterebbe le divisioni interne. Evitarla non sarà facile. In parte, dipende dai governi europei, in buona misura dalle scelte di Putin. Il Cremlino sembra intenzionato a creare divisioni tra gli europei e a interferire nella politica di alcuni Paesi – così hanno denunciato i servizi segreti tedeschi di recente. Nonostante ciò, l’obiettivo primo, negli scorsi due anni garantito dalla leadership di Frau Merkel, dovrebbe essere il tenere unita la Ue, sulla questione russa. Ma ciò sarà ora complicato: non solo perché la Cancelliera è politicamente più debole, dopo la crisi dei rifugiati, ma anche perché la nuova alleanza tra Bruxelles e la Turchia, Paese in rotta di collisione con il Cremlino, mette la Germania e gli europei su una traiettoria di rapporti ulteriormente conflittuali con Mosca.
Lo sviluppo geopolitico nei confronti della Russia sarà il test più importante della nuova fase che si è aperta davanti alla Ue: difficilissimo e probabilmente fondamentale anche per la definizione del suo futuro.
L’altro livello di risposta al quale la Ue è chiamata è di carattere generale e riguarda la sua posizione nel mondo. Un’idea che circola di frequente è che durante la Guerra fredda tutto fosse in fondo più chiaro e confortevole. Il che per molti versi è difficilmente confutabile. Il problema è che una nuova Guerra fredda, oggi, sarebbe del tutto diversa da quella dell’età sovietica. La Ue è più ampia ma anche più divisa. I protagonisti attorno alle sue frontiere sono del tutto imprevedibili: Putin più di Brežnev, i regimi usciti dalle “rivoluzioni” arabe instabili, il terrorismo in guerra contro l’Occidente molto più insidioso e mosso da logiche non statuali. E gli Stati Uniti, ombrello politico e militare negli anni del confronto tra le due superpotenze, meno impegnati sugli scacchieri europeo e mediorientale. In questo quadro, le divisioni tra partner europei, mai così forti come in questa fase, fanno pensare che se una chiusura da Guerra fredda si affermasse, non importa per responsabilità di chi, la Ue rischierebbe di sfasciarsi. è una prospettiva che va evitata. Il problema è come, in un passaggio in cui rifugiati, approfondimento dell’unione monetaria, stabilità delle banche, Brexit e pressioni geopolitiche sembrano avere messo nel caos l’Unione.
L’Europa dovrà alzare lo sguardo, dopo anni durante i quali ha creduto che fosse possibile interessarsi relativamente di cosa accadeva fuori dai suoi confini (indifesi) e bastasse concentrarsi sulle crisi di casa. Il ritorno della geopolitica significa che per non finire in uno stallo da Guerra fredda, con la Russia o con altri, la Ue – che in questa fase significa i governi più rilevanti della Ue – dovrà in qualche modo cambiare paradigma: sapere che la sua unità passa non solo dall’unione monetaria da completare ma anche da una posizione verso il resto del mondo condivisa. Verrebbe da dire una politica estera. Non però generica: capace da un lato di tenere assieme 28 Paesi e dall’altro di trattare con un mondo difficile e in alcuni casi ostile mettendo al primo posto non più solo gli interessi economici ma gli interessi strategici dell’Unione. Vuole dire stabilire e riconoscere che la Ue ha questi interessi strategici, che non vive più nell’idea che la geopolitica sia finita e che il “realismo” in politica estera sia un fatto dei secoli passati.
Niente di facile in tutto questo. Le crisi gemelle, nel senso di contemporanee, in corso nel Vecchio continente danno l’idea che la situazione sia troppo confusa e in certi casi deteriorata per essere governata in avanti. Ma se è vero – anche se non scontato – che l’Europa si forma e cresce nelle crisi, questo è il momento per sapere co me affrontare Putin, Erdoğan, al-Sisi, il Daesh e tutte le sfide della globalizzazione. Di affrontare il mon – do. L’alternativa non è una Guerra fredda ma confortevole nella quale rifugiarsi: è una Guerra fredda che distruggerebbe l’Unione europea.
L’attacco russo in Ucraina, la guerra in Siria, la crisi dei rifugiati, il disfacimento della Libia, l’Egitto di al-Sisi, un’Europa divisa… È un clima da Guerra fredda.