Mali, il premier Cissé chiede perdono per i civili uccisi
Mali: il premier Cissé si scusa con i manifestanti per quanto successo la settimana scorsa a Bamako. Si teme che la tensione interna possa alimentare il terrorismo
Mali: il premier Cissé si scusa con i manifestanti per quanto successo la settimana scorsa a Bamako. Si teme che la tensione interna possa alimentare il terrorismo
Il Primo Ministro maliano Boubou Cissé si è scusato ieri per gli “eccessi” compiuti dalle forze di sicurezza contro i manifestanti, ma ha rigettato la richiesta di dimissioni del Presidente Ibrahim Boubacar Keita.
Le scuse di Cissé si riferiscono a quanto successo la fine della settimana scorsa a Bamako, la capitale del Mali: la polizia aveva sparato contro i manifestanti in protesta, parte dei quali aveva occupato alcuni edifici governativi; i morti sono almeno undici. Il Primo Ministro – nel Paese non c’è tuttavia un Governo in piene funzioni da giugno – ha anche chiesto spiegazioni al Ministero della Difesa per la decisione di schierare per le strade le forze speciali anti-terrorismo.
I motivi delle proteste in Mali
Le proteste in Mali sono iniziate all’inizio di giugno. Il 5 giugno, per la precisione: la data è importante perché dà il nome al movimento che riunisce le forze, sia politiche che civili, che si oppongono al Presidente Keita. È in carica dal 2013 ed è stato eletto per un secondo mandato nel 2018.
La causa scatenante delle proteste è stata la decisione della Corte costituzionale di ribaltare il risultato delle elezioni parlamentari – svoltesi tra marzo e aprile dopo numerosi rinvii – in favore di Keita. Ma come spesso accade nel caso di proteste largamente partecipate, la scintilla non basta a spiegare il senso delle agitazioni. Il Presidente Keita ha infatti annunciato lo scioglimento della Corte costituzionale nel tentativo di far rientrare la crisi, ma senza successo.
Oltre alla corruzione nelle istituzioni, infatti, la popolazione sta protestando anche contro il clima di insicurezza, che interessa soprattutto le regioni del nord e del centro del Mali. La violenza è riconducibile alla presenza di gruppi jihadisti e di milizie varie, ma anche le forze governative hanno commesso abusi contro i civili sotto la giustificazione della lotta al terrorismo.
La rabbia è inoltre alimentata dalle cattive condizioni dell’economia, che la crisi del coronavirus ha reso ancora più critiche. Secondo le stime della Banca mondiale, più del 40% della popolazione vive in condizioni di povertà estrema.
Il ruolo dell’imam
Dalla parte dei manifestanti si è schierato – è in realtà ritenuto il vero promotore delle proteste – l’imam Mahmoud Dicko. Di orientamento conservatore, Dicko è una figura molto nota e influente in Mali, anche in politica. Benché si opponga a Keita da diversi anni, nel 2013 ne aveva appoggiato la candidatura.
Cosa chiedono le opposizioni
I due fronti – la presidenza e il Movimento 5 giugno (M5) – sono su posizioni inconciliabili. I manifestanti chiedono le dimissioni di Keita, che tuttavia non sembra affatto intenzionato a lasciare l’incarico. Difficilmente le scuse del Primo Ministro Cissé potranno ammorbidire le richieste di M5, che finora non si è accontentato delle concessioni offerte da Keita.
Le conseguenze internazionali
Le proteste in Mali non sono importanti soltanto per l’evoluzione del quadro politico interno. Le agitazioni sono infatti guardate con preoccupazione sia dai Paesi vicini (come il Niger e il Burkina Faso) che dalla Francia, ex-potenza coloniale. Tutti temono che la crisi istituzionale possa aggravare l’instabilità del Mali e favorire l’avanzata dei gruppi terroristici nella regione del Sahel.
Questa settimana una delegazione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) è arrivata a Bamako per cercare di mediare tra Keita e le opposizioni.
Il Primo Ministro maliano Boubou Cissé si è scusato ieri per gli “eccessi” compiuti dalle forze di sicurezza contro i manifestanti, ma ha rigettato la richiesta di dimissioni del Presidente Ibrahim Boubacar Keita.
Le scuse di Cissé si riferiscono a quanto successo la fine della settimana scorsa a Bamako, la capitale del Mali: la polizia aveva sparato contro i manifestanti in protesta, parte dei quali aveva occupato alcuni edifici governativi; i morti sono almeno undici. Il Primo Ministro – nel Paese non c’è tuttavia un Governo in piene funzioni da giugno – ha anche chiesto spiegazioni al Ministero della Difesa per la decisione di schierare per le strade le forze speciali anti-terrorismo.
I motivi delle proteste in Mali
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