Le aziende e gli investimenti cinesi giocano un ruolo sempre più importante nel settore dei media africani. Questa tendenza è coerente con la più generale strategia di Pechino per rafforzare il proprio soft power nel continente africano
Per indagare la crescente influenza cinese nel settore dei media africani, il Kenya rappresenta un luogo ideale. Il Paese è oggi un partner cruciale della Cina in Africa, nonché una delle industrie tecnologiche e mediatiche più dinamiche del continente. Il coinvolgimento dei media statali cinesi in Kenya iniziò nel 2004, quando Xinhua, l’agenzia di stampa cinese, decise di stabilire la sede dei suoi uffici africani nella città di Nairobi. Nel 2006 toccò a China Radio International (CRI) e alla China Global Television Network (CGTN), la più importante televisione di Stato cinese, anch’essa stabilitasi a Nairobi. Oggi la presenza dei media cinesi nel continente è ben organizzata, attiva su tutti i fronti: il China Daily viene stampato in Kenya e poi distribuito come inserto dai giornali locali; per quanto riguarda la radio, esiste una partnership tra la Kenya Broadcasting Corporation e China Radio International per condividere studi radiofonici e programmi; inerentemente alla televisione, la CGTN è diventata un attore importante, riuscendo a raggiungere un pubblico sempre maggiore nel continente africano.
Il crescente coinvolgimento dei media cinesi nel panorama keniota testimonia come questo settore rivesta, agli occhi di Pechino, un ruolo fondamentale per migliorare la cooperazione, la fiducia e l’amicizia reciproca tra i due Paesi. Dal punto di vista del Kenya, è invece importante capire quali siano i benefici e i possibili rischi collegati a questa partnership, e dunque se questa possa beneficiare o no il Paese.
Conseguenze positive e negative per il Kenya
Da un lato i media cinesi potrebbero rappresentare un’opportunità per migliorare la qualità dei media in Kenya, fornendo un prezioso contributo in termine di tecnologie, attrezzature, risorse e competenze tecniche. Ad esempio, potrebbero aiutare a fornire una copertura in tempo reale degli eventi che si verificano nel Paese, un aspetto che necessita dell’accesso a tecnologie del settore più avanzate, di cui spesso i media kenioti non dispongono. Ciò rappresenta un’importante occasione per il popolo keniota, non solo in quanto pubblico, ma anche in termini di opportunità di lavoro e formazione per i giornalisti locali. Secondo la Federazione Internazionale dei Giornalisti, la CGTN è oggi una rilevante fonte di occupazione per i giornalisti locali, i quali possono godere di stipendi da due a tre volte superiori rispetto a quelli offerti dalle aziende mediatiche locali. Inoltre, ogni anno un numero crescente di giornalisti kenioti ha la possibilità di recarsi in Cina grazie a diversi programmi di formazione sponsorizzati da Pechino.
In aggiunta ai potenziali benefici tecnici, vi è un altro aspetto legato alla narrativa dei media in sé che merita una particolare attenzione: i media cinesi forniscono alla popolazione locale un’alternativa all’agenda di notizie proposte dai media occidentali attivi nel continente africano, stimolando una diversificazione delle fonti di informazione e bilanciando la narrazione occidentale, sia per quanto riguarda il Kenya e l’Africa sia rispetto all’immagine della Cina. I media occidentali sono stati spesso accusati dal pubblico di descrivere l’Africa in modo eccessivamente negativo e catastrofico, danneggiando la reputazione del continente. L’accusa è di concentrarsi troppo sui conflitti, le crisi, la povertà e il malgoverno, tutti problemi che attanagliano l’Africa, ma che mettono in luce solo un lato di essa. Diversamente, l’approccio dei media cinesi è diverso, dando spazio ad una narrazione più positiva dell’Africa, focalizzata sull’ascesa e lo sviluppo del continente. Questa narrazione è ben apprezzata dal pubblico e dagli studenti kenioti che considerano il contenuto dei media cinesi un ritratto più costruttivo dell’Africa per il mondo.
D’altra parte, nonostante i potenziali benefici, l’approccio alternativo e persuasivo dei media cinesi solleva più di una preoccupazione. La visione del giornalismo abbracciata da Pechino risulta incompatibile con il concetto di “watchdog journalism“, ovvero il modello in cui i media hanno il compito di responsabilizzare e tenere sotto controllo l’esercizio del potere da parte dello stato. È noto, infatti, che il Partito comunista cinese (Pcc) eserciti uno stretto controllo sui canali di informazione; di conseguenza, questi sono modellati dalla propaganda del partito e pensati per sostenere l’azione del governo piuttosto che metterla in discussione. Il rischio è che l’influenza cinese possa rendere i media del Kenya meno vigili e, dunque, meno critici nei confronti del Governo. Ciò rappresenterebbe una concreta minaccia per la libertà e l’indipendenza dell’informazione in Kenya, spingendo i media a supportare la stabilità politica del Paese piuttosto che la sua struttura democratica, coerentemente alla visione di Pechino. La forte influenza del Governo cinese sui suoi canali di informazione solleva un’ulteriore questione che potrebbe rappresentare un rischio aggiuntivo: La Cina potrebbe influenzare la percezione della popolazione keniota per raggiungere i suoi obiettivi geopolitici. In questo caso i media cinesi diventerebbero un efficace strumento di soft power per Pechino, che potrebbe indirizzare l’opinione pubblica su questioni delicate e sensibili ai suoi interessi, come la questione di Taiwan, oggi più accesa che mai.
La crescente presenza dei media cinesi in Kenya, e in Africa, rientra a pieno titolo nella strategia di soft power cinese per supportare i suoi interessi economici e geopolitici nel continente Africano, sempre più rilevante per le ambizioni presenti e future di Pechino.
Il crescente coinvolgimento dei media cinesi nel panorama keniota testimonia come questo settore rivesta, agli occhi di Pechino, un ruolo fondamentale per migliorare la cooperazione, la fiducia e l’amicizia reciproca tra i due Paesi. Dal punto di vista del Kenya, è invece importante capire quali siano i benefici e i possibili rischi collegati a questa partnership, e dunque se questa possa beneficiare o no il Paese.