La brillante analista politica tedesca Ulrike Guerot, ex-direttore dell’ufficio berlinese dello European Council on Foreign Relations, mi aveva confessato, alla vigilia del voto in Baviera, che prevedeva una vittoria sicura e ampia della CDU/CSU nella regione, con un crollo degli alleati liberali, ben sotto la fatidica soglia del 5%…
Questo risultato avrebbe indotto i maggiorenti della CDU a movimentare la base del partito per le elezioni nazionali di qualche giorno dopo, con il fine di favorire l’ingresso dell’FDP in Parlamento (usando la possibilità che hanno del voto disgiunto tra candidati e partiti) e consentire così ad Angela Merkel di poter governare altri quattro anni senza cedimenti a ideologie non compatibili.
Quest’affascinante iperbole (cinicamente determinista) non si è in realtà completamente realizzata: miracoli della saggezza del corpo elettorale che, nei momenti cruciali della storia di un Paese, riesce sempre a dare un segnale inequivoco. In questo caso, i Tedeschi, alle politiche, hanno premiato con la “quasi” maggioranza assoluta la capacità e la prudenza della Cancelliera di tenere la Germania al margine della crisi, con un livello di disoccupazione ben più basso della media UE e un’industria che ha continuato a garantire alti livelli di produzione, forte com’è della conquista di mercati che, secondo i dati dell’Istituto di Statistica tedesco, sono per il 69% facenti capo a Paesi europei (con buona pace della nuova frontiera cinese e indiana).
I Tedeschi hanno anche però penalizzato i tradizionali alleati della CDU, i Liberali (poco amati dalla Cancelliera, in verità), che sono crollati sotto il 5%, lasciando alla Merkel l’obbligo di allearsi con gli avversari di sempre, i Socialdemocratici di Peer Steinbruck.
Molti hanno interpretato la reiterata affermazione di Angela di non volere candidarsi una quarta volta al Governo nazionale come un suo investimento su un ambito più ampio e dunque un’ipoteca su un mandato da Presidente di una rafforzata Unione Europea. Per principio, non credo a queste interpretazioni futuristiche, ma la prospettiva di avere una Merkel a Bruxelles, eletta dal corpo elettorale, fra 4 anni, dovrebbe interessare tutti noi. E cerchiamo di capire perché è un’ipotesi non peregrina. Una politica economica rigidamente autarchica non è sostenibile per la Germania e l’Associazione degli Industriali tedeschi lo ripete da tempo. La moneta unica ha rafforzato senza dubbio quella che era già la più solida economia del continente, ma è necessario ora dotarla della necessaria infrastruttura istituzionale per costituire un vero asset per la competitività delle aziende europee. Merkel ha impiegato gli ultimi anni a convincersi che Unione Bancaria, Politica economica europea, Ministro unico dell’economia e mutualizzazione del debito non sono bestemmie ma l’evoluzione naturale di una Federazione di Stati che voglia inevitabilmente procedere verso un’Unione politicamente significativa. Soffermiamoci sulla messa in comune dei debiti nazionali, che oggi appare indigeribile alla maggior parte dei supporter della Cancelliera. Secondo un recentissimo studio dei due economisti tedeschi Moog e Raffelhüschen, è interessante sommare ai debiti pubblici cosiddetti espliciti anche le passività potenziali future (che vengono definite come debito implicito), per poter tracciare una corretta previsione dei prossimi 10 anni. E qui ci sorprendiamo: l’Italia ha il debito implicito di gran lunga meno elevato d’Europa, tanto da collocarsi al punto più basso della graduatoria delle somme dei debiti espliciti e impliciti. 146% del PIL l’Italia, contro il 193% della Germania (secondo posto) e gradualmente a salire, fino alle impressionanti 4 cifre di Grecia (1017%), Lussemburgo (1116%) e Irlanda (1497%), che chiudono l’originale classifica! Com’è possibile? Nel paragone tra Italia e Germania, tanto per fare l’esempio più sorprendente, hanno inciso l’intervento pubblico a favore del sistema bancario durante la crisi (250 miliardi di euro in Germania contro 4 in Italia) e la riforma del sistema pensionistico. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, infatti, una proiezione del Fondo Monetario prevede una diminuzione nel 2050 del costo attualizzato del sistema pensionistico del 34% in Italia, contro un aumento del 30% in Germania (+13% in UK , addirittura + 38% negli USA), ampliando lo scarto tra i due Paesi in modo impressionante. Poter dunque andare sui mercati esibendo un debito accentrato, che per l’area euro rappresenterebbe l’88% del PIL (gli USA sono al 101%), ci renderebbe tutti molto più affidabili a competitivi in termini di sistema. La Merkel sembra aver compreso questa lezione di economia e, con questo risultato elettorale, potrebbe apprestarsi a concedere, dopo una Banca Centrale Europea non coincidente con la Bundesbank, anche un Ministro dell’economia unico a Bruxelles, a questo punto coordinato da un Presidente autorevole, quale oggi solo lei può essere. Bisogna usare bene i 4 anni di legislatura che abbiamo davanti, per rafforzare le istituzioni comunitarie, così da renderle pronte per un passo così importante. C’è bisogno di coraggio, non più rinviabile.
La brillante analista politica tedesca Ulrike Guerot, ex-direttore dell’ufficio berlinese dello European Council on Foreign Relations, mi aveva confessato, alla vigilia del voto in Baviera, che prevedeva una vittoria sicura e ampia della CDU/CSU nella regione, con un crollo degli alleati liberali, ben sotto la fatidica soglia del 5%…