Da Microsoft ad Amazon, da Facebook a Google: i giganti della Silicon Valley fanno a gara a incoronarsi benefattori del mondo. Ma non sono solo luci...
Da Microsoft ad Amazon, da Facebook a Google: i giganti della Silicon Valley fanno a gara a incoronarsi benefattori del mondo. Ma non sono solo luci…
La foto di un’aula. In primo piano un mobile in legno con dei ripiani sui quali sono appoggiati dei libri per bambini. Pavimento in parquet, tappeti, banchi e scaffali in legno chiaro, luci al neon. Così il 22 settembre scorso Jeff Bezos, fondatore di Amazoned editore del Washington Post, ha annunciato sul suo profilo di Instagram la nascita a Des Moines, nello stato di Washington, della Bezos Academy, ultimo esempio delle attività filantropiche che da qualche anno hanno intrapreso i giganti del web.
Des Moines
Des Moines, 30mila residenti, si trova pochi chilometri più a sud di Seattle, sede del quartier generale di Amazon. La Bezos Academy è un asilo, destinato ai bambini fra i 3 e i 5 anni delle famiglie meno abbienti, le cui attività di ispirano al metodo Montessori. Bezos ha fatto questa scelta memore degli anni in cui frequentò ad Albuquerque (New Mexico) una scuola che seguiva il metodo educativo ideato dalla pedagogista italiana di cui nel 2020 è stato celebrato il centocinquantesimo anniversario della nascita. Il progetto è finanziato da The Day 1 Academies Fund destinato a sostenere le attività educative nelle comunità più svantaggiate. “Una opportunità per imparare, inventare e migliorare” si legge nella presentazione del progetto. Si legge anche che “Il Fondo utilizza gli stessi principi che hanno guidato Amazon. Il più importante di questi è una genuina e intensa ossessione per il cliente. Il bambino sarà il cliente. L’istruzione non è il riempimento di un secchio, ma l’accensione di un fuoco. E accendere presto quel fuoco è una spinta gigantesca per ogni bambino”.
L’apertura della scuola è stata accompagnata da qualche polemica in ambito locale. Janice Deguchi, direttrice di Neighborhood House, un’organizzazione non profit di Seattle che assiste le famiglie bisognose, lamenta: “Bezos non vive e non lavora qui, e sta imponendo la sua visione che deriva dalle sue esperienze vissute e da ciò che egli pensa sia il meglio per la comunità, ma non ascolta le comunità”. “In questo momento difficile, a causa della pandemia, con un sistema che sta crollando, non sarebbe stato più logico rafforzare il sistema scolastico già esistente?” ha detto a Forbes Joel Ryan, direttore di Head Start, un programma educativo per famiglie povere finanziato con fondi federali.
Le premesse della creazione della Bezos Academy erano già nell’annuncio che Jeff Bezos fece il 13 settembre 2018, con la nascita del Bezos day One Fund. Un Fondo da 2 miliardi di dollari concentrato su due aree di intervento: il finanziamento di organizzazioni no profit che aiutano le famiglie senza casa e il sostegno a programmi educativi per le fasce meno abbienti della popolazione.
Le perplessità spesso suscitate da queste attività non sorprendono l’economista Robert Reich, già segretario al lavoro durante la presidenza Clinton: “Quelli che si sono arricchiti grazie alla tecnologia, in California o a Seattle, hanno profili diversi dai personaggi tradizionali della finanza di Wall Street. Hanno una mentalità da tecnologi, mirano a ottimizzare i loro risultati. Agiscono per le persone, ma non con le persone”.
Bill & Melinda Gates Foundation
Nel mondo della filantropia Jeff Bezos si trova in compagnia di altri imprenditori diventati ricchi e famosi grazie al web. Il primo a lanciare questa forma di filantropia 2.0 è stato Bill Gates, il fondatore di Microsoft, con la creazione nel 2000 della Bill & Melinda Gates Foundation. In seguito l’esempio di Bill Gates è stato seguito dalle grandi aziende che dominano il web: Amazon, Facebook, Google. Ma la filantropia ha sedotto anche Jack Ma, l’imprenditore cinese fondatore nel 1999 di Alibaba, l’azienda diventata una multinazionale del commercio online. Ma nel 2012 ha creato l’Alibaba Foundation e due anni dopo la Jack Ma Foundation. Una volta deciso di mollare le redini del colosso di Hangzhou (nel settembre del 2019, a 54 anni), Jack Ma vuole dedicarsi solo alla filantropia.
“Dall’inizio del nuovo millennio la filantropia è esplosa”, scrive nel suo ultimo libro (Ricchi e buoni? Letrame oscure del filantrocapitalismo, EMI) Nicoletta Dentico, esperta di cooperazione e diritti umani, direttrice del programma di salute globale di Society for International Development (Sid). Per Dentico, “oltre ogni ragionevole dubbio si tratta di un fenomeno strettamente correlato alla concentrazione di potere economico e finanziario dovuta alla globalizzazione, che ha prodotto inaudita accumulazione dei capitali e drastica riduzione delle misure di giustizia sociale, anche nei Paesi dotati di sistemi di welfare”. Così la disuguaglianza crescente nel mondo diventa “levatrice principale di una nuova schiera di filantropi che, fonti di inarrivabili ricchezze, si fanno avanti con soluzioni per ogni ambito della vita umana”.
Filantropia e politica
Ma quanto è forte l’influenza politica espressa da queste attività filantropiche? Come sostiene Bob Reich, “la filantropia costituisce un esercizio di potere che cerca di trasformare degli asset privati in attori pubblici. È un fenomeno non trasparente”.
“Il fondatore di Amazon ha cominciato a inglobare i poteri dello Stato”, ha denunciato The Atlantic nel febbraio del 2020. Ricordando gli investimenti di Bezos in progetti spaziali, nell’assistenza sanitaria, nella riqualificazione professionale, Franklin Foer ha scritto: “Settori del Governo federale hanno fatto contratti con Amazon per conservare dati sui server dell’azienda. Bezos fornisce l’infrastruttura vitale dello stato. Quando Amazon fisserà il suo secondo quartiere generale sul Potomac, osservando la capitale dall’altro lato del fiume, sarà la rappresentazione perfetta del nuovo equilibrio dei poteri”. Foer fa riferimeto ad Amazon HQ2, un’espansione del quartiere generale di Seattle, che sorgerà a Crystal City, nella contea di Arlington.
Molti di questi super ricchi hanno aderito a The Giving Pledge, “l’impegno a donare”, un progetto lanciato da Warren Buffett e Bill Gates per coinvolgere i miliardari nelle cause filantropiche. Fondato nell’agosto del 2010, fu salutato da Bill Gates come “la costruzione di una meravigliosa tradizione di filantropia che può aiutare il mondo a diventare un mondo molto migliore”. Il sito dell’iniziativa fa sapere che finora hanno aderito 211 donatori di 24 paesi del mondo (non c’è l’Italia). Tra i donatori manca Jeff Bezos, però nel 2019 ha aderito McKenzie Scott, la sua ex moglie, che si è impegnata a donare nel corso della sua vita (o nel suo testamento) la metà del suo patrimonio stimato in 68 miliardi di dollari (38 dei quali in azioni Amazon che le spettavano al momento del divorzio).
Chan Zuckerberg Iniziative
Mark Zuckerberg e sua moglie Priscilla Chan hanno aderito a The Giving Pledge il 9 novembre del 2015 con una lettera in cui hanno preso l’impegno a lavorare per dare alle nuove generazioni le “più grandi opportunità possibili”. Pochi giorni dopo quella lettera, il 1° dicembre 2015, nel giorno della nascita della loro figlia Maxima, la coppia ha dato vita alla Chan Zuckerberg Iniziative, un’organizzazione attiva soprattutto in tre settori: istruzione, giustizia e pari opportunità. Anche qui molti progetti educativi con le comunità locali, ma come nel caso della Bezos Academy di Des Moines spesso sono state avanzate riserve per un format calato dall’alto, che non sempre tiene conto delle varie situazioni locali. Dopo la nascita della Chan Zuckerberg Iniziative in casa Zuckerberg è stato tutto un moltiplicarsi di iniziative.
Nell’agosto del 2013 Zuckerberg annunciò la nascita di internet.org, un consorzio per rendere internet più accessibile creando così un mondo più connesso. “Nel mondo − ha detto Zuckerberg lanciando il progetto − ci sono 2,7 miliardi di persone connesse. Queste persone online sono sempre di più, ma la crescita del loro numero è troppo lenta”. Per il fondatore di Facebook la sfida è quella di raggiungere altri 5 miliardi di utenti. Al consorzio hanno aderito big delle telecomunicazioni come Samsung, Nokia, Ericsson, Qualcomm. “Con Internet.org stiamo gettando la base perché il mondo possa cambiare in meglio”, ha promesso Zuckerberg, sempre guidato da un inguaribile ottimismo.
Nel 2016, con un impegno finanziario 600 milioni di dollari, il fondatore di Facebook e sua moglie hanno creato Biohub, un centro di ricerca medica in cui sono coinvolte le università di Berkeley, San Francisco e Stanford.
Fra tutte queste attività Zuckerberg non trascura i rapporti con la politica. Un articolo del Wall Street Journal del 16 ottobre scorso (Come Mark Zuckerberg ha imparato la politica) ha spiegato che ormai il 36enne imprenditore è un “operatore politico attivo”. Zuckerberg ha frequenti contatti con i politici (cene con Trump, incontri regolari con Jared Kushner, genero e consigliere fra i più ascoltati di Trump) e ci sarebbe stato anche un suo discreto lavoro di lobby sui membri del Congresso per vigilare sulle attività di aziende concorrenti come TikTok e Apple. Questa rete di relazioni con il mondo della politica è cruciale per il mantenimento del primato di Facebook nel mondo dei social media.
Google Foundation
La Google Foundation è nata nel 2005 e ha la sua base a Mountain View, in California. La Fondazione è diretta da Jacqueline Fuller. Fuller è arrivata a Google nel 2007 dopo aver svolto il ruolo di vice direttore della divisione per la Salute Globale della Bill & Melinda Gates Foundation.
Sul sito ufficiale, Google.org presenta così la sua missione: “Mettiamo il meglio di Google per aiutare a risolvere alcune delle più grandi sfide dell’umanità, combinando finanziamenti, innovazione e conoscenze tecniche per sostenere le comunità meno abbienti e dare opportunità a tutti”. I campi di azione sono vari: l’istruzione, la salute, la sostenibilità ambientale, le risposte alle crisi (come gli incendi che hanno devastato ampie zone della California lo scorso settembre). In campo educativo ci sono programmi come “Grow with Google” che forniscono competenze digitali e abilità tecnologiche nel settore della formazione professionale. La pandemia ha costretto Google.org a rivedere parte dei suoi programmi. “Con la crisi del Covid”, spiega Fuller, “abbiamo messo da parte i nostri obiettivi per il 2020 e ci siamo detti: riorientiamoci completamente su questa crisi. Abbiamo mobilitato oltre 100 milioni di dollari e ci siamo messi subito al lavoro con i nostri partner facendo leva sulla nostra esperienza”.
Una tirata d’orecchi dal mondo della filantropia tradizionale è arrivata a Google nell’agosto del 2020, quando i dirigenti di oltre una decina delle maggiori organizzazioni filantropiche degli Stati Uniti (come la Rockefeller Foundation e la Ford Foundation) hanno scritto una lettera a Sundar Pichai, l’amministratore delegato dell’azienda di Mountain View. Nella lettera si contestava l’accostamento di annunci di varie organizzazioni umanitarie comparsi su siti promotori di disinformazione. Una ricerca del Global Disinformation Index aveva scoperto che su siti di estrema destra come TheGatewayPundit gli annunci pubblicitari di organizzazioni come la Croce Rossa e Save the Children comparivano nelle stesse pagine in cui si leggevano teorie cospirazioniste sulla diffusione del Covid-19 e articoli in cui si chiedeva di incarcerare Anthony Fauci, l’immunologo capo dell’Istituto Nazionale per la prevenzione delle malattie infettive statunitense.
Poca trasparenza?
Nonostante la bontà degli intenti, restano non poche ombre e riserve sulle attività filantropiche delle fondazioni create dai giganti del web. Secondo Nicoletta Dentico: “Le fondazioni non brillano per trasparenza anche perché le normative vigenti non obbligano necessariamente questi enti a praticarla con scrupolo. Ciò vale di sicuro negli Stati Uniti, ma non solo. Così il livello di trasparenza dipende dalla sensibilità individuale, diciamo così. Ancora meno le fondazioni si sottopongono a uno scrutinio di merito indipendente, a valutazioni che non siano autofinanziate. Così la comunicazione di cui disponiamo, anche sul Giving Pledge, è esclusivamente quella istituzionale, dunque una trasmissione trionfalistica delle cose. E così il patinato mondo di Giving Pledge custodisce gelosamente il presupposto della inaccessibilità”.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
La foto di un’aula. In primo piano un mobile in legno con dei ripiani sui quali sono appoggiati dei libri per bambini. Pavimento in parquet, tappeti, banchi e scaffali in legno chiaro, luci al neon. Così il 22 settembre scorso Jeff Bezos, fondatore di Amazoned editore del Washington Post, ha annunciato sul suo profilo di Instagram la nascita a Des Moines, nello stato di Washington, della Bezos Academy, ultimo esempio delle attività filantropiche che da qualche anno hanno intrapreso i giganti del web.
Des Moines
Des Moines, 30mila residenti, si trova pochi chilometri più a sud di Seattle, sede del quartier generale di Amazon. La Bezos Academy è un asilo, destinato ai bambini fra i 3 e i 5 anni delle famiglie meno abbienti, le cui attività di ispirano al metodo Montessori. Bezos ha fatto questa scelta memore degli anni in cui frequentò ad Albuquerque (New Mexico) una scuola che seguiva il metodo educativo ideato dalla pedagogista italiana di cui nel 2020 è stato celebrato il centocinquantesimo anniversario della nascita. Il progetto è finanziato da The Day 1 Academies Fund destinato a sostenere le attività educative nelle comunità più svantaggiate. “Una opportunità per imparare, inventare e migliorare” si legge nella presentazione del progetto. Si legge anche che “Il Fondo utilizza gli stessi principi che hanno guidato Amazon. Il più importante di questi è una genuina e intensa ossessione per il cliente. Il bambino sarà il cliente. L’istruzione non è il riempimento di un secchio, ma l’accensione di un fuoco. E accendere presto quel fuoco è una spinta gigantesca per ogni bambino”.
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