La privatizzazione entro fine anno è prevista dagli accordi del 2017 con Bruxelles, che sulla vendita a Unicredit potrebbe però puntare i fari dell’Antitrust.
È un doppio binario europeo quello su cui si muove la vicenda del Monte dei Paschi di Siena ora che sono iniziate le trattative fra il ministero dell’Economia e Unicredit per l’acquisto di una parte delle attività dell’istituto toscano oggi in mano per il 68% allo Stato (nella cui pancia rimarrebbero in ogni caso i crediti deteriorati). Un processo, visto da Bruxelles, che ha come epicentro la Torre Madou, sede dei tecnici della Direzione generale Concorrenza (DG COMP) della Commissione europea, ma che segue – o perlomeno, seguirà – due filoni separati.
Da una parte, infatti, l’esecutivo Ue monitora il rispetto degli impegni presi nel 2017 con il governo italiano dopo il via libera a 5,4 miliardi di euro di aiuti di Stato per la ricapitalizzazione di MPS: si tratta, in particolare, dell’uscita dell’azionista pubblico dal capitale della banca al termine di un periodo di tolleranza di cinque anni che scade il 31 dicembre prossimo.
Dall’altra, invece, Bruxelles potrebbe attivare il meccanismo di “merger control”, il controllo delle concentrazioni di impresa nel mercato unico nel caso in cui – come spiegano fonti Ue – l’operazione di acquisto da parte di Unicredit dovesse andare in porto presentando una “dimensione di interesse europeo”.
Per il momento nessuna informazione in questo senso è stata recapitata alla DG COMP; ma è presto e la trattativa con lo Stato non è ancora matura. Toccherebbe in ogni caso al gruppo bancario guidato da Andrea Orcel notificare a Bruxelles l’operazione e attivare così il controllo preventivo da parte dei tecnici dell’Antitrust prima di completare la transazione. Un eventuale “secondo tempo” – risolta la questione proprietà – per la partita europea che riguarda MPS, senza contare che l’ipotesi “spezzatino” allontanerebbe le preoccupazioni sullo scrutinio anti-concentrazioni.
Com’è consolidato costume di Bruxelles quando sono sul tavolo complessi dossier di diritto della concorrenza, dai palazzi Ue trapelano poche indicazioni. Ancora a inizio luglio, prima dell’annuncio del matrimonio con Unicredit, la vicepresidente esecutiva della Commissione e zarina della Concorrenza Ue Margrethe Vestager aveva riservato poche ma perentorie parole sulla vicenda MPS: “Le cose stanno andando nel verso giusto”. Un verso che, secondo Bruxelles, coincide con la privatizzazione della più antica banca italiana nei tempi concordati con Roma. Torniamo, insomma, nel bacino del “primo tempo” del match, che riguarda le condizioni per cui nel 2017 – al termine di un negoziato con l’allora ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, oggi presidente di Unicredit – fu considerato legittimo e avallato dalla Commissione il salvataggio della banca da parte del governo italiano.
Se da un lato la pandemia ha allentato le rigide maglie del controllo Ue sull’erogazione degli aiuti di Stato (introducendo un quadro temporaneo di autorizzazione eccezionale delle misure e pure, nei giorni scorsi, nuove regole di tolleranza dei sussidi che sosterranno gli obiettivi della transizione verde e digitale), dall’altro, in questo momento una proroga del termine per l’uscita dello Stato dal capitale di MPS sarebbe vista come un rinvio per prendere (ulteriore) tempo senza tuttavia una chiara strategia all’orizzonte (o un’alternativa concreta, serie e credibile al negoziato con Unicredit).
L’ipotesi attendista è caldeggiata da varie forze di maggioranza – dalla Lega ai Cinque Stelle – e non esclude un mantenimento del controllo pubblico di MPS; soluzione che non incontra entusiasmi al ministero dell’Economia – determinato a onorare gli accordi, soprattutto in un momento in cui l’Italia a Bruxelles è tornata a muoversi da protagonista – né, come detto, in Commissione europea, dove un disegno sul futuro (privato) di MPS c’è, tempistiche comprese, ed è noto a tutte le parti in causa da anni.
Gli stress test condotti dall’Eba, l’Autorita bancaria europea, insieme alla Bce, hanno restituito la fotografia di una situazione senza ritorno: il capitale del Monte dei Paschi di Siena – peggiore istituto fra i 50 esaminati – sarebbe travolto nel caso di shock economico-finanziario imprevisto e molto severo. Insomma, un (ennesimo) segnale di allarme che a Bruxelles prendono molto sul serio. Il tempo è finito, la soluzione è sul tavolo. L’Europa, ancora una volta, ci guarda; l’Italia ha la possibilità di non farsi trovare impreparata.
È un doppio binario europeo quello su cui si muove la vicenda del Monte dei Paschi di Siena ora che sono iniziate le trattative fra il ministero dell’Economia e Unicredit per l’acquisto di una parte delle attività dell’istituto toscano oggi in mano per il 68% allo Stato (nella cui pancia rimarrebbero in ogni caso i crediti deteriorati). Un processo, visto da Bruxelles, che ha come epicentro la Torre Madou, sede dei tecnici della Direzione generale Concorrenza (DG COMP) della Commissione europea, ma che segue – o perlomeno, seguirà – due filoni separati.
Da una parte, infatti, l’esecutivo Ue monitora il rispetto degli impegni presi nel 2017 con il governo italiano dopo il via libera a 5,4 miliardi di euro di aiuti di Stato per la ricapitalizzazione di MPS: si tratta, in particolare, dell’uscita dell’azionista pubblico dal capitale della banca al termine di un periodo di tolleranza di cinque anni che scade il 31 dicembre prossimo.