Gli Stati Uniti vogliono lavorare con l’Arabia Saudita per stabilizzare il mercato del petrolio. Si oppone la Russia. Il capo dell’Opec invita il Texas al prossimo vertice
Gli Stati Uniti vogliono lavorare con l’Arabia Saudita per stabilizzare il mercato del petrolio. Si oppone la Russia. Il capo dell’Opec invita il Texas al prossimo vertice
Mentre infuria la “guerra dei prezzi” tra Arabia Saudita e Russia e il petrolio continua a perdere valore – il West Texas Intermediate, una delle principali qualità di riferimento, è sceso sotto i 20 dollari al barile –, gli Stati Uniti stanno provando a inserirsi nella disputa e a proporsi come nuovi arbitri del mercato del greggio.
Dopo il fallimento del vertice di Vienna del 6 marzo, con la Russia che ha respinto un accordo per tagliare la produzione, per ritorsione l’Arabia Saudita ha sia offerto forti sconti sul suo petrolio, sia annunciato un aumento record dell’output a partire dal 1° aprile: 12,3 milioni di barili al giorno. Il valore del petrolio è dunque crollato, dato che non esiste al momento una domanda sufficiente – a causa soprattutto della pandemia da coronavirus – ad assorbire l’offerta.
Questa situazione minaccia tutti i Paesi produttori di greggio e in particolare gli Stati Uniti, che ne sono i primi al mondo: l’industria petrolifera americana, fondata sul fracking e sullo shale oil, sta già accusando l’impatto dei prezzi bassi e rischia di non reggere qualora la fase dovesse protrarsi a lungo. Per questo motivo, Washington ha intenzione di mandare un “inviato speciale” a Riad per lavorare con il regno saudita a un piano di stabilizzazione del mercato petrolifero.
Venerdì, inoltre, il segretario generale dell’Opec, l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, ha parlato al telefono con il commissario della Texas Railroad Commission, l’organismo che regola il settore energetico del Texas: lo Stato della Stella Solitaria contribuisce per il 40% alla produzione petrolifera americana. I due hanno discusso della necessità di un accordo che bilanci domanda e offerta, e il capo dell’Opec ha invitato il dirigente texano a partecipare al prossimo vertice del cartello, che si terrà a giugno.
Il Wall Street Journal scrive che la Texas Railroad Commission starebbe pensando di limitare la produzione petrolifera per la prima volta da decenni. Un comunicato dell’organismo ha ridimensionato la notizia, ma l’idea sembra comunque godere di un certo seguito, anche se non piace a tutti.
La Russia, il secondo esportatore di greggio al mondo, non ha preso bene la notizia di una collaborazione tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita. Il portavoce del Cremlino ha infatti voluto precisare che non c’è nessuna guerra dei prezzi, che i rapporti con i sauditi sono ottimi e che nessuno dovrebbe intromettersi. Non sembra perciò probabile che l’amministrazione Trump possa riuscire a mettersi d’accordo sia con Riad che con Mosca per ridurre di concerto i rispettivi output.
Un eventuale “patto sul petrolio” tra Washington e Riad rischierebbe però di marginalizzare Mosca, che dal 2016 ha guadagnato molta influenza nel mercato petrolifero grazie all’alleanza – per quanto complicata da interessi divergenti – con l’Arabia Saudita, leader dell’Opec.
La Russia guarda agli Stati Uniti come a una minaccia ai propri interessi economici, dato che gli americani sono oggi i maggiori produttori di greggio e puntano a diventarne anche i primi esportatori.
Mentre infuria la “guerra dei prezzi” tra Arabia Saudita e Russia e il petrolio continua a perdere valore – il West Texas Intermediate, una delle principali qualità di riferimento, è sceso sotto i 20 dollari al barile –, gli Stati Uniti stanno provando a inserirsi nella disputa e a proporsi come nuovi arbitri del mercato del greggio.
Dopo il fallimento del vertice di Vienna del 6 marzo, con la Russia che ha respinto un accordo per tagliare la produzione, per ritorsione l’Arabia Saudita ha sia offerto forti sconti sul suo petrolio, sia annunciato un aumento record dell’output a partire dal 1° aprile: 12,3 milioni di barili al giorno. Il valore del petrolio è dunque crollato, dato che non esiste al momento una domanda sufficiente – a causa soprattutto della pandemia da coronavirus – ad assorbire l’offerta.
Questo contenuto è riservato agli abbonati
Abbonati per un anno a tutti i contenuti
del sito e all'edizione cartacea + digitale della rivista di
geopolitica