L’Italia riceve la fetta principale dei finanziamenti europei con la possibilità e la responsabilità di guidare l’avvio della ripresa di tutta l’Ue
“Il Pnrr dell’Italia ha l’ambizione necessaria per fare del Paese un motore per la crescita di tutta l’Ue”. Nel giorno in cui sono arrivati nelle casse del Ministero dell’Economia e delle Finanze i primi fondi del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (il Recovery Plan a Ventisette), la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha ribadito quello che nei palazzi delle istituzioni di Bruxelles è diventato un motivo ricorrente: con l’Italia prima beneficiaria del piano (e protagonista del nuovo ciclo politico Ue iniziato con la pandemia), il successo dell’intera strategia dell’Unione spalmata sui prossimi cinque anni dipende in buona misura dall’effettiva realizzazione degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) tricolore.
Superata la corsa a ostacoli della serrata procedura prevista per la redazione del suo Pnrr, la presentazione a Bruxelles (30 aprile), la validazione da parte della Commissione (22 giugno) e la successiva approvazione del Consiglio (13 luglio), l’Italia ha potuto festeggiare poche ore prima di Ferragosto − quinto Paese fra i 16 sino a quel momento “promossi” − l’esborso degli iniziali 24,9 miliardi euro per avviare la ripartenza. E benché i numeri siano tutto sommato assimilabili a quelli di una manovra finanziaria nazionale, non si tratta che della tranche di pre-finanziamento destinata al nostro Paese, un’anticipazione pari al 13% del totale di 191,5 miliardi (68,9 in sussidi, 122,6 in prestiti agevolati) cui l’Italia ha diritto.
Pre-finanziamenti
Erogazioni che adesso sono state effettuate in un certo senso “sulla fiducia”, in seguito alla positiva valutazione delle priorità strategiche individuate dall’Italia, ma che a partire da fine anno dovranno fare i conti con la tecnica di rendicontazione propria del Recovery Plan; da dicembre, infatti, Bruxelles staccherà con cadenza semestrale le 10 rate effettive a valere sul bilancio del Dispositivo di ripresa e resilienza a condizione che vengano raggiunti gli obiettivi socio-economici concordati nel Pnrr: i famosi “milestones” e “target” − traguardi di natura intermedia e finale, rispettivamente − contenuti nel piano negoziato fra il Governo Draghi e i tecnici dell’esecutivo Ue. Sono gli indicatori, in buona sostanza, del rispetto di un fitto e dettagliato cronoprogramma che sarà indispensabile rispettare per non perdere accesso ai pagamenti a consuntivo in arrivo da Bruxelles. La fiammata sui 100 metri, testimoniata dallo sprint italiano nelle tappe iniziali del processo del Recovery, è fonte impareggiabile di ottimismo − verrebbe da dire in un momento in cui l’Italia dell’atletica è diventata simbolo della fiduciosa ripartenza del Paese −, ma non bisogna perdere di vista la staffetta a squadre e la maratona, specialmente quella su lunga percorrenza.
58 riforme e 132 investimenti aspettano al varco l’Italia entro il 31 dicembre 202658 riforme e 132 investimenti aspettano al varco l’Italia entro il 31 dicembre 2026 (possono essere monitorati sul sito Internet dedicato italiadomani.gov.it): l’obiettivo politico è mettere a segno gli interventi pattuiti con Bruxelles nei tempi previsti, ma anche spendere in fretta e bene. Per questo il regolamento europeo istitutivo del Dispositivo per la ripresa e la resilienza introduce espressamente una clausola di retroattività a copertura ex post di spese per la ripresa effettuate già nel 2020: poco più di un miliardo e mezzo dei 24,9 della tranche di pre-finanziamento sarà destinato a questo scopo.
Progetti e investimenti
Si aggiunge agli oltre 13 miliardi in investimenti da portare a termine entro l’ultimo trimestre dell’anno: se le spese così preventivate saranno rispettate, nel 2021 l’Italia assorbirà poco più del 60% dello stanziamento iniziale arrivato da Bruxelles, trattenendo le restanti risorse nelle finanze pubbliche, vincolate integralmente all’implementazione dei progetti del Pnrr. Nei prossimi mesi il Governo dovrà realizzare 105 progetti − supereranno quota 170 fra 2022 e 2023, gli anni più impegnativi nella messa a terra del Recovery Plan −; a fare da apripista nella spesa delle risorse provenienti dall’Ue sono iniziative già in corso d’opera, per cui i fondi europei vanno a sostituire finanziamenti nazionali.
Nel bottino ci sono, ad esempio, Transizione 4.0, il programma di incentivi fiscali in forma di credito d’imposta agli investimenti per le imprese (1,71 miliardi, la maggiore quota di spesa dell’anno in corso), il rifinanziamento del fondo Simest per gli aiuti alle aziende italiane sui mercati stranieri (1,2 miliardi) e del superbonus al 110% per la riqualificazione energetica degli edifici (460 milioni), così come i primi interventi sull’Alta velocità ferroviaria, per ora concentrati al nord, con i collegamenti Liguria-Alpi e Brescia-Verona (873 milioni), e sul Piano Asili − 650 milioni, uno degli investimenti chiave per incentivare l’occupazione femminile. Al via anche le assunzioni di oltre ottomila giovani giuristi nel quadro degli “Uffici del processo” istituiti nei tribunali italiani per l’evasione dell’arretrato giudiziario (402 milioni).
Fin qui, le spese con cui il Governo intende mettere in circolo i fondi Ue, ma il resto del 2021 − dopo il via libera prima della pausa al decreto legge sulla governance del Pnrr e sulle semplificazioni − sarà anche monopolizzato dal lavoro politico sugli obiettivi delle riforme che sbloccheranno la prima effettiva rata di dicembre (poco meno di 24 miliardi). I ritardi estivi sulla presentazione alle Camere della riforma fiscale e della legge annuale sulla concorrenza − mancata la scadenza interlocutoria del 31 luglio, sono slittate come piatti forti della riapertura del Parlamento − hanno acciaccato un po’ la partenza. Il vero banco di prova della seconda metà dell’anno, però, è l’adozione della riforma della giustizia (civile, penale e tributaria), nota dolente nei rapporti con Bruxelles, che a luglio ha ancora una volta dato a Roma la maglia nera per la durata dei processi.
React EU e transizione digitale
Ma non c’è solo il Pnrr, per quanto titanico. Tra fine luglio e inizio agosto, l’Italia è passata all’incasso anche dei fondi di un altro programma che si colloca sotto l’ampio ombrello del piano Ue per la ripresa e che è − per così dire − il fratello minore del Dispositivo per la ripresa e la resilienza. Si tratta di React-EU, lo schema che fra 2021 e 2022 stanzia 50,6 miliardi di risorse aggiuntive per la coesione territoriale delle regioni d’Europa più colpite dalla pandemia, andando a incrementare le dotazioni già esistenti per i programmi operativi nazionali dei fondi strutturali (dalla spesa per lo sviluppo regionale a quella sociale). Anche in questo caso, con 11,3 miliardi di euro solo nel 2021, l’Italia riceve la principale fetta di finanziamenti fra i Ventisette.
Tra gli assegni staccati in piena estate, 1,6 miliardi sono stati destinati a sostegno degli investimenti delle piccole e medie imprese nella transizione verde e digitale, 1,1 miliardi per il rafforzamento del sistema sanitario e di quello universitario (vi rientrano il finanziamento dei corsi di specializzazione per i medici, borse di studio per chi proviene da famiglie a medio e basso reddito e riduzione delle tasse universitarie) e 1 miliardo per le città metropolitane (per investimenti verdi, digitali e sociali); mentre altri 322 milioni sono dedicati al miglioramento della rete idrica e alla riduzione delle perdite nelle condotte del sud Italia.
La tavola Ue è imbandita, e con Germania e Francia alle prese, la prima con una delicata transizione politica al termine di 16 anni di cancellierato di Angela Merkel, e la seconda con delle presidenziali dense d’incognite per la riconferma di Emmanuel Macron all’Eliseo, mai come ora l’Italia s’è trovata nella cabina di regia dell’Ue e mai come ora ha la possibilità di guidare con l’esempio l’avvio della ripresa Ue, ponendo anche le basi − come si augura Mario Draghi − per rendere permanenti alcuni profili del Recovery Plan, come il debito comune. Un lavoro che comincia inevitabilmente dalla realizzazione dei primissimi progetti del Pnrr.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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L’Italia riceve la fetta principale dei finanziamenti europei con la possibilità e la responsabilità di guidare l’avvio della ripresa di tutta l’Ue
“Il Pnrr dell’Italia ha l’ambizione necessaria per fare del Paese un motore per la crescita di tutta l’Ue”. Nel giorno in cui sono arrivati nelle casse del Ministero dell’Economia e delle Finanze i primi fondi del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (il Recovery Plan a Ventisette), la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha ribadito quello che nei palazzi delle istituzioni di Bruxelles è diventato un motivo ricorrente: con l’Italia prima beneficiaria del piano (e protagonista del nuovo ciclo politico Ue iniziato con la pandemia), il successo dell’intera strategia dell’Unione spalmata sui prossimi cinque anni dipende in buona misura dall’effettiva realizzazione degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) tricolore.