Una politica estera e una difesa comune sono ormai indispensabili all’Unione, che deve e può prevenire i conflitti internazionali e gestire la crisi
Nella sua recente e spietata disamina dei problemi che attualmente condizionano la relazione transatlantica rischiando di rendere inaffidabili le garanzie di difesa e sicurezza americane, e quindi incidendo pesantemente anche su ruolo e credibilità della Nato, il Presidente Macron ha chiuso l’intervista concessa all’Economist deplorando l’attuale incapacità europea di far fronte da sola ai problemi di tali delicati settori.
Nonostante i limitati progressi compiuti nel passato e malgrado ricorrenti tentativi di porre sul tavolo idee nuove che consentano alla Ue di arrivare a disporre col tempo di una propria difesa, che possa da un lato costituire il “pilastro europeo” dell’Alleanza, e dall’altro, qualora se ne presentasse la necessità, di agire in maniera completamente autonoma rispetto al Grande Fratello d’oltreoceano, l’ostacolo insormontabile sulla strada della realizzazione rimane sempre quello dell’assenza di una politica estera condivisa da tutti gli Stati dell’Unione.
Continuiamo così a convivere con una carenza che già nel passato si è rivelata estremamente condizionante, costringendoci in alcuni casi a ricorrere agli Usa e alla Nato per problemi che avrebbero potuto, e forse dovuto, rimanere soltanto europei, come quelli che, ad esempio, sorsero ai tempi della dissoluzione della federazione jugoslava o quelli connessi all’abbattimento in Libia del regime del Colonnello Gheddafi.
I favori, in ogni caso, debbono essere sempre ricambiati, specie allorché ci si muove in ambito internazionale, e ciò ha poi consentito agli Usa di coinvolgerci, dopo la caduta del Muro, in una erronea politica di mancata apertura alla Russia e di allargamento a est dell’Alleanza Atlantica che hanno finito col produrre rinnovati climi di guerra fredda, e purtroppo anche di guerra ibrida, su alcuni tratti di frontiera dell’Unione. Sotto la vaga formula della “solidarietà Atlantica” ci siamo inoltre trovati coinvolti in teatri che o non ci interessavano del tutto, come l’Afghanistan, o in cui, se avessimo potuto scegliere, avremmo agito in maniera ben diversa da quella imposta dai nostri condizionanti grandi alleati, come in Iraq.
Nella sua intervista il Presidente Macron ha stimato di ben dieci anni il periodo di tempo che sarebbe eventualmente necessario alla Ue, in presenza di una volontà politica corale e priva di esitazioni, per porre riparo alle proprie carenze e giungere a disporre di uno strumento di difesa comune adeguato e credibile, e quindi capace di esercitare a 360 gradi la dovuta deterrenza.
Si tratta di un lasso di tempo terribilmente lungo, soprattutto se confrontato alle grandi sfide che l’Unione dovrà affrontare nei prossimi anni.
Il mondo sta infatti cambiando e gli scenari mutano con rapidità estrema mentre nuovi protagonisti si affacciano prepotentemente alla scena pretendendo di ricoprire ruoli ben più importanti di quelli che erano stati riservati loro nel passato.
Se noi guardiamo alla nostra frontiera meridionale, a quell’area indicata come “Mediterraneo allargato”, ci accorgiamo infatti di come non soltanto essa sia condizionata da presenze nuove e non tradizionali − come quella russa e quella cinese − che divengono di giorno in giorno più invasive, ma come sia anche teatro di un vero e proprio “Risorgimento islamico sunnita” da cui stanno lentamente emergendo due nuove potenze regionali, la Turchia e l’Arabia Saudita. Potenze nuove, tra l’altro, che hanno già dimostrato di avere denti lunghi e parecchio pelo sullo stomaco, il che significa che gli eventuali elementi di contrasto fra noi e loro appaiono destinati a crescere di numero col tempo e certo non a sparire. Per rendersene conto basta pensare al contenzioso in atto con la Turchia per lo sfruttamento dei giacimenti di gas dell’Egeo o al ruolo che l’Arabia Saudita e altri Stati del Golfo hanno svolto fino a poco tempo fa, anche se non ufficialmente, nel finanziare movimenti islamici fondamentalisti con filiazioni spesso terroristiche.
Alla frontiera nord-est dell’Unione rimane poi ancora aperta la piaga sanguinante dell’Ucraina dove è tuttora in corso una guerra civile che, qualora non si compiano al più presto decisi passi in direzione di una soluzione negoziata, rischia di portare prima o poi a una definitiva partizione del Paese destinata a inasprire ulteriormente i rapporti dell’Ue con la Russia. Benché l’Ucraina non sia parte del nostro territorio il coinvolgimento europeo di vario tipo nel conflitto in corso è stato infatti sin dall’inizio tanto forte da far venire meno ogni speranza di rendere in futuro più stretti i rapporti fra Russia e Ue, due entità per molti versi complementari fra loro e che sarebbero quindi state entrambe considerevolmente rafforzate da un clima di reciproca collaborazione.
Anche se negativa per i nostri interessi, la situazione dell’area non deve quindi risultare molto sgradita né agli Stati Uniti né alla Nato, interessati i primi a mantenere l’Europa amica ma a non permetterle di crescere sino a evidenziarsi come un rivale, e la seconda a reperire, nel permanere della tensione a est, una rinnovata ragione di vita.
Non sono comunque soltanto quello Mediterraneo e quello ucraino gli scenari con cui l’Unione dell’immediato futuro sarà chiamata a confrontarsi. In prospettiva stanno divenendo infatti importanti anche i teatri dell’Africa sahelica e dell’Africa nera, e per la vicinanza all’Europa di un continente che sarà presto sconvolto da ondate di migrazione rispetto a cui le attuali appariranno come fenomeni trascurabili, e per la straordinaria potenzialità che in futuro l’Africa potrebbe risultare capace di esprimere.
C’è inoltre da considerare come su scala mondiale la bilancia del potere vada ristrutturandosi e come ormai appaia chiaro che soltanto chi è in grado di pensare e agire in grande potrà essere in condizione di contare. In altre parole vi è da decidere se desideriamo rimanere fra coloro che fanno la storia o passare fra coloro che sono solo in condizione di subirla, e a volte anche di soffrirla.
La strada maestra per conseguire il primo di tali risultati ce l’ha indicata di recente Macron, anche se in realtà già la conoscevamo. Sapevamo cioè che a questo punto una politica estera e una difesa comune sono divenute indispensabili all’Unione. Occorre quindi aprire un dibattito in tal senso che sia costruttivo e sincero rifuggendo, almeno per una volta, da quelle riserve inespresse che, ad esempio, condizionano spesso i nostri cugini transalpini, rivelatisi nel corso di questi ultimi anni i più pronti e decisi a “parlare europeo”. Peccato però che quando poi si tratta di agire essi “agiscano sempre francese”. Un vero peccato!
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
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Una politica estera e una difesa comune sono ormai indispensabili all’Unione, che deve e può prevenire i conflitti internazionali e gestire la crisi
Nella sua recente e spietata disamina dei problemi che attualmente condizionano la relazione transatlantica rischiando di rendere inaffidabili le garanzie di difesa e sicurezza americane, e quindi incidendo pesantemente anche su ruolo e credibilità della Nato, il Presidente Macron ha chiuso l’intervista concessa all’Economist deplorando l’attuale incapacità europea di far fronte da sola ai problemi di tali delicati settori.