Il settore dell’energia attraversa una fase di transizione delicata: si smette di investire nelle “vecchie” energie e la produzione delle “nuove” non è ancora sufficiente a sostituirle
Dal gennaio scorso i prezzi dell’energia (in particolare del gas naturale) sono esplosi. Oggi, alle soglie dell’inverno, l’impatto sui redditi delle famiglie più modeste e sui costi delle imprese suscita preoccupazione; non solo, la fiammata dei prezzi dell’energia contribuisce ad alimentare l’inflazione e con essa il dibattito, pericoloso, sulla politica monetaria: il rischio è infatti che una svolta in senso restrittivo delle banche centrali uccida la ripresa post pandemia nella culla. Il funzionamento dei mercati dell’energia è legato a doppio filo alla transizione ecologica, alla carenza di investimenti nelle energie rinnovabili e anche al clima sociale: è ancora vivo il ricordo della protesta dei gilet gialli in Francia, innescata da un aumento della tassazione sul gasolio.
L’aumento dei prezzi è in parte legato a fattori contingenti, sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda. Un inverno particolarmente rigido e un’estate calda si sono combinati con il rimbalzo dell’economia successivo alla pandemia. Insieme, hanno fatto impennare la domanda di gas in Europa mentre parte dell’offerta si dirigeva verso i mercati asiatici, anch’essi particolarmente dinamici (in parte per motivi strutturali, come l’utilizzo del gas come fonte di energia di transizione, per paesi in uscita dal carbone ma non ancora dotati di sufficiente capacità produttiva nelle energie rinnovabili). A questo si aggiunga che l’incertezza sulla situazione economica l’anno scorso aveva spinto molti gestori a ridurre le scorte, che oggi in Europa sono a livelli troppo bassi e devono essere ricostituite. Infine, ma non da ultimo, il mercato dell’energia è fortemente influenzato da fattori geopolitici. Molti analisti spiegano le forniture a singhiozzo da parte della Russia con il tentativo di mostrare come il nuovo gasdotto Nord Stream 2 sia necessario per garantire un flusso di gas stabile e duraturo, forzando così l’autorizzazione alla sua messa in servizio da parte dei regolatori europei che esitano per un insieme di ragioni, anch’esse di natura geopolitica.
Questi fattori sono di natura temporanea e legati specificatamente al mercato del gas. Essi dovrebbero attenuarsi e i mercati si attendono una normalizzazione dei prezzi dopo l’inverno. Per far fronte a questo picco temporaneo, quindi, ci si potrebbe limitare a mettere in atto misure per proteggere i più fragili ed esposti all’aumento dei prezzi (per esempio nelle zone rurali), seguendo le linee guida pubblicate dalla Commissione in settembre. La Spagna ha adottato le misure più aggressive, introducendo un limite di prezzo per il gas, riducendo l’Iva e altre imposte sui prodotti energetici e introducendo una tassa temporanea sugli extra profitti delle società energetiche. Altri paesi, incluso il nostro, riflettono a misure simili.
Tuttavia, le cause non sono solo contingenti. Molti attribuiscono le tensioni recenti, e più in generale la tendenza alla volatilità dei prezzi dell’energia, alla eccessiva rapidità della transizione ecologica. Le tasse sui prodotti inquinanti (come il carbon pricing o la tassa carbone alle frontiere), la regolamentazione e, non da ultimo, i colossali investimenti necessari per sviluppare capacità produttiva nelle energie rinnovabili, imporrebbero un costo eccessivo della transizione ecologica, un “bagno di sangue”, come si sono spinti a definirlo alcuni. E se così fosse, la transizione ecologica dovrebbe essere rallentata, per spalmarne i costi nel tempo. Si tratta di una lettura a prima vista ineccepibile, ma in realtà fuorviante. Simone Tagliapietra e Georg Zachmann, del think tank Bruegel di Bruxelles, notano come il settore dell’energia si trovi in una fase transitoria e caratterizzata da forte incertezza: l’ineluttabilità della transizione ecologica spinge gli operatori a ridurre gli investimenti nelle energie fossili “in scadenza” che, a causa della timidezza di molti Governi, non sono ancora sostituite dalle rinnovabili (nel 2020 queste contavano per solo il 38% del totale in Europa).
Questo crea una carenza strutturale di offerta e dipendenza eccessiva da fonti di energia di transizione come il gas. A questa incertezza quindi, secondo i due economisti, si dovrebbe rispondere non rallentando la transizione ma al contrario accelerandola, ad esempio con politiche che stimolino gli investimenti di lungo periodo necessari ad aumentare l’offerta di energia pulita.
La Commissione europea ha nel luglio scorso indicato la strada per accelerare nella transizione ecologica proponendo un pacchetto di misure, Fit for 55. Se approvato e messo in atto, il pacchetto dovrebbe portare nel 2030 ad un taglio delle emissioni del 55% rispetto al 1990, mettendo così l’economia europea in grado di raggiungere la neutralità carbone entro il 2050. Fit for 55 contiene una miriade di proposte; la più significativa è l’espansione del Sistema per lo scambio delle quote di emissione dell’Ue, che la Commissione propone di potenziare aumentando il prezzo di acquisto dei diritti di emissione ed estendendo lo schema a settori ed attività finora esclusi, come il trasporto (di fatto la proposta implica la messa al bando dei motori termici per gli autoveicoli nuovi entro il 2035) e il riscaldamento degli immobili.
In Italia molti hanno espresso il timore che visto il nostro ritardo nello sviluppo di tecnologie verdi (dal fotovoltaico alle batterie elettriche), la decarbonizzazione finirà per favorire altri paesi (la Cina su tutti). Ma nella proposta della Commissione l’obiettivo della decarbonizzazione convive con quello, altrettanto ambizioso, di dare un impulso decisivo allo sviluppo industriale e tecnologico europeo e colmare il ritardo che lo separa da altri Paesi. Proprio in settori come l’energia e i trasporti, il mix di incentivi e ostacoli di natura regolamentare ha l’obiettivo di spingere i mercati a fare quel salto verso la transizione ecologica che finora hanno esitato a fare, consegnando la leadership ad altri Paesi. È certo vero che le misure a sostegno della transizione ecologica europea rischiano di portare benefici soprattutto per i nostri concorrenti; tuttavia, siccome il ritardo che abbiamo accumulato finirà comunque per metterci prima o poi fuori mercato, Fit for 55 potrebbe costituire un potente strumento proprio per far ripartire investimenti e ricerca, consentendo di colmare il nostro ritardo tecnologico.
La Commissione non è sola ad esprimere la convinzione che la transizione ecologica dovrebbe essere vista come un’opportunità e non come un costo. Nel suo World Energy Outlook 2021, il rapporto annuale uscito in Ottobre, la International Energy Agency (Iea) segnala come da un lato l’energia elettrica stia proseguendo la sua espansione a scapito di altre fonti come il gas e il petrolio. E dall’altro come, ormai, la spinta all’espansione delle tecnologie verdi non venga più dagli incentivi pubblici ma, almeno dove le infrastrutture sono adeguate, dalla loro convenienza. La Iea stima che la traiettoria verso la neutralità carbone porterebbe, anche limitandosi ai soli settori delle turbine eoliche, pannelli solari, batterie agli ioni di litio, elettrolizzatori e celle a combustibile, a decuplicare entro il 2050 il volume d’affari, raggiungendo i 1200 miliardi di dollari annui; un ammontare superiore a quello attuale dell’industria petrolifera e del suo indotto.
Il messaggio è chiaro: rimettersi in carreggiata e impegnarsi per arrivare alla neutralità carbone nel 2050 non deve essere comportare bagno di sangue. Al contrario, si tratta di un’opportunità, forse l’ultima, per rilanciare la crescita e il dinamismo della nostra industria, per colmare il ritardo accumulato in questi anni, stabilizzare i mercati dell’energia e ridurre l’impatto macroeconomico della loro volatilità e quindi assicurare la sostenibilità sociale e ambientale del nostro modello di sviluppo. Insomma, si tratterebbe di buon affare anche se non ne andasse dell’esistenza del nostro pianeta.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
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L’aumento dei prezzi è in parte legato a fattori contingenti, sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda. Un inverno particolarmente rigido e un’estate calda si sono combinati con il rimbalzo dell’economia successivo alla pandemia. Insieme, hanno fatto impennare la domanda di gas in Europa mentre parte dell’offerta si dirigeva verso i mercati asiatici, anch’essi particolarmente dinamici (in parte per motivi strutturali, come l’utilizzo del gas come fonte di energia di transizione, per paesi in uscita dal carbone ma non ancora dotati di sufficiente capacità produttiva nelle energie rinnovabili). A questo si aggiunga che l’incertezza sulla situazione economica l’anno scorso aveva spinto molti gestori a ridurre le scorte, che oggi in Europa sono a livelli troppo bassi e devono essere ricostituite. Infine, ma non da ultimo, il mercato dell’energia è fortemente influenzato da fattori geopolitici. Molti analisti spiegano le forniture a singhiozzo da parte della Russia con il tentativo di mostrare come il nuovo gasdotto Nord Stream 2 sia necessario per garantire un flusso di gas stabile e duraturo, forzando così l’autorizzazione alla sua messa in servizio da parte dei regolatori europei che esitano per un insieme di ragioni, anch’esse di natura geopolitica.