Il ripristino dell’accordo sul grano sarà una priorità nell’incontro del 4 settembre tra Putin e Erdogan. Seppure le prospettive non sono rosee, si spera che i colloqui tra i due leader possano contribuire a sbloccare la situazione.
Lunedì 4 settembre, il presidente turco Erdogan incontrerà il suo omologo russo, Vladimir Putin. Secondo quanto riportato dal portavoce del Cremlino, l’incontro dovrebbe tenersi a Sochi, una cittadina russa sul Mar Nero. La scelta del luogo non è affatto casuale: infatti, il centro della discussione sarà rimettere in piedi la Black Sea Grain Initiative, interrotta unilateralmente dalla Russia il 17 luglio. L’accordo aveva permesso di riprendere, nonostante la guerra, le esportazioni di grano ucraino e russo verso i mercati globali. A renderlo possibile, era stata proprio la mediazione di Ankara, insieme alle Nazioni Unite.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha detto di aver inviato al ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov “una serie di proposte concrete” volte a rilanciare l’iniziativa. Sulla base, però, delle dichiarazioni anonime di un diplomatico russo, riportate da Reuters, la lettera di Guterres a Lavrov si limiterebbe a “riassumere le precedenti idee delle Nazioni Unite, che non hanno funzionato”, lasciando poco spazio alle speranze di ripresa della Black Sea Grain Initiative.
La Black Sea Grain Initiative: “un faro di speranza”
Durante la cerimonia per la firma dell’accordo, il 22 luglio 2022, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres lo definì come un “faro di speranza” in un mondo che ne ha disperatamente bisogno. L’invasione russa ha reso il Mar Nero un luogo estremamente pericoloso dove transitare, bloccando dunque anche le rotte commerciali che passavano da lì. L’accordo ha garantito per circa un anno la possibilità all’Ucraina di riprendere le esportazioni di grano dai suoi tre porti principali sul Mar Nero – Odesa, Chornomorsk e Pivdennyi – responsabili del passaggio di circa il 37% di tutte le esportazioni agricole ucraine prima dell’invasione. Allo stesso tempo, l’accordo ha fornito assicurazioni anche alla Russia, promettendo che le sue esportazioni di grano e fertilizzanti non sarebbero state escluse dai mercati globali.
Secondo Mosca, però, le garanzie nei suoi confronti non sono state rispettate e per questo si è ritirata dal patto lo scorso luglio. Ora, per riportarlo in vita chiede che vengano rispettate le sue condizioni per tutelare le esportazioni russe di grano e fertilizzanti. Soprattutto, una delle richieste principali di Mosca è che la Banca Agricola Russa venga ricollegata al sistema di pagamenti internazionali SWIFT, da cui è esclusa da giugno 2022.
Infatti, seppure le esportazioni di alimentari e di fertilizzanti russi non sono soggette alle sanzioni imposte dall’Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina, le varie restrizioni sui pagamenti, sulla logistica e sulle assicurazioni hanno comunque ostacolato le spedizioni russe.
In vista dell’incontro tra Putin ed Erdogan, il ministro degli Esteri russo Lavrov avrebbe fornito al governo turco un elenco di azioni che l’Occidente deve intraprendere per far sì che l’accordo sul grano possa ritornare operativo. La speranza, è che i colloqui tra i due leader possano contribuire a sbloccare la situazione.
La centralità turca
La Turchia era stata l’attore che aveva davvero reso possibile l’accordo sul grano. In base alla convenzione di Montreux firmata nel 1936, spetta ad Ankara la supervisione del traffico marittimo negli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Ma il motivo della mediazione turca si lega soprattutto ai rapporti tra Erdogan e Putin. Nonostante la Turchia sia uno dei principali membri della NATO, il paese ha sempre mantenuto delle relazioni economiche, militari e politiche molto strette con la Russia. Anche dopo la decisione di Putin di invadere l’Ucraina, la Turchia di Erdogan ha cercato in tutti i modi di mantenere una posizione il più possibile neutrale: ha dato pieno supporto a Kiev, anche militare, ma non ha abbracciato posizioni drasticamente anti-putiniane come il resto dei membri NATO. Ad esempio, la Turchia non si è unita all’imposizione di sanzioni alla Russia. Erdogan è riuscito fino ad ora a sfruttare in pieno il suo ruolo da mediatore, mostrando ottime doti da ‘equilibrista’. La sua strategia nella guerra tra Russia e Ucraina si è guadagnata il rispetto dell’opinione pubblica turca, contribuendo, almeno indirettamente, alla sua rielezione. Allo stesso tempo, la Turchia ha sfruttato i vantaggi economici di mantenere rapporti con la Russia. Non solo gli scambi commerciali turco-russi sono aumentati, Putin è anche venuto in contro ad Erdogan, nel periodo precedente alle elezioni, accettando di ritardare i pagamenti del gas naturale della Turchia e depositando valuta estera nella Banca centrale turca.
Dopo aver vinto le elezioni, però, Erdogan sembra più propenso a un riavvicinamento al blocco occidentale. Ne sono stati un esempio i fatti di Vilnius, al vertice NATO tenutosi a luglio in Lituania: il leader turco ha finalmente sbloccato l’ingresso della Svezia nell’alleanza militare transatlantica e ha rispolverato, con grande sorpresa di tutti, la candidatura della Turchia per l’adesione all’Unione Europea.
Tra i due litiganti, i paesi in via di sviluppo pagano le conseguenze
La Black Sea Grain Initiative – data la centralità di Russia e Ucraina nella supply chain del grano – aveva come obiettivo principale quello di mantenere ad un livello accessibile i prezzi, evitando che si potesse arrivare a situazioni di carestia nei vari paesi a rischio. Spesso, dunque, quando si parla di questo accordo lo si fa in riferimento ai suoi effetti sui paesi più poveri e in via di sviluppo. Sicuramente, l’aumento di offerta della materia prima seguito all’avvio del patto, ha contribuito ad abbassare il livello generale dei prezzi, dando sollievo quindi anche ai paesi economicamente più fragili. Ciononostante, bisogna sottolineare che solo una piccola quantità di questo grano è andato effettivamente ai paesi più poveri. Secondo i dati rilasciati dalle Nazioni Unite, il 2,5% del grano è stato destinato a Somalia, Etiopia, Sudan, Yemen e Afghanistan, ovvero paesi devastati da conflitti e dagli effetti del cambiamento climatico. Altri leggermente più prosperi come Kenya, Egitto, Tunisia e Bangladesh hanno ricevuto il 17%. La maggior parte del grano è finito in paesi ben più ricchi: i maggiori beneficiari sono stati Cina, Spagna, Turchia e Italia.
Anche se i dati testimoniano una ripartizione del grano non proprio equa, è innegabile che la Black Sea Grain Initiative sia cruciale per garantire la sicurezza alimentare dei paesi più poveri, situati soprattutto in Africa. Nell’ultimo anno, l’Ucraina ha contribuito per oltre l’80% alle forniture di grano del World Food Program. Inoltre, l’Indice dei prezzi alimentari della FAO era pari a 140,6 nel luglio 2022, prima che entrasse in vigore l’Iniziativa; un mese prima che fosse interrotta, a giugno 2023, era sceso a 122,3 punti.
Il ripristino dell’accordo sul grano rimane una priorità. Sarà sicuramente una priorità anche nei dialoghi tra Putin ed Erdogan, seppur le prospettive non sono rosee, si spera che si possa ritrovare un compromesso.
Lunedì 4 settembre, il presidente turco Erdogan incontrerà il suo omologo russo, Vladimir Putin. Secondo quanto riportato dal portavoce del Cremlino, l’incontro dovrebbe tenersi a Sochi, una cittadina russa sul Mar Nero. La scelta del luogo non è affatto casuale: infatti, il centro della discussione sarà rimettere in piedi la Black Sea Grain Initiative, interrotta unilateralmente dalla Russia il 17 luglio. L’accordo aveva permesso di riprendere, nonostante la guerra, le esportazioni di grano ucraino e russo verso i mercati globali. A renderlo possibile, era stata proprio la mediazione di Ankara, insieme alle Nazioni Unite.