Durante la crisi di Governo, il detonatore Matteo Renzi ha avuto il tempo di presenziare, insieme a big di altissimo calibro, alla Future Investment Initiative in Arabia Saudita. Sprovveduto o furbo?
Durante la crisi di Governo, il detonatore Matteo Renzi ha avuto il tempo di presenziare, insieme a big di altissimo calibro, alla Future Investment Initiative in Arabia Saudita. Sprovveduto o furbo?
Nel bel mezzo di una crisi di Governo che potrebbe avere risvolti non indifferenti sulla capacità dell’Italia di beneficiare del Recovery Fund e, quindi, di poter uscire dall’incubo economico generato dalla pandemia, il detonatore della crisi, il Sen. Matteo Renzi, qualche giorno fa ha trovato il tempo per volare in Arabia Saudita e presenziare alla Future Investment Initiative definita anche, con il sommo imbarazzo di Klaus Schwab e del suo World Economic Forum, la Davos del deserto.
La tempistica del viaggio e l’intervista prona che nell’occasione ha effettuato al principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, offrivano già materiale sufficiente per inarcare più di un sopracciglio; quando poi il Senatore della Repubblica ha forse tentato di mettere una toppa alle dichiarazioni rese nel Regno con un’intervista al Corriere della Sera domenica scorsa, questa, come sovente accade, si è rilevata peggio del buco.
Il combinato disposto delle dichiarazioni rese da Renzi in Arabia e al Corriere offre un quadro a dir poco disarmante: “L’Arabia Saudita come luogo per un nuovo Rinascimento” oppure “Soltanto chi non conosce la politica estera ignora il fatto che stiamo parlando di uno dei nostri alleati più importanti, un baluardo contro l’estremismo islamico”; per concludere con “…è grazie a Riad che il mondo islamico non è dominato dagli estremismi.”
Tenut conto che il 28 dicembre scorso, Loujan Al-Hathloul, una delle principali attiviste per i diritti umani in Arabia Saudita, è stata condannata a quasi sei anni di carcere per aver guidato una macchina (sei anni!!!), sorge spontaneo il dubbio su quale sia il Rinascimento vagheggiato dal Sen. Renzi.
Quando poi egli identifica l’Arabia Saudita come un baluardo contro l’estremismo islamico è evidente che non sappia di cosa stia parlando. Il Paese che negli ultimi 40 anni ha maggiormente sostenuto l’estremismo islamico è proprio l’Arabia Saudita, che ha sovvenzionato con decine di miliardi di petrodollari il filone più estremista dell’Islam, quello wahabita; quello che, per intenderci, ha generato Al Qaeda, l’11 settembre e l’Isis.
Il primo a denotare scarsa conoscenza della politica estera sembrerebbe quindi proprio l’ex Presidente del Consiglio, carenza alla quale sembrerebbe aggiungersi anche una visione a dir poco peculiare del Rinascimento, specie per un orgoglioso ex Sindaco di Firenze.
Cosa ha fatto l’Arabia Saudita dal 2015
È certamente vero che l’Arabia Saudita è un partner importante dell’Italia ma forse un personaggio del calibro del Sen. Renzi era perfettamente in grado di far valere questo concetto in un modo in po’ più accorto, articolato e, soprattutto, meno supino, anche alla luce delle imbarazzanti performances inanellate dall’Arabia Saudita a partire dal 2015, quando è giunto alla ribalta il suo controverso principe ereditario:
l’intensificazione drammatico del conflitto nello Yemen con il tentativo di imporre un’irrealistica soluzione militare e che ha determinato un’immane catastrofe umanitaria e che sta esponendo il Regno e i suoi alleati a crescenti accuse di crimini di guerra a causa di bombardamenti indiscriminati;
il plateale sequestro del Primo Ministro libanese Saad Hariri con l’estorsione delle sue dimissioni in un’orwelliana dichiarazione televisiva;
l’uccisione truculenta del giornalista Jamal Khashoggi a Istanbul per il quale la CIA – ora sotto la gestione Biden – potrebbe rendere pubbliche le sue compromettenti risultanze;
il sequestro a fini intimidatori ed estorsivi di decine di membri della stessa famiglia reale saudita;
e, infine, l’inutile e dannosa crisi triennale nell’ambito del Consiglio di Cooperazione del Golfo con il fallito tentativo di isolare il Qatar.
Insomma, visto che l’Iran viene costantemente identificato come la principale forza destabilizzatrice e maligna nella regione, il minimo che si possa dire è che certamente si trova in buona compagnia.
Benché il piano di riforme 2030 – ideato da Mohammed bin Salman e parte integrante della Future Investment Initiative – che ha tanto elettrizzato il Sen. Renzi sembri sulla carta piuttosto attraente, il giudizio sulla monarchia saudita dovrebbe tuttavia fondarsi sui fatti e non su visioni, per quanto allettanti, del futuro; e sciaguratamente questi fatti, finora, lasciano molto a desiderare.
Sprovveduto o furbo?
Tutto ciò premesso, in questa vicenda Renzi non va assolutamente considerato uno sprovveduto. Mentre l’Italia restava in preda a diversi dilemmi e presa dai consueti e consunti rituali tipici delle nostre crisi di Governo, il Senatore si accompagnava a una serie di big di altissimo calibro dal suo punto di vista, ben più importanti degli 80.000 euro (una fee, in verità, alquanto modesta per essersi esposto in modo così imbarazzante) che gli sono stati corrisposti dal Governo saudita. Secondo il New York Times, infatti, all’evento saudita hanno preso parte David Rubenstein (Carlyle Group), Ray Dalio (Bridgewater), Larry Fink (BlackRock) David Solomon (Goldman Sachs), Thomas Gottstein (Credit Suisse) James Gorman (Morgan Stanley) Steve Schwarzman (Blackstone), Masa Son(SoftBank), Tom Barrack (Colony Capital) Jeffrey Ubben (Inclusive Capital).
A riprova autorevole del noto motto pecunia non olet, si tratta del gotha dei Fondi di Investimento e delle Banche d’Affari mondiali che ormai – insieme alle Big Tech – hanno più rilievo e influenza degli stessi Stati nazionali e ai quali il nostro Senatore potrebbe aver voluto dimostrare che, per quanto concerne la politica italiana, è sempre lui a dare le carte.
Tutto questo consumatosi nell’assordante, imbarazzato, silenzio di Pd e M5S.
Nel bel mezzo di una crisi di Governo che potrebbe avere risvolti non indifferenti sulla capacità dell’Italia di beneficiare del Recovery Fund e, quindi, di poter uscire dall’incubo economico generato dalla pandemia, il detonatore della crisi, il Sen. Matteo Renzi, qualche giorno fa ha trovato il tempo per volare in Arabia Saudita e presenziare alla Future Investment Initiative definita anche, con il sommo imbarazzo di Klaus Schwab e del suo World Economic Forum, la Davos del deserto.
La tempistica del viaggio e l’intervista prona che nell’occasione ha effettuato al principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, offrivano già materiale sufficiente per inarcare più di un sopracciglio; quando poi il Senatore della Repubblica ha forse tentato di mettere una toppa alle dichiarazioni rese nel Regno con un’intervista al Corriere della Sera domenica scorsa, questa, come sovente accade, si è rilevata peggio del buco.
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