Considerata la tenacia della resistenza ucraina e il danno economico causato dalle sanzioni, è probabile che Mosca decida di ripiegare non sul controllo dell’Ucraina, ma su un “premio di consolazione”
Gli spazi di dialogo tra l’Ucraina e la Russia per l’interruzione della guerra sembrano essersi nuovamente ristretti, dopo i progressi che parevano essere stati raggiunti nei giorni precedenti. Il punto però, come ha fatto notare Anthony Faiola sul Washington Post, è che il Presidente russo Vladimir Putin non sta parlando come un uomo di pace: prima ha tenuto un discorso durissimo contro i presunti “traditori” della patria, cioè i cittadini russi che non si allineano al Cremlino, e accusato l’Occidente di volere “la distruzione della Russia”; poi, allo stadio Luzhniki, ha detto che Mosca raggiungerà “assolutamente tutti i [suoi] obiettivi” in Ucraina.
Al di là della propaganda, la realtà sul campo in Ucraina racconta di una Russia che, benché superiore per forze, fatica a imporsi e subisce perdite enormi di mezzi e soldati. Gli Stati Uniti sostengono che le truppe russe rimaste uccise in circa tre settimane di guerra siano settemila, più di tutti i militari americani morti nelle intere guerre in Iraq e Afghanistan combinate; anche fossero molte meno, sulle duemila, il disastro militare rimarrebbe notevole.
Considerata la tenacia della resistenza ucraina, che i russi infatti cercano di piegare con i bombardamenti sui civili; e considerato il danno economico causato dalle sanzioni imposte dall’America, dall’Europa e dagli alleati, è possibile che il Cremlino decida di ripiegare su un “premio di consolazione”, scrive Faiola. Non il controllo dell’Ucraina, cioè, ma un compromesso. Putin non sembra tuttavia essere nelle condizioni per negoziare davvero, o almeno non ancora.
I nodi principali da sciogliere per un eventuale compromesso, comunque, sono tre, secondo il Washington Post. Il più importante per la Russia è la neutralità dell’Ucraina, cioè la sua non-adesione alla Nato e all’Unione europea. I presunti timori di Mosca per un ingresso di Kiev nell’alleanza atlantica, percepita come una minaccia alla propria sicurezza, non esauriscono la questione: la Russia non vuole che l’Ucraina si avvicini all’Occidente in generale, perché la presenza di una democrazia funzionale e prospera al di là dei suoi confini rappresenterebbe una minaccia al regime autoritario di Putin, nonché il fallimento del piano del Cremlino per la ricostruzione dell’influenza russa nello spazio eurasiatico.
Il secondo punto sono le garanzie di sicurezza che l’Ucraina, in caso di accordo con la Russia sulla neutralità, dovrebbe ricevere dall’Occidente. Ma potrebbe verificarsi un cortocircuito a Mosca, perché l’America o l’Europa, se non proprio la Nato intera, andrebbero a legarsi formalmente a Kiev per la sua difesa da eventuali aggressioni future. L’Ucraina potrebbe anche barattare la rinuncia alla Nato con l’adesione all’Unione europea, riproponendo il modello di Austria e Finlandia. L’assenso della Russia a uno sviluppo di questo tipo non è scontato, ma potrebbe ritrovarsi costretta ad acconsentire in caso di danni militari ed economici molto grandi.
Il terzo e ultimo punto riguarda gli status della Crimea (occupata e annessa dalla Russia nel 2014) e delle autoproclamate repubbliche di Doneck e Luhansk (che Mosca ha riconosciuto, poco prima di dare inizio all’invasione su larga scala). La Russia potrebbe richiedere all’Ucraina il riconoscimento della sua sovranità sulla Crimea nonché il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche separatiste, che andrebbe a cristallizzare il controllo russo su parte del Donbass. Una tale mutilazione territoriale potrebbe però rivelarsi difficile da accettare per il popolo ucraino dopo l’invasione.
Considerata la tenacia della resistenza ucraina e il danno economico causato dalle sanzioni, è probabile che Mosca decida di ripiegare non sul controllo dell’Ucraina, ma su un “premio di consolazione”