Il fallimento dei partiti, l’esplosione dei movimenti, le loro prove di Governo. A 14 anni dalla crisi globale del 2008, cosa resta di queste esperienze politiche e da dove ripartire
Al momento di entrare in Parlamento a votare la nuova legge sul lavoro, il deputato spagnolo Alberto Casero non si sarebbe certo aspettato di diventare un eroe della sinistra europea. La riforma, voluta dal Governo socialista di Pedro Sánchez e scritta dalla vice-premier Yolanda Díaz, comunista e affiliata a Podemos, era un provvedimento cardine del governo di coalizione di Madrid. Coalizione, appunto, tra sinistra tradizionale e sinistra radicale; alleanza cementata dal declino della prima e dal rinvigorirsi della seconda, negli anni passati, grazie alle devastanti conseguenze sociali ed economiche della crisi scoppiata in tutto il mondo dopo il 2008, ma pesantissime in un’Europa meridionale caratterizzata da economie fragili e indebitate. E paralizzata dalle ricette economiche restrittive decise da Bruxelles.
Gli indignados cominciarono proprio allora a mostrarsi. Se fu la Spagna a battezzare la parola, quello che sarebbe diventato un movimento transnazionale nacque in Portogallo. I manifestanti della Geração à Rasca (generazione che non ce la fa) riempiono le piazze di Porto e Lisbona per mesi, a partire dal marzo del 2011. Il 15 maggio, alla Puerta del Sol di Madrid appare un grande accampamento: la tendopoli dura un mese ed è uno dei centri simbolici della protesta. Il 15 giugno, il capo del Governo catalano deve raggiungere il Parlamento di Barcellona in elicottero per le proteste che infuriano all’esterno. Il 29 giugno, mentre il Parlamento greco approva il pacchetto di austerità dettato dall’Unione europea, Atene viene scossa da manifestazioni e scontri, per giorni. Queste fiammate sono le principali ma non certo le uniche di un’ondata che dura per due anni.
Non riesce a ottenere il suo scopo: a Bruxelles gli equilibri politici non si modificano nell’immediato. È abbastanza ironico, oggi che le regole sul debito sono state cambiate e un meccanismo di finanziamento comune è stato messo in opera dall’Unione europea, fare l’elenco delle “scuse” e delle “conversioni” arrivate in tempi più recenti: Jean-Claude Juncker, ex Presidente della Commissione: “abbiamo calpestato la dignità dei popoli”. Jeroen Dijsselbloem, ex Presidente dell’Eurogruppo: “erano misure estreme che hanno distrutto le aspettative sociali”. Christine Lagarde, ex Presidente del Fondo monetario internazionale: “abbiamo sottostimato l’effetto recessivo delle nostre ricette”. Ma nel 2011 l’austerità era indiscutibile, e l’anno si chiuse con le dimissioni a catena dei Governi Sócrates in Portogallo, Zapatero in Spagna, Berlusconi in Italia e Papandreu in Grecia, travolti dalla crisi del debito sovrano. I socialisti che guidavano i primi due furono puniti nelle urne e il timone passò alla destra. Gli ultimi due, conservatori, furono sostituiti da “grandi coalizioni” incaricate di portare avanti i provvedimenti indicati dall’Unione europea.
Visto che le strade dei partiti tradizionali erano sbarrate, le convinzioni degli indignados trovarono altri spazi. Nel 2012 in Grecia nasceva l’alleanza di sinistra radicale Syriza, alla sua testa il trentottenne Alexis Tsipras. Nello stesso anno, la trentanovenne Catarina Martins rivitalizzava il Blocco di Sinistra in Portogallo. All’inizio del 2014 in Spagna il trentaseienne Pablo Iglesias fondava Podemos. Quei partiti sarebbero tutti arrivati, in modalità diverse, alla sfida di tradurre le nuove idee in esperienze di Governo e politiche in discontinuità con il tanto criticato presente.
Il primo è Alexis Tsipras: la crisi greca è talmente grave che le elezioni del gennaio 2015 spazzano via il governo di coalizione di Atene, distruggono lo storico Pasok e trasformano Syriza nell’unica grande forza di sinistra su piazza. Cominciano allora i celebri duelli tra il nuovo premier Alexis Tsipras e il suo ministro dell’Economia Yannis Varoufakis contro l’ortodossia finanziaria europea, impersonata dai tedeschi nei pari ruoli Angela Merkel e Wolfgang Schäuble, ma condivisa per forza o per amore dalla stragrande maggioranza degli altri Stati. Alla Grecia vengono presentate da Commissione, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale delle condizioni in cambio del riscatto finanziario: Tsipras e Varoufakis le dichiarano irricevibili e in una mossa disperata per cercare di evitarle, chiamano il popolo a esprimersi via referendum. I greci dicono di no (61%). Tuttavia, con una clamorosa svolta realista, con i mercati finanziari che spingono Atene alla bancarotta, un mese dopo Tsipras decise di accettare le condizioni della famigerata Troika. Varoufakis, disgustato, se ne va sulla sua moto. Ma il premier indice un voto anticipato e riottiene dai rassegnati greci la maggioranza per governare. Tsipras traghetterà la Grecia in salvo – il “piano di aiuto” si conclude tre anni dopo – e contribuirà in maniera decisiva alla sopravvivenza dell’eurozona. Viene sconfitto alle elezioni del 2019, pur mantenendo però con il 33% l’egemonia sulla sinistra greca.
Il 2015 è cruciale anche in Portogallo. Al Governo sale il socialista António Costa, con l’appoggio esterno in Parlamento del Blocco di Sinistra – che alle elezioni aveva raddoppiato i voti – più Comunisti e Verdi. Il nuovo esecutivo, pur in un clima di disciplina fiscale, cancella le precedenti politiche di austerità: i portoghesi confermano la formula alle urne nel 2019. Alla fine del 2021 però Blocco di Sinistra, Comunisti e Verdi decidono di togliere il sostegno a Costa, accusato di aver presentato una finanziaria troppo poco sociale ed ecologista. Questa mossa alla Bertinotti porta alle elezioni anticipate, che il 30 gennaio del 2022 vedono i portoghesi dare la maggioranza assoluta a Costa e punire severamente la sinistra radicale. Gli elettori ora vogliono: stabilità.
Benché in Italia il dissenso di quegli anni non sfociasse in soluzioni politiche simili, tutte le anime della nuova sinistra mediterranea hanno legami importanti con il nostro Paese, a cominciare da quelle spagnole. Il ventiduenne Pablo Iglesias, Erasmus a Bologna, era a Genova nel 2001, così come la sindaca di Barcellona Ada Colau. Entrambi crescono politicamente con il mito di Enrico Berlinguer, e tentano di riprodurre nella loro azione politica le caratteristiche del suo partito comunista, radicale e popolare allo stesso tempo.
In appoggio esterno dal 2018, poi dentro l‘esecutivo Sánchez dall’inizio del 2020: oggi i ministri di Podemos (ora Unidas Podemos) governano la Spagna. Non è più la celebrity Iglesias il capo del partito: dopo una furiosa campagna dalle tinte orwelliane orchestrata dalla destra nei suoi confronti, il fondatore ha lasciato il testimone alla ministra del Lavoro Yolanda Díaz. La maggioranza parlamentare di sinistra a Madrid si regge su una manciata di deputati di piccole forze regionaliste e autonomiste, eppure ha superato indenne i due anni della pandemia.
All’inizio del 2022 appare all’orizzonte lo scoglio più insidioso: l’approvazione di una riforma che per la prima volta in decenni aumenta invece di diminuire i diritti dei lavoratori. Contestatissima, la legge si avvia alle forche caudine del voto parlamentare, mentre giorno dopo giorno gli alleati si ritraggono: prima i partiti catalani, poi quelli baschi e infine di sorpresa il giorno del voto anche quelli navarri dicono no. Si fanno i conti: il Governo andrà sotto, 175 voti contro 174. Sánchez cadrà, l’alleanza di sinistra esploderà, si rivoterà con l’elettorato pronto al castigo. E invece, il tabellone elettronico segna sì 175, ma a favore. Un deputato conservatore schiaccia il pulsante sbagliato: Alberto Casero, eletto per il PP in Extremadura. Grazie a un dito ballerino resta in piedi l’ultima esperienza di governo di sinistra-sinistra ancora al potere in Europa, erede della stagione degli indignados. Ai suoi protagonisti, il compito di allungarne la vita. In un’Europa che oggi politicamente appare molto diversa, e dove nella regione mediterranea sono le forze di destra a crescere, i miracoli non si ripeteranno.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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