Stati Uniti: il crollo verticale dei democratici
In quattro anni lo spostamento a destra del Paese è stato di 6 punti, Trump ha recuperato 10 punti percentuali nelle roccaforti democratiche come New York, New Jersey, e Rhode Island. La coalizione dei suoi elettori è ampia: uomini, donne, ispanici, afroamericani e giovani sotto i 30 anni.
Alla fine lo spoglio elettorale è stato più rapido del previsto. Man mano che gli Stati venivano assegnati a Donald Trump le proporzioni della sconfitta per i dem diventavano sempre più simili a un crollo verticale. Al di là della rovinosa sconfitta in tutti e sette gli Stati in bilico, l'intero asse degli Stati Uniti si è spostato verso i Repubblicani. Gli elettori hanno scelto di rivotare Trump, ma allo stesso tempo di bocciare sia la candidatura di Kamala Harris che le politiche del partito democratico. Lo scenario è quello di un collasso politico che avrà conseguenze nei prossimi anni. Le ragioni di questo flop sono varie, hanno a che fare sia con errori strategici della sinistra americana che con la struttura dell'elettorato di Donald Trump che si è formata nelle urne.
La coalizione di Donald Trump
Per capire le dimensioni del tonfo democratico bisogna andare a vedere com'è composta la coalizione elettorale del tycoon. Nella politica americana gli elettori non si dividono tra i partiti come avviene in molti Stati europei, ma si raggruppano di volta in volta intorno a una delle due formazioni maggiori. In questo modo un presidente può avere maggioranze elettorali a geometrie variabili. Rispetto al 2016, quando Trump vinse con margini molto limitati, complici anche defezioni importanti tra gli elettori maggiormente democratici, nel voto dello scorso 5 novembre il tycoon è stato abile a rendere più variegato il suo popolo.
Dan Pfeiffer, storico consigliere di Barack Obama, ha spiegato che nel giro di due cicli elettorali la coalizione del primo presidente afroamericano si è completamente liquefatta. Per prima cosa il candidato repubblicano è il secondo a vincere il voto popolare dal 1988 ed è stato abile a rendere la vittoria quanto più omogenea possibile. In quattro anni lo spostamento a destra del Paese è stato di sei punti, ma soprattutto Trump ha recuperato ben 10 punti percentuali nelle roccaforti democratiche come New York, New Jersey, e Rhode Island. In più in questa dinamica ha creato una coalizione di elettori composta in modo abbastanza omogeneo da uomini, donne, ispanici, afroamericani e giovani sotto i 30 anni.
I limiti del messaggio democratico
La vittoria ampia di Trump e la definizione del suo ampio elettorato è collegata sia agli errori della campagna Harris, che ad alcune caratteristiche che i democratici hanno maturato nel corso degli ultimi anni. Partiamo dal primo. Rispetto al 2020, quando la pandemia impediva massicce campagne sul territorio, i democratici hanno dispiegato migliaia di volontari per le attività di porta a porta. In Pennsylvania, ad esempio, arrivavano migliaia di giovani dagli Stati vicini. Se da un lato l'effetto entusiasmo aiutava a vedere una mobilitazione maggiore rispetto ai repubblicani, dall'altro non ha avuto effetti significativi alle urne. La contea di Erie, nel Nord Ovest del Keystone State, per settimane ha ospitato ragazzi da mezzo New England e li ha spediti a bussare alle porte. Molti di loro hanno raccontato di non aver mai visto le controparti repubblicane. Nonostante questo impegno massiccio, alla fine la contea ha cambiato colore tornando a votare per Trump come fatto nel 2016, dopo aver scelto Biden quattro anni fa.
I dem hanno scelto di fare campagna alla vecchia maniera, con presidi sul territorio, volontari e campagne porta a porta, mentre al contrario i repubblicani hanno ammesso di non essere abbastanza organizzati per un simile dispositivo. Sam DeMarco, capo del Gop nella contea di Allegheny, ha raccontato a Eastwest che per settimane gli elettori repubblicani sono sembrati più motivati di quelli dem e questo nonostante le massicce campagne di volontariato.
Trump e il suo entourage hanno scelto un approccio comunicativo diverso. Come sottolineato da diverse analisi post elettorali, il tycoon ha ridefinito le regole attraverso le quali costruire il consenso. Stop a interviste in media mainstream, rappresentazioni di vicinanza popolare (apparizioni come dipendente di McDonald e spazzino) e interviste alla galassia di podcast che ha proliferato in questi anni, in particolare quelli maschili, culminata con l'ospitata di tre ore da Joe Rogan.
Il flop mediatico
In questo modo Trump è stato in grado di accedere a milioni di spettatori che non frequentano l'arena mediatica tradizionale. Bernie Sanders, senatore socialista appena riconfermato in Vermont, ha criticato pesantemente la campagna Harris per non aver preso parte a un'intervista con Rogan. L'entourage della vicepresidente aveva aperto alla possibilità di un'intervista col podcaster più seguito d'America, ma aveva dettato condizioni draconiane: lui doveva lasciare lo studio di Austin, in Texas, per salire in uno Stato in bilico della Rust Belt e il colloquio sarebbe durato un'ora. Alla fine Rogan si è ritirato e tutto è saltato. "Puoi non essere d'accordo con lui, ma non capisco che problema ci sia nel non voler andare in quei programmi", ha detto Sanders che era stato ospite di Rogan nel 2020. "I candidati hanno bisogno di quei programmi, hanno bisogno di raggiungere milioni e milioni di spettatori che guardano media alternativi".
Nel complesso la vittoria di Trump segna una sconfitta anche sul piano della guerra informativa tra i due partiti. Pfeiffer ha scritto che mentre i repubblicani erano impegnati a cercare il pubblico utile dove questo si trovava, i dem hanno continuano a giocare con le stesse regole di prima. Risultato: negli swing States dove i democratici hanno speso quasi un miliardo di dollari in pubblicità e piattaforme, Trump ha guadagnato tre punti rispetto al 2020. In altri Stati, dove i dem non hanno fatto campagna e preso spazi per gli adv, il tycoon è cresciuto di sei punti.
Trump e il suo comitato sono stati molto abili a raggiungere gli elettori, mentre i dem hanno perso tutti quelli che non si informano sui media tradizionali. Stando a un sondaggio del Data for Progress, le percentuali di voti raccolti da Harris e Trump cambiavano in base a quando gli elettori consumavano notizie politiche. Chi ne consumava "molte" o "abbastanza" ha votato per la democratica con margini di 8 e 5 punti, chi invece ne consumava "moderatamente", "pochi", o "nessuna", votava per Trump.
Il risultato è che alla fine i democratici hanno parlato a un pubblico già democratico, e non hanno scalfito altri segmenti che invece non fanno parte della loro bolla. L'ecosistema comunicativo è ormai cambiato, ma moltissimi candidati democratici mostrano di voler correre con vecchi schemi, con l'effetto di non presidiare spazi di comunicazione non-politici in cui gli elettori più indecisi e critici si informano. Persino la gestione dei social è stata deficitaria. Come ha notato Valentina Tonutti, social media manager ed esperta di comunicazione politica digitale, Harris ha arrancato sui social, numeri alla mano, ma soprattutto i democratici hanno cercato in ogni modo di "replicare il modus operandi di Obama del 2008", il problema è che solo l'ex presidente finora si è dimostrato capace di bilanciare l'aspetto istituzionale con quello empatico, ma non solo. L'intero impianto comunicativo di quella stagione politica sembra orami superato.
Capire il mondo
Questa distanza tra i dem e le nuove fonti di informazione si collega anche ad alcune scelte politiche che il partito e i suoi candidati hanno fatto negli ultimi anni. In moltissime interviste post-elettorali una fetta sempre più vocale dei democratici ha accusato vertici del partito e leader di essersi posti in un piedistallo e di aver perso i contatti con la classe media e quella operaia. Con l'effetto che più Harris (e la sinistra americana) si proponevano come istituzionali in contrapposizione a Trump e alla sua gestione caotica del potere nel primo mandato, più si alienavano fette di elettori che attribuivano giudizi negativi nei confronti della politica. Secondo una rilevazione del Pew Research Center il 63% degli americani non si fida del sistema politico e dei politici in generale, e così Trump (nonostante abbia governato per quattro anni) è riuscito a sembrare anti-sistema al contrario della sinistra che ha fatto di tutto per sembrare istituzionale.
Il secondo e più grave errore è stato quello di sottovalutare le paure reali degli elettori. Parlando coi responsabili delle campagne democratiche in Pennsylvania e Arizona il frame era sempre lo stesso, cioè si riconosceva il problema dell'inflazione, ma si sottolineava la bontà delle riforme di Biden e che il vero pericolo fosse l'assalto alla democrazia di Trump. Allo stesso tempo capi repubblicani e volontari sottolineavano che la gente era preoccupata di più per il prezzo della spesa e della benzina. E così le carenze sul dossier economico da parte dei dem hanno compromesso gran parte del messaggio di Harris.